Poëticae Mater
- don luigi
- 17 gen 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Cenacolo poetico

Poëticae Mater
All’alba d’ogni giorno,
silenziosa siedi accanto a noi
ad ascoltar la voce
che sale in noi spirando.
Adagio sospingi la porta
della nostalgia sopita:
del bello, che per natura sai cerchiamo,
ti fai irresistibile richiamo.
Cielo di silenzio,
sfondo tacito
di un nulla colmo di poesia;
ideale umano di natura e grazia,
che se al tuo amore
si conforma il nostro
al pari tuo possiamo dire
col Verbo, Dio.
Chi più di te, celeste donna,
ha mai visto Dio,
sì da figurarne il volto
nel Figlio suo divino?
Chi, come te, è sì
pervasa della grazia
da plasmare con le mani
l’invisibile mistero;
da dir con la Parola
l’indicibile silenzio e
da cantar con l’essere
l’armonia dell’amore?
Tu Maria,
che della poetica arte
sei la madre.
E per questo modo tuo
di dare Dio al mondo
di fremito susciti l’attesa
nel dire il Verbo
che accade in noi.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
“Tra i tanti appellativi rivolti alla Madonna, questo che le dà il sacerdote artista Luigi Razzano, è del tutto nuovo: “Poëticae Mater”, Madre della Poetica. Con profondità di pensiero e ardore di fede, egli scorge la presenza della Madonna nella gestazione della poesia. La poesia di un animo puro, è ispirazione divina che viene dall’Alto, e riflette una poetica, cioè una concezione della poesia, ugualmente pura e trasparente”. Così Maria Elena Mignosi Picone nella sua Recensione alla raccolta delle mie poesie su Maria, pubblicate nel 2021, per i tipi di Guido Miano Editore, Milano. Un’osservazione acuta questa della poetessa palermitana che ha il merito di aver colto in pieno il senso della mia poetica e alla quale va il mio plauso e riconoscimento.
In realtà l’appellativo Poëticae Mater, pur nuovo nella sua formulazione, ha radici antiche e trova la sua origine nell’interpretazione giovannea del Cristo, quando parla di lui in termini di Verbo e di Verbo incarnato (cf. Gv 1,1.14), del quale Maria viene riconosciuta la Madre, come intuiscono i Sinottici nei Vangeli dell’infanzia (cf. Mt 1,18-25; Lc 1,26-38; 2,1-20), ribadisce Paolo nella lettera ai Galati, quando ne afferma la “nascita da donna” (cf. Gal 4,4), e confermato, infine, nel 431 dal Concilio di Efeso che ne sancisce teologicamente la maternità divina. Maria dunque è Madre del Verbo, ovvero della Parola di Dio. E cosa più del Parola è all’origine della poesia. Si giustifica così l’uso di un titolo col quale, oltre alla maternità umana, divina, spirituale ed ecclesiale, le viene riconosciuta anche quella poetica. Non che Maria abbia scritto poesie[1], ma perché ancora più che in un poeta in lei accade la Parola di Dio: l’evento poetico per eccellenza. Maria diventa così quel singolare luogo poetico in cui il Verbo di Dio si dà a conoscere e a vedere, e come tale ne esprime la bellezza nella sua manifestazione umana. E come Maria è stata capace di dare la “carne” al Verbo di Dio in Gesù di Nazaret, il poeta dà forma alla sua bellezza, nel componimento poetico. In ciò il poeta condivide con Maria lo straordinario potere creativo di generare la parola e più specificamente la parola poetica. E se la bellezza che nasce da Maria è al contempo umano e divina, di pari, quella che scaturisce dal poeta è caratterizzata da una dimensione letteraria e mistica. La sua infatti oltre ad essere formulata da criteri estetico-letterari, presuppone un’ineludibile opera dello Spirito che ne garantisce il principio vitale e ispirativo. Pertanto, questa bellezza, lungi dal cristallizzarsi in una forma compiuta e definitiva, sopravviene nell’evento sempre perenne dello Spirito che fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5). Un “roveto ardente” che brucia senza mai consumarsi, esattamente come l’amore, che malgrado l’usura del tempo e le alterazioni umane, rimane inestinguibile, per la forza rigenerante e trascendente che lo caratterizza.
Il ritratto del poeta, dunque, che viene qui delineato è quello di chi si lascia sedurre e fecondare dallo Spirito, non già per dire di sé, ma quello che il Verbo compie in lui, o meglio, “il Verbo che accade in lui”. E la poesia che ne scaturisce non è quella che si conforma ad un’ideale letterario, sia pure di ispirazione sacra, ma quella che nasce dalla novità evangelica dell’amore filiale di Cristo, la cui luce consente di gettare uno sguardo nel mistero della comunione trinitaria, quale suo principio e compimento.
Trova qui la sua origine, il suo senso, il suo fine quella poetica che è a fondamento della mia poesia, nonché della mia arte, ovvero quell’insieme di concezioni estetiche, in questo caso anche teologiche, tese ad evidenziare il processo ispirativo, creativo e formativo dell’attività poetica e artistica, quando vengono intese come forme di ministero ecclesiale.
[1] L’unico testo che le viene attribuito, per altro di formulazione lucana, è il Magnificat (cf. Lc 1,46-55), che costituisce una straordinaria sintesi unitaria di linguaggio poetico e profetico che, senza cedere il passo all’utopia, traccia il futuro della logica evangelica nel mondo.
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