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Senza indugio

Cenacolo poetico



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Senza indugio

 

Senza indugio.

Si recarono così

i pastori dal Messia,

in quella notte di solstizio;

quando sbigottiti dall’annuncio,

lo trovarono bambino, adagiato

come un grumo di carne rosato

nel vuoto d’una mangiatoia.

Nessuno tra loro

pare ne conoscesse la venuta,

d’altronde si diceva: erano pastori.

Di contro, invano l’attesero i reali

di vederlo come loro:

potente tra i potenti.

Delusi e minacciati

i sovrani d’ogni tempo,

ne decidono, concordi,

la sorte e la condanna.

Ma i pastori, quelli no:

anzi, riferirono senza fiato

ciò che nel silenzio

era stato detto loro.

Ma che mai di lui si disse

da lasciare attonita

e colma di silenzio

la madre sua,

ch’ella custodiva con riserbo

quelle parole arcane?

Che forse qualcuno tra di noi

non oserebbe gettare,

seppure per un attimo d’eterno,

lo sguardo in quel bambino,

e vedere in lui l’ineffabile Mistero;

o mettersi d’orecchio,

in quell’intimo segreto,

ad ascoltar la voce

di quell’indicibile latore

e dir, con lui,

sì, con parole sue,

la gioia d’averne visto il volto;

o posar, ancora di più, con i pastori,

le mani in quella madia,

consumata dall’amore,

e farsi, come lui,

pane spezzato d’ogni uomo?

E che già si dirà di noi

se tornando a valle tra le genti,

tacessimo quest’incredibile notizia

d’aver trovato l’Agnello perso,

tra i colli della storia, abbandonato,

e dirlo, come loro,

senza indugio,

per la gioia, sola,

d’averlo ritrovato?

Non forse è questa la novella

che illumina le notti d’ogni uomo,

di chi, attende ancora

nell’oggi della fede,

sentirsi dire: È nato! Sì, è nato,

l’Agnello tanto atteso: è stato ritrovato.

 

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

Trai protagonisti indiscussi della Natività vi sono senza dubbio i Pastori. La loro presenza nel presepe ha acquisito, col tempo, un alone poetico che certamente non aveva nell’originario contesto narrativo dei Vangeli. Al contrario, essi costituivano una classe sociale emarginata e disprezzata dai farisei, per via del loro lavoro che li portava ad essere costantemente lontani dalla vita religiosa ufficiale. Per questo erano considerati impuri e quindi esclusi dalla salvezza. Il disprezzo che veniva nutrito nei loro confronti era tale che secondo alcune disposizioni religiose, se capitava a qualcuno di vederli caduti in un fosso, in giorno di sabato, non si poteva neppure prestar loro una mano ad uscire, mentre lo stesso aiuto era previsto per gli asini. Malgrado tutto, stando al racconto biblico, essi diventano i primi destinatari dell’annuncio evangelico. Ad essi, gli Angeli, si rivolgono come ai poveri delle beatitudini (cf. Mt 5,3), convinti di trovare in loro quell’originario atteggiamento religioso, ancora incontaminato, privo dell’ipocrisia farisaica. Ed essi, infatti, senza indugio, credettero alla parola degli Angeli. Una volta dinanzi al bambino i pastori cominciano a raccontare tutto com’era stato detto loro. Diametralmente opposto all’umiltà del loro atteggiamento è l’arroganza dei potenti d’ogni tempo che vedono nella logica evangelica del Bambino Gesù, un segno di contraddizione (cf. Lc 2,34) per la riuscita delle loro trame di potere. La fedeltà della poesia al testo evangelico appare fin qui evidente, specie nella descrizione che viene fatta di Maria, colta nel suo atteggiamento attonito e meditativo, per le parole sul figlio che le vengono riferite dai pastori.

Da qui segue un intreccio di registri narrativi, nei quali convergono diversi episodi evangelici che consentono al lettore di immaginarsi non solo nella scena d’epoca, ma di rendere attuale il racconto del Natale, mettendosi nelle vesti di un pastore che non indugia a lasciare il proprio gregge pur mettersi alla ricerca della pecora perduta. Paradossalmente i ruoli rispetto ai testi biblici ai quali si fa riferimento (cf. Ez 34,10-13; Sal 23; Mt 18,12-14; Lc 15,1-7; Gv 10,1-21), vengono qui invertiti: il pastore è l’uomo e la pecora perduta è l’“Agnello di Dio” (Gv 1,29), ovvero Cristo, di cui l’uomo d’oggi ha smarrito la presenza. Più che mai egli è invitato a lasciare le proprie sicurezze per mettersi alla ricerca di Dio, lasciandosi accarezzare dalla speranza, che misteriosamente lo Spirito nutre in lui, di ritrovarlo ancora una volta nel dramma esistenziale della propria vita. Più delle altre è questa la “novella” (notizia) che egli spera di sentirsi annunciare nella cella segreta del cuore: “È nato! Sì, è nato, / l’Agnello tanto atteso: è stato ritrovato”. Essa viene immaginata come motivo di gioia che dà senso e pienezza alla sua esistenza.

 

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