Poesia nomadica
- don luigi
- 14 feb 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 15 feb 2024
Cenacolo poetico

Poesia nomadica
Come un nomade
in cerca d’essenza
vaga ramingo il poeta
in questo deserto di bellezza
ch’è il cuore dell’uomo.
Di nulla s’appaga:
non di solo parole egli vive;
né la metrica arte
colma l’indomita sete.
Il mondo non basta,
neppure la vita,
solo nel Verbo
trova pace il suo cuore.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
Questa poesia sembra parafrasare due note citazioni: quella di Gesù, pronunciata al termine della sua permanenza nel deserto dove, al seduttore che chiese di cambiare le pietre in pane, rispose: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4; cf. Dt 8,3; Sap 16,26); e quella di Sant’Agostino che facendosi interprete della sua travagliata ricerca di Dio, disse: “Ci hai fatti per te, o Signore e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Confessioni, 1,1). Si profila così l’orizzonte spirituale sul quale si staglia il senso di questa Poesia nomadica, che porta alla luce la condizione esistenziale del poeta, profondamente caratterizzata da una costante e indomita sete di bellezza, la cui ansia lo induce a trasformare la sua intera esistenza in quella di un “nomade in cerca d’essenza”. Si tratta evidentemente di una sete insolita, che né la bellezza naturale né quella artistica o poetica, riescono ad appagare. Cosa cerca allora il poeta? Quali “parole” o quale “arte metrica” potranno mai colmare il suo vuoto esistenziale? Le domande inducono il lettore ad assumere uno sguardo introspettivo e a volgere l’attenzione alla condizione esistenziale del cuore dell’uomo, dove ancora prima che nell’attuale contesto culturale e sociale, la bellezza sembra essere stata esiliata, e il poeta, sensibile a questo esilio, sembra essere tra quei pochi in grado di registrarlo. Da qui il dramma della sua esistenza, che lo porta a “vagare ramingo … / in questo deserto di bellezza, / ch’è il cuore dell’uomo”. Ne scaturisce un cammino di ricerca che nel suo caso specifico assume una connotazione tutta artistica, che egli traduce cioè in un’ascesi poetica, volta a purificare tutte quelle sovrastrutture estetiche e culturali che gli impediscono di cogliere l’essenza stessa della bellezza. Una vera e propria metanoia artistica che consiste nel cambiamento di tutti i parametri culturali acquisiti fino ad allora. In altre parole, quel processo di rinnovamento che viene comunemente compiuto a livello spirituale, egli è chiamato a realizzarlo anche a livello estetico. Il che significa che al poeta non viene chiesto solo di rinunciare a se stesso, ma anche all’io poetico che lo costituisce. Un’operazione delicata e profonda che non a tutti è dato di capire (cf. Mt 19,10-12). Essa prevede perciò una conversione che coinvolge non solo la sua dimensione spirituale e morale, ma anche intellettiva e artistica.
Ma qual è questa bellezza in grado di innescare un simile cambio di prospettiva? Quale bellezza è in grado di appagare questa sua inestinguibile sete esistenziale? L’autore non fa mistero della sua intuizione estetica, colta nell’evento estatico del Verbo Divino, il quale, nel dire Dio, manifesta tutta la bellezza della sua vita divina. La bellezza diventa in questo caso luogo rivelativo di un evento che trascende la sua forma visibile, naturale o artistica che sia, a favore di quella invisibile. Come il Verbo anche il poeta si sente chiamato ad uscire perennemente fuori di sé, dalla sua soggettività, il cui culto assoluto – promosso dalla cultura degli ultimi secoli – lo ha ridotto a una monade autosufficiente, chiusa in se stessa. Poetizzare diventa così il dire del Verbo dentro di sé. È a questo evento estatico del Verbo che il poeta si sforza di accordare non solo la sua poesia, ma persino la sua esistenza. Il suo è un processo estatico che dura per tutta la vita. Pertanto egli non vive solo di parole, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. La sua poesia diventa così cifra dell’opera del Verbo dentro di lui, consapevole che la sua rimane solo un’intuizione che difficilmente riuscirà a tradurre in una forma poetica definitiva e compiuta. Da qui la dimensione nomadica della sua poesia, che non trova pace, finché non riposa nel Verbo.




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