Anima Mundi
- don luigi
- 25 set
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Cenacolo poetico

Anima Mundi
Come il mare
alle saline
effonde l’anima mia
l’essenza sua nell’aria
e librandosi nel cielo
dall’alto nutre
degli uomini
la vita.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
Anima Mundi è la poesia con cui l’autore porta all’attenzione del lettore un tema alquanto discusso nel panorama culturale contemporaneo: l’anima. L’intento tuttavia non è quello di provocare una discussione filosofico-teologica, come quella suscitata dal coraggioso libro di V. Mancuso, L’anima e il suo destino[1], ma promuovere nei suoi confronti una rinnovata sensibilità poetica prima che concettuale, convinto com’è della necessità di questo atteggiamento primigenio, nell’attuale dibattito ecologico, specie per chi intente riformulare un adeguato approccio nei riguardi della Natura, per superare quei pregiudizi culturali, morali e religiosi che nel corso dei secoli hanno finito col creare un atteggiamento di sfruttamento nei suoi confronti. Ne scaturisce comunque una riflessione che ci auguriamo foriera di risposte feconde per le attuali istanze sociali.
E che questo sia lo scopo del poeta lo si deduce dal modo con cui egli si rivolge al lettore: con delicatezza, leggerezza e soavità, com’è tipico del suo stile: senza aggredire o imporsi su di lui, anzi sforzandosi di persuaderlo dall’interno. Si tratta, perciò, di un sussurro, come fa la brezza della sera quando trasporta nell’aria l’amore nel cuore degli amanti, suscitando l’ardore reciproco, ma senza indurli necessariamente a possedersi l’un l’altro. Per questo il suo invito necessita di essere accolto con la stessa leggerezza di chi si pone in silenzio all’ascolto del silenzio. Ed è forse veramente questo l’atteggiamento più idoneo per entrare in sintonia col poeta e soprattutto con quel principio vitale che la tradizione filosofica greca traduce col termine ánemos o psykhé; quella biblica con nefeš e quella cristiana con pnéuma, tutti termini che, sia pure con diverse sfumature semantiche, intendono esprimere quel sottile “alito”, “respiro”, “fiato”, “soffio”[2] vitale che è alla base della vita vegetativa, sensitiva, intellettiva e spirituale di ogni essere vivente. Si tratta di un elemento leggero, lieve, delicato, appena percettibile, verso il quale però manifestiamo così poca attenzione e riconoscenza, eppure è così fondamentale per la nostra esistenza, senza il quale nessuno potrebbe vivere. La sua perciò è una presenza discreta, semplice, silenziosa che spira nel nascondimento di sé. È viva, rende vivi, ma rimane inavvertibile. In altre parole è l’essenza che presiede la vita. Da essa dipende tutto ciò che è vivo, e verso di essa converge tutta l’essenza della nostra esistenza. Nulla rimane di noi, solo l’anima. Già, ma cos’è l’anima? Ecco la questione fondamentale. In che modo si manifesta? A quali elementi l’associamo? Con quali attività la identifichiamo? Forse con quelle della nostra libertà? O con quelle che provengono dalla nostra condotta morale onesta e autentica? O ancora quelle che derivano dal nostro ideale di giustizia e santità? In sintesi, cos’è che affettivamente rimane di noi nel tempo: la genialità della nostra intelligenza creativa e speculativa? Le opere sociali, filosofiche, teologiche, artistiche, architettoniche, musicali, letterarie, scientifiche che compiamo; comprese le conquiste territoriali determinate dalle strategie belliche? Ma sono proprio queste opere per cui vale la pena vivere e conferiscono l’immortalità alla nostra esistenza? Eppure l’esperienza ci dice che nonostante tutto ciò non mancano i casi in cui il ricordo di persone illustre viene spesso corroso dall’oblio della memoria, anzi perfino l’attività dell’anima sembra scomparire con la morte del corpo, lo stesso con cui ha interagito ed è stata inscindibilmente unita, durante tutta l’esistenza. Cos’è allora che cerchiamo: l’immortalità o l’eternità? Potrebbe sembrare una differenza cavillosa in realtà è sostanziale. L’immortalità, infatti, è legata ancora al processo della vita biologica, come lascia intendere la reincarnazione (Atman); l’eternità, invece, è una qualità della vita relazionale che esula dal processo naturale. Essa è un dono che ci viene conferito dall’Alto a determinate condizioni cognitive e relazionali, come ci suggerisce il seguente passo evangelico: “Questa è la vita eterna”, dice Gesù, “che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Così espressa la partecipazione alla realtà eterna non dipende dalle attività dell’anima o dalle opere personali, ma scaturisce dalla risposta alla domanda che Gesù pone agli uomini di ogni tempo: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà … in eterno. Credi tu questo?” (Gv 11,25-26). La vita eterna ci appare allora costituita dalla comunione d’amore con Dio. Posta in questi termini anche l’anima, al pari di ogni essere vivente, è soggetta alla sua dissolvenza, e riceve la vita eterna in virtù della sua partecipazione allo Spirito di Cristo, l’unico uomo di cui è attestata la realtà della risurrezione e il passaggio definitivo alla vita gloriosa attraverso la sua Via.
Una simile conclusione potrebbe apparire una forzatura dettata dalla fede e invece l’autore si procura di tracciare il percorso cognitivo che porta alla sua comprensione, rendendoci partecipe dell’ispirazione poetica che lo ha portato alla creazione di questo componimento letterario, come merge da questo suo stesso racconto: “Un giorno, durante le vacanze estive fatte nella città di Trani, mi trovavo sulla costa frastagliata adiacente al porto e osservando alcuni specchi naturali d’acqua scavati dall’erosione del mare sulla roccia, fui colpito dal sottile strato di sale che rimaneva depositato sulla superficie. Un fenomeno del tutto naturale che accese però la mia immaginazione. Ad attirare l’attenzione tuttavia non fu il sale, ma il fenomeno dell’evaporazione dell’acqua che, sia pure invisibile, rimaneva comunque presente nell’aria, dando origine a quel processo che garantisce la vita nel mondo e la sua continuità nel tempo. Da qui l’analogia con l’anima, che al pari dell’acqua del mare esala nel cielo, senza tuttavia smettere di vivere. La sua vita perenne tuttavia non dipende da una qualità intrinseca alla sua natura, ma dalla partecipazione allo Spirito Divino, datore di vita, il quale attraverso la sua dissolvenza nel cielo le conferisce la vita eterna”.
Riletta alla luce di questo racconto la poesia consegna al lettore il senso teologico che l’autore attribuisce all’espressione: Anima mundi, tipicamente filosofica. Tale senso trova nella nota affermazione della lettera a Diogneto: “I cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”, la sua esplicitazione più eloquente. Convinto di questo inscindibile rapporto tra la sua anima e l’esistenza del mondo egli vive anche in funzione della trasfigurazione (metamorfosi cf. Mt 17,2) del creato verso la vita eterna, secondo le parole di Paolo ai Romani: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio … e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (cf. Rm 8,19-21). Si palesano così i criteri interpretativi che consentono al lettore di rileggere nella stessa luce ispirativa e creativa la poesia: “Come il mare / alle saline / effonde l’anima mia / l’essenza sua nell’aria / e librandosi nel cielo / dall’alto nutre / degli uomini / la vita”.
[1] V. Mancuso, L’anima e il suo destino, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007.
[2] Questi ultimi due termini italiani comportano perfino la pronuncia onomatopeica della lettera “f”, come a voler ripetere la stessa emissione dell’aria.




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