

Introduzione
Quando la Parola si fa poesia
Cos’è la poesia?”. Mi chiese diversi anni fa un ragazzo, al termine di una conversazione sul linguaggio poetico e, dopo un attimo di silenzio, mi aggiunse: “la tua poesia”. Poi, come a voler centrare la questione, mi ribadì: “Sì, cos’è la tua poesia?”. La domanda onestamente mi colse di sorpresa, perché non avevo mai riflettuto sulla “mia poesia”, benché meno sul perché facessi poesia. E non nascondo che quell’interrogativo si rivelò come l’irruzione immediata del Mistero dentro di me, e nel quale mi percepivo personalmente coinvolto. Francamente non ricordo quale risposta diedi lì per lì, sta di fatto che quella domanda si rivelò per me una grande provocazione, quasi una sfida. Ricordo ch’eravamo lungo un fiume e, se la memoria non m’inganna, era d’autunno, precisamente in Avvento, proprio come il tempo liturgico che stiamo ora vivendo, in preparazione al Natale. Con gli anni sono ritornato spesso su quella domanda e, in diversi modi e forme, ho tentato di darne una risposta. Già, perché rispondere a questo tipo di domande è possibile solo facendo dei tentativi. La poesia, come la vita, l’amore sono realtà che per quanto ci siano familiari rimangono avvolte nel mistero. Infondo neppure il poeta, benché faccia poesia, è in grado di darne una definizione univoca e valida per tutti e per sempre. Può sembrare un paradosso, ma la poesia è e rimane un mistero al poeta stesso. Ogni definizione ne coglie un aspetto, magari autentico, ma non ne definisce mai l’essenza. Essa abita il poeta, ma egli non può mai possederla. È presso di lui, ma senza essere sua. Ed egli non ha altro modo per dirla che quello poetico. Ma lo fa con parole sue, allo stesso modo del profeta, quando presta le sue parole a Dio, consapevole che esse potranno rivelarlo solo se egli le lascerà impregnare della vita divina, di cui è stato reso partecipe durante l’ispirazione. Così anche il poeta, dovrà svuotarle del suo significato, esattamente come il Verbo si è svuotato della sua divinità, per umanizzarsi, anzi per incarnarsi e diventare una sola cosa con l’umanità. Solo così la sua poesia potrà diventare luce nuova nel mondo e, in forza dello Spirito, “fare nuove tutte le cose” (Ap 21,5).
Pertanto, anche se è passato molto tempo da quella domanda, vorrei ora potere rispondere a quel ragazzo o a chi per lui desidera ancora conoscere la risposta. Magari a te lettore che hai avuto la pazienza di vivere d’attesa questo mio breve racconto, e poter dire che: la poesia è l’Avvento del Verbo. È il luogo in cui il Verbo accade e si fa parola umana. Una sorta d’alchimia divina per dire quel che il Verbo dischiude in lui. Per questa ragione la poesia è l’arte di dire il Verbo. Collocata all’interno di un periodo liturgico come l’Avvento questa definizione mi sembra quanto mai appropriata.

Cenacolo poetico
Ed è in questa prospettiva che vorrei proporvi la seguente rubrica, da titolo Cenacolo poetico. Un titolo che evoca immediatamente il luogo in cui Gesù, stando all’evangelista Giovanni, ha vissuto due momenti particolarmente intensi con i suoi discepoli e significativi per il futuro della Chiesa: la lavanda dei piedi e il Discorso di addio, durante il quale ha chiamato i suoi discepoli amici. Due momenti che ci danno l’idea di un clima relazionale fatto al contempo di servizio, condivisione e amicizia, esattamente quello che dovrebbe compiere il poeta nell’oggi della cultura. Si tratta allora di creare, con questa rubrica, quello stesso clima relazionale del Cenacolo e trasfonderlo in ambito culturale, così da fare della poesia un luogo di evangelizzazione della cultura. Dopo due secoli di reciproca indifferenza tra Cultura e Chiesa, forse è giunto il momento di trovare un terreno comune per ritornare a parlare di Dio.
D’altronde cos’è la cultura nella prospettiva cristiana se non un Cenacolo d’Avvento, un modo cioè di predisporre le persone ad accogliere il senso pieno della loro vita? Al di là di ogni definizione intellettuale che se ne possa dare, la cultura in ambito sociale, è un po' come la spiritualità in ambito religioso, il cui compito è quello di trasfondere in un vissuto quotidiano la conoscenza di Dio che ognuno acquisisce attraverso l’esperienza, lo studio e la ricerca. Non basta dunque poetizzare, ma occorre anche che il poeta sappia offrire le categorie e i criteri che consentono a ciascuno di percepire quella dimensione d’armonia nella vita che siamo soliti definire bellezza. La poesia diventa, in questo caso, un modo per favorire la scoperta della “perla preziosa” o del “tesoro nascosto”, ovvero quel senso recondito che abita già dentro di noi, ma che non sempre abbiamo modo di trovarlo. Nello specifico personale la poesia costituisce la via o, se vogliamo, il luogo dove Dio si dà a vedere e a conoscere, e ciò mi spinge a condividerlo con gli altri. Da qui l’idea di considerarla come un linguaggio per dire Dio nell’oggi della nostra cultura. Al lettore che desidera seguirmi in questa ricerca do il mio benvenuto.
Senso e scopo della Rubrica
Mi sforzerò, per quanto è possibile, di offrirvi poesie edite e inedite che possono alimentare le vostre istanze culturali e nutrire le vostre esigenze spirituali, individuando qua e là componimenti attinenti ai diversi tempi liturgici o ai temi che la Liturgia della Parola può suggerire nei diversi periodi dell’anno, o ancora, più in generale, a quelli che possono scaturire dalle sollecitazioni sociali. Esse, quando la circostanza lo ritiene opportuno, potranno essere accompagnate da brevi commenti iconologici, da facilitare la lettura e l’ascolto. E saranno proposte a scadenza infrasettimanale (mercoledì o giovedì).