top of page

Poesia nuova

Cenacolo poetico






Poesia nuova

 

I poeti non creano parole

solo le trasformano

adeguandole al Verbo;

ed esse,

trasfigurate dall’interno,

sono come fecondate:

capaci di incarnare

Dio nei cuori;

e un cuore nuovo

fa poesia nuova:

sacramento del Bello

tra gli uomini.

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

I poeti vengono comunemente qualificati come maestri della parola, e di fatti lo sono, per la specifica arte metrica ed espressiva di cui dispongono, che li fa distinguere, tra l’altro, anche per la capacità che essi hanno di “creare parole” nuove. Eppure la storia della poesia ci insegna che queste qualità non bastano a fare un poeta. Ci si chiede perciò: cos’è che fa di uno scrittore un poeta? Le sue parole, non sono forse quelle di tutti gli altri? E così anche i suoi pensieri, le sue intuizioni, i suoi sentimenti, i suoi interessi? In realtà nulla di tutto ciò lo consacra tale, né l’arte metrica e neppure la sua visionaria creatività, ma la capacità di “trasformare” le parole comuni in parole poetiche, in quelle parole, cioè, che pur facendo parte del quotidiano tessuto comunicativo e relazionale, vengono risignificate, così da ricondurle al significativo silenzio dal quale esse provengono.

Per questa ragione il poeta potrebbe essere paragonato ad un santo: anch’egli è un uomo comune, con lo stesso corpo, la stessa carne animata dallo stesso spirito; e vive come tutti gli altri, nutrendo gli stessi bisogni e gli stessi desideri, eppure rispetto a tutti gli altri dispone di una forza emanativa che lo contraddistingue e lo sottrae alla quotidiana usura del tempo e delle passioni. Una luce si sprigiona da lui, la cui sorgente non viene dalle sue qualità, ma dalla disponibilità a lasciarsi trasfigurare da Dio in forza di quell’amore che “fa nuove tutte le cose (Ap 21,5). Dio è per lui il Principio che lo genera all’amore (cf. 1Gv 4,7) e d’amore egli impregna tutto ciò che pensa, dice e fa. L’amore costituisce non solo il suo ideale di vita, ma la natura originaria che lo costituisce e dalla quale egli discende. Ed anch’egli, come il Padre che lo ha generato all’amore, non desidera che amare ed incarnare suo il suo nel vissuto quotidiano. Il suo unico desiderio è: “Essere perfetto com’è perfetto il Padre che è nei cieli” (Mt 5,48). In ciò egli risponde al desiderio stesso di Dio: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2). Per lui l’amore praticato è la cifra della santità di Dio in lui. L’amore diventa così il suo modo d’essere; lo stile espressivo della sua vita. Il suo vestito. Egli non parla d’amore, ma è l’amore. L’amore è la sua seconda natura, o meglio, la sua natura originaria. In forza di questo amore il santo, come Cristo, fa dell’uomo comune un uomo divino, trasfigurando dall’interno la sua carne fino a irraggiare la filialità divina, conferitagli dal Cristo.  

Animato dallo stesso amore il poeta fa di se stesso un verbo di Dio in mezzo agli uomini (Cf. Mt 18,20). Anzi, diventa come lui parola che si fa poesia nel mondo (cf. Gv1,14). E ciò non tanto in virtù della conoscenza linguistica che lo collega alla radice etimologica dalla quale le sue parole provengono, ma per merito di quell’alveo mistico che circonda il loro silenzio originario e profondo, che costituisce il principio Divino della sua poetica. Nelle sue parole avviene una trasformazione semantica, simile a quella che accade nella sostanza per le specie del pane e del vino durante l’epiclesi eucaristica, dove la loro natura originaria viene impregnata di quella divina. Allo stesso modo anche le sue parole vengono trasformate, fino a divenire rivelative del Verbo originario. Così rese le sue parole diventano ‘parole di verità’ e perciò stesso ‘parole eterne’, capaci non solo di sfidare le mode letterarie del tempo, ma di gettare un fascio di luce sul mistero della parola poetica che alberga tacitamente nel cuore di ogni uomo e donna.

Una simile cambiamento semantico prevede nel poeta un processo di rinnovamento verbale pari a quello fisico di Cristo avvenuto durante la sua Trasfigurazione (cf. Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36), dove la sua persona diventa rivelativa non solo della sua originaria identità divina, ma perfino dell’identità umana, al punto da essere qualificato dal Padre come l’Immagine stessa dell’Uomo, ovvero di colui che più di ogni altro, esprime la sua “Immagine e somiglianza” impressa in ogni persona (cf. Mc 9,7). In questa prospettiva la poesia diventa il luogo in cui la parola umana si coniuga con quella originaria del Verbo, fino a diventare con essa una sola cosa inscindibile, dove l’una non può più sussistere senza l’altra, in un perenne movimento di reciproco darsi dell’una nell’altra. E tuttavia questa sua opera trasfigurativa non può che avvenire secondo quelle disposizioni delineate da san Paolo nella sua lettera ai Filippesi 2,5-11, dove afferma che Cristo, pur disponendo di tutte le prerogative del Verbo di Dio, decise di parlare da uomo comune, facendo uso di semplici metafore, tratte dal vissuto della sua vita quotidiana. Lungi dallo sfoggiare pensieri complessi, articolati con discorsi forbiti, nel rivelare il Regno del Padre, si svuotò della sua potenza verbale, per parlare da servo, totalmente dipendente dall’ispirazione dello Spirito di Dio. Allo stesso modo il poeta svuotandosi del suo io poetico, anziché limitare la sua libertà espressiva, determina le condizioni per una rinnovata consacrazione alla Bellezza.  Così “trasfigurate” le parole del poeta “sono come fecondate: / capaci di incarnare / Dio nei cuori; / e un cuore nuovo / fa poesia nuova: / sacramento del Bello / tra gli uomini”. Collocata nel contesto pasquale questa poesia diventa evocativa di una Poesia nuova.

Post recenti

Mostra tutti

Comments


© Copyright – Luigi RAZZANO– All rights reserved – tutti i diritti riservati”

  • Facebook
  • Black Icon Instagram
  • Black Icon YouTube
  • logo telegram
bottom of page