Il faro
- don luigi
- 13 mar 2024
- Tempo di lettura: 2 min
Cenacolo poetico

Il faro
S’erge come l’ultimo
avamposto di frontiera,
sulla roccia in mezzo al mare,
alto, solitario e saldo.
Luce nella notte:
come sentinella dell’aurora
il faro sta
per i nomadi del cielo.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
Il faro. Ho sempre nutrito una particolare ammirazione per questa singolare struttura architettonica, nella quale, non poche volte, ho immaginato e perfino desiderato, vivere. Il faro è una struttura di frontiera, per la sua speciale collocazione geografica, posto com’è al confine tra la terra, il mare e il cielo. Per questa ragione si presta ad essere una straordinaria metafora “per i nomadi del cielo”, ovvero per coloro che, non paghi della propria terra d’origine, avvertono il bisogno di attraversare il mare, per cercare altrove le loro radici esistenziali. Il faro diventa allora simbolo di chi si sforza di vedere dall’Alto la propria esistenza, con lo sguardo mistico del cuore, oltre l’orizzonte della terra, là dove il mare si posa nel talamo del cielo. Per questo in esso convergono tre diversi mondi: quello terreno, simbolo della natura umana; quello marino, simbolo del caos originario; quello celeste, simbolo di Dio e dell’ordine cosmico.
In questa prospettiva il faro diventa evocativo del viaggio, nelle sue diverse tipologie: fisico, introspettivo, esistenziale e spirituale; ma anche delle sue diverse direzioni: verso se stesso (la terra); verso l’altro da sé (il mare), oltre se stesso e l’altro da sé (il cielo). Per compiere questi diversi viaggi ciascuno si equipaggia come meglio crede. Alcuni ritengono di munirsi solo di strumenti nautici, scientifici e tecnologici, reputandoli sufficienti per il viaggio fisico; altri credono opportuno corredarsi di un apparato psicologico, per compiere quello introspettivo; altri ancora ricorrono alle conoscenze filosofiche, per affrontare quello esistenziale. Vi sono alcuni che ritengono fondamentale, invece, equipaggiarsi della sapienza religiosa, stratificata nel corso dei secoli e sedimentata nel cuore delle generazioni, per compiere quello spirituale.
Per tutti costoro il faro assume un diverso significato che va dalla semplice luce nella notte a quello della luce della fede, quella luce capace di illuminare le notti dello spirito. Comunque venga intesa questa luce, può apparire intermittente, flebile, fioca, offuscata, chiara, nitida, confusa con quella delle stelle o dei lampi abbaglianti delle folgori. Questa diversa manifestazione luminosa dipende dalle condizioni atmosferiche, psichiche, intellettive, spirituali di chi decide di compiere il suo tipo di viaggio. In ogni caso si tratta di quel grande viaggio che è la Vita, nella quale “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28).
Per ciascuno il faro è una luce sicura, capace di riorientare la rotta, specie nelle notti burrascose della vita. Esso diventa allora simbolo di una presenza “salda”, come la roccia sulla quale si “erge come l’ultimo / avamposto di frontiera”, ovvero come l’estremo punto di riferimento, oltre il quale si rischia il naufragio. Per costoro il faro, diventa “sentinella dell’aurora”, capace cioè di accendere, nell’orizzonte sconfinato della memoria, la luce della speranza, magari un po’ corrosa dalla salsedine del tempo, ma pur sempre luce in grado di illuminare il ricordo di Dio, in quelle zone buie, agitate ed estreme del cuore, là dove Dio, appare piccolo come un puntino, ma estremamente significativo “per i nomadi del cielo”.
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