È l’alba
- don luigi
- 16 apr
- Tempo di lettura: 4 min
Cenacolo poetico

È l’alba
Laggiù, all’orizzonte,
la luce fende
il buio della notte
e come un adagio cromatico
di cosmica alchimia,
muta nell’aurora
i suoi colori:
è l’alba …
in questo cuore mio,
quando, di pari,
come una fulgida
lama dal cielo,
mi trafigge
la luce
della tua Bellezza.
Luigi Razzano
Iconologia poetica

L’immagine che emerge dalla prima parte di questa poesia descrive chiaramente il fenomeno atmosferico dell’alba e lo fa, a dire il vero, con una straordinaria sequenza letteraria, piuttosto suggestiva: “Laggiù all’orizzonte / la luce fende / il buio della notte / e come un adagio cromatico / di cosmica alchimia, / muta nell’aurora / i suoi colori”. Solo nella seconda parte si capisce che essa è evocativa di un’altra alba, dal sapore esistenziale, che il poeta sperimenta a seguito della sua avventura spirituale nella Bellezza: “è l’alba … / in questo cuore mio, / quando, di pari, / come una fulgida lama / dal cielo / mi trafigge / la luce / della tua Bellezza”. Si tratta evidentemente della Bellezza divina, come lascia intendere l’origine “celeste” della luce che penetra nel suo cuore come una “lama”. L’identità Divina della Bellezza viene tuttavia sottintesa, come a volere lasciare il lettore libero di scoprirla personalmente, nella misura in cui partecipa della stessa esperienza esistenziale e spirituale del poeta.
Il significato della poesia potrebbe essere limitato a questo paragone e nulla lascia presagire che l’autore abbia voluto dire qualcos’altro. Eppure riesce difficile immaginare che egli si limiti ad evidenziare solo questa affinità. Ad una lettura più attenta, infatti, si capisce che tanto il “fenomeno atmosferico dell’alba”, quanto quello “spirituale del poeta”, non mancano di rimandare ad un evento ben più profondo e complesso, relativo alla dimensione esistenziale dell’umanità in questo particolare passaggio storico dalle dimensioni epocali. “Il buio della notte”, nel quale ci ha condotti la prolungata stagione nichilista, sembra non avere fondo né fine: il relativismo che ne segue ci impedisce, poi, di avere uno sguardo nitido sull’orizzonte, capace di farci intravedere i segni degli auspicati cambiamenti, dei quali avvertiamo più che mai l’urgenza. Privati come siamo di una verità ontologica e soprattutto di una voce profetica che ci aiuti a discernerla, l’umanità rischia di scivolare in un pericoloso, quanto angosciante, pessimismo sociale. In un simile contesto, nutrire già la semplice speranza, pare rivelarsi un’impresa più che ardua.
Ma il poeta non sembra lasciarsi condizionare da questo anestetizzante clima culturale, che ha, per così dire, rinnegato le sue origini; anzi, quell’inizio che per molti sembra tardare ad albeggiare, per lui è già avvenuto nella zona più recondita del suo cuore. Pertanto, quei colori aurorali che agli occhi degli altri non sono che indizi insignificanti o semplici variazioni cromatiche, provocate da fantastici giochi atmosferici, per lui diventano segni rivelativi della misteriosa azione creativa di Dio nella natura, la cui opera appare, com’è nel suo stile, sempre discreta e silenziosa, mai ostentata. Si profila così il vero significato storico ed escatologico dell’“alba del nuovo giorno”, originata dallo “Spirito che fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5). In questo senso il paragone tra la “luce” e la “Bellezza”, i cui effetti vengono equiparati a quelli provocati da una “lama” che “fende” e “trafigge” tanto “il buio della notte” quanto il “cuore” del poeta, acquistano il sapore del contrasto, simile alla dissonanza musicale, quando viene accostato al suggestivo e pacato movimento dell’“adagio cromatico / di cosmica alchimia” che “muta nell’aurora / i suoi colori”, rendendo, in questo modo, più ritmato l’andamento della poesia.
Fa da sfondo a questa analogia poetica l’immagine della “lama a doppio taglio” che l’autore della lettera agli Ebrei 4,12 e Paolo nella lettera agli Efesini 6,17 associano alla Parola di Dio, la cui memoria biblica sembra echeggiare tacitamente nella mente del poeta. “Luce” e “Parola” operano entrambe misteriosamente: l’una a livello fisico: “come / in una cosmica alchimia”; l’altra spiritualmente: “come una lama / dal cielo”. Nell’uno e nell’altro caso provocano una sostanziale trasformazione ontologica nel poeta. Da qui la formula che congiunge entrambe le immagini: “è l’alba … / in questo cuore mio”, posta al centro dell’intero componimento.
L’alba evocata in questa poesia è dunque quella escatologica, che affonda però le sue radici nell’evento storico della Pentecoste e precisamente nell’ascolto della “Parola” predicata da Pietro agli albori della Risurrezione di Cristo, provocando negli astanti una vera e propria ferita, come annota l’autore degli Atti: “All’udire queste parole, i presenti si sentirono come trafiggere il cuore” (At 2,37). La stessa trafittura che si propaga nel tempo, fino a raggiungere, nell’oggi, il cuore del poeta. In questo rinnovato orizzonte spirituale, quella Parola divina, che negli ultimi secoli è stata a lungo relegata ai margini di ogni interesse culturale, torna ad essere ascoltata e a diventare un termine di confronto, rivelando, in questo modo, tutto il suo potere ricreativo e rigenerativo. Così intesa essa diventa capace di riaccendere non solo la speranza, ma anche l’anelito verso quel senso ultimo della vita che dà compimento all’esistenza.




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