Sguardo d'eterno
- don luigi
- 30 lug
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Cenacolo poetico

Sguardo d’eterno
Vasto s’apre l’orizzonte
qui dalla collina
che allo sguardo puro
dello spirito
l’anima, silente,
s’inoltra là … nel cielo,
dove, senza più confini,
pare stagliarsi con splendore
il profilo mistico dell’Eterno;
e intanto giù dal basso,
ormai del mondo
solo l’eco
risuona appena.
Luigi Razzano
Iconologia poetica

Sguardo d’eterno [1] è una poesia scritta durante una mattinata di ritiro spirituale, che il poeta – bisognoso di una pausa di riposo dal lavoro quotidiano – decide di fare presso l’antico Santuario di San Michele a Palombara[2]. Immerso nel silenzio e favorito anche dalla solitudine del luogo, egli si scopre improvvisamente gravido di un moto spirituale, che non indugia a tradurre immediatamente in poesia, tanto che questa lirica sembra costituire un’istantanea del suo animo, rivelativa com’è della modalità con cui accade in lui la percezione dell’“Eterno”.
Il panorama, straordinariamente “vasto” e suggestivo che dall’alto del Santuario si distende davanti a lui, si perde a vista d’occhio, inducendolo a compiere con lo sguardo interiore lo stesso movimento di quello esteriore: passando cioè, senza soluzione di continuità, da un registro all’altro della realtà, colta simultaneamente nella sua dimensione empirica e spirituale. Il susseguirsi rapido e dinamico dei due registri gli permette, infatti, di cogliere l’uno come metafora dell’altro, anzi, fino ad assistere a una loro unificazione, senza tuttavia perdere la rispettiva distinzione. Ed è in questo rapido moto interiore, di non facile decifrazione, che accade la percezione visiva della sua anima. Animato da questo sguardo unitario e “puro / dello spirito”, il poeta vede “stagliarsi con splendore”, sullo sfondo del cielo, “il profilo mistico dell’Eterno”. Uno sguardo il suo che pare evocare quello dei puri evangelici, di cui parla Gesù nelle sue beatitudini, ai quali viene permesso addirittura di “vedere Dio” (cf. Mt 5,8).
In questa inattesa e gratuita partecipazione spirituale alla realtà dell’Eterno, dalla quale l’autore sembra essere irresistibilmente attratto ed essere personalmente rapito, il mondo con le sue attività, di cui si ode qualche rumore “giù dal basso”, appare ai suoi sensi “ormai solo un’eco” che “risuona appena” dentro di lui. Nulla pare più distoglierlo da questa visione che sembra prospettargli la possibilità di risignificare la sua esistenza, nella quale egli vede coinvolto l’intero creato, dove perfino il tempo appare in tutt’altra luce: da cronologico diventa kairologico, ovvero luogo ospitale dell’Eterno.
Ancora una volta il creato offre al poeta i presupposti per un’intuizione spirituale, che contrasta palesemente con l’attuale sensibilità culturale, condizionata com’è da una mentalità empirica e scientista, dove tutto viene chiuso all’interno di un immanentismo asfissiante e sterile, che impedisce qualsiasi sguardo lungimirante e creativo, così diverso, invece, da quello che lascia intravedere la poesia. Si potrebbe obiettare che si tratta solo di una breve e fugace percezione poetica. Ma anche il Regno di Dio è stato paragonato a un piccolo e irrilevante granello di senape, eppure la terra ne ospita ancora gli arbusti (cf. Mt 13,31-32; Mc 4,30-32; Lc 13,18-19). Nelle indagini, anche quelle esistenziali, sono gli indizi a formulare e a confermare la prova. Chissà che non sia proprio questo piccolo e insignificante sguardo poetico a far defluire nell’uomo contemporaneo la linfa di una rinnovata attenzione divina.
[1] Il termine eterno viene impiegato nel titolo come aggettivo, mentre nel testo come sostantivo.
[2] Il Santuario di San Michele è un sito spirituale, collocato sulla cima rocciosa di una delle colline Suessolane, recentemente restaurato, dopo decenni di abbandono e di degrado logistico. La collina presso la quale si trova domina la Valle di Suessola, i cui lineamenti geografici si dispongono a mo’ di una gola naturale che converge verso le famose Forche Caudine: un passo stretto e profondo presso Caudio, disposto tra i territori campani di Arpaia e Montesarchio che fu teatro della rinomata battaglia tra i Sanniti e i Romani, durante la seconda guerra sannitica (326-305 a.C.). Qui i Sanniti di Gaio Ponzio, favoriti dalla disposizione semicircolare dei monti del Partenio e il monte Tairano, fecero confluire i Romani, infiggendo una dura umiliazione, tanto che stando alla discussa documentazione storico-topografica di Tito Livio, fu associata alla disfatta di Allia e a quella di Canne. Ne conseguì una tale vergogna che fu ricordata come un vero e proprio marchio per la Repubblica romana.




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