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Ciottoli di mare

Cenacolo poetico




Ciottoli di mare

 

Agitati dalle onde

ce ne stiamo sulla riva

a lasciarci plasmare,

da questo moto

arcano dell’amore:

di posarci nella vita

e poi lasciarci levigare,

come ciottoli di mare,

dai flutti del dolore.

Che mai è questo modo suo

di trascendere le cose:

scorgere l’immenso all’orizzonte

e, di contro, ritrovarsi qui

al suo confine,

come questi ciottoli di mare,

in attesa di varcare

la soglia dell’eterno.

 

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

Un’immagine chiaramente esistenziale quella che il poeta crea in questa lirica, dove tutti noi – paragonati a un oggetto estremamente comune in questo periodo estivo, come i “ciottoli di mare” – veniamo posti dinanzi al limite delle nostre possibilità: “scorgere l’immenso all’orizzonte / e, di contro, ritrovarsi qui / al suo confine, / come questi ciottoli di mare, / in attesa di varcare / la soglia dell’eterno”. Ne scaturisce un paragone dissonante tra “l’immensità” che si apre davanti a noi e l’immobilità dettata dal peso dei “ciottoli di mare” che, sebbene siano “agitati dalle onde”, sono destinati a rimanere inermi, al di qua dell’eterno, o meglio sulla linea di confine tra il finito e l’infinito, linea che in questa lirica, viene espressa dall’immagine della “riva”, posta com’è al confine tra il mare – simbolo dell’immensità – e la terra ferma, simbolo del limite umano. Tuttavia ciò non ci impedisce di essere attraversati dall’anelito dell’eterno che alimenta la tensione “trascendente” verso l’Oltre di noi. Ed è proprio questa tensione carica di speranza a farci prendere coscienza che il passaggio non dipende solo da noi. “Varcare / la soglia dell’eterno” è un processo che chiama in causa Colui che fa dell’eternità la sua dimora: Dio. Ciò nonostante l’esistenza umana rimane un evento misterioso, quasi paradossale: da una parte sembra di essere “posati” dal Suo amore sulla riva della vita, con tutta l’attenzione che trapela dal termine “posare” [1], dall’altra questo atto di estrema premura non ci esonera dallo sperimentare la dolorosa drammaticità dell’esistenza, che malgrado tutto ci “plasma” con i suoi eventi. Da qui la domanda: “Che mai è questo modo suo / di trascendere le cose”? L’amore, soprattutto quello divino, si rivela qui in tutta la sua sorprendente misteriosità, da lasciare affiorare nel poeta un interrogativo antico: cos’è “questo moto / arcano dell’amore: / di posarci nella vita / e poi lasciarci levigare, / come ciottoli di mare, / dai flutti del dolore”? Un’istanza destinata a rimanere aperta fino all’epilogo della storia personale e universale, in attesa del quale essa rimane forse l’interrogativo più arcano che inquieta il cuore d’ogni creatura umana.


[1] Il termine “posare” è qui indice di una prospettiva esistenziale del tutto opposta a quella prospettata da Eugenio Montale, il quale paragona gli uomini agli “ossi di seppia” “gettati” sulla spiaggia come relitti dalla risacca. Ne deriva una visione essenzialmente desolante in cui le persone e quanto appartiene alla terra, sono fondamentalmente squallide presenze, prive di significato che il poeta riassume nella nota formula “male di vivere”, mentre la vita si nutre al contempo anche di sentimenti di bene, gioia, speranza. Nessuna riduzione estrema è possibile se s’intende interpretare integralmente l’esistenza. 

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