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Pagina d’amore

Cenacolo poetico

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Pagina d’amore

 


Trasparente come il mare,

o meglio come l’aria

adamantina del mattino,

m’appare questo cuore mio

quando, trapassato dalla luce,

mi lascia intravedere

gli abissi oscuri dei suoi fondali.

E tanto lontano giunge

lo sguardo mio nel fondo

a veder le cose che ivi stanno,

che il cuore stesso,

sbigottito, tace e si spaura.

Certo, vorrei veder di più

per dire cosa accade,

nei meandri del mistero,

là dove Dio, non di rado,

fa capolino in me

dalla nube del suo cielo,

ma chi mai potrà dirmi con certezza

se reggerò lo sguardo

dinanzi a cotante meraviglie?

Di più, per ora, dire non saprei,

chè questo sguardo mio

è solo un attimo d’eterno,

sebbene quando accade

mi par di stare qui da sempre,

tanto naturale m’appare

la vita mia in Lui.

E che dire del Verbo suo in me:

del senso che rivela alla mia storia;

o ancora di quell’alito divino

ch’è alla sua, sublime e pura,

congiunge la mia vita.

Di questo o d’altro ancora

non so, per ora, palesar di più.

Lascio al tempo e ai posteri che vorranno

proferire su questa pagina d’amore.

D’altronde, poi, che altro

desiderar di più,

che quest’amore è già, per me,

la pienezza della vita.

Questo, e null’altro più

è il solo che mi basta,

per vivere, nell’oggi,

e nell’oltre ancora.

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

Pagina d’amore è il titolo di un componimento lirico, col quale il poeta partecipa il lettore di una sua straordinaria intuizione spirituale, sopraggiunta in modo gratuito e inaspettato, durante una quotidiana sosta tra gli scogli del pontile aragonese, sull’isola di Ischia. Essa scaturisce da un fenomeno naturale come la vista. Una mattina – caratterizzata da una inconsueta aria adamantina – mentre il poeta osservava il mare “trapassato dalla luce” solare, ebbe modo di gettare lo sguardo nelle profondità marine ed osservare la vita che vi brulicava dentro. Questo fenomeno, assolutamente ordinario e spontaneo, gli si rivela, però, in tutta la sua portata simbolica, diventando per lui evocativo di quell’evento spirituale che accade ai mistici, quando vengono fatti oggetti di una particolare rivelazione divina. Un fenomeno normale dunque, che però si trasforma nell’occasione per riflettere su quelle percezioni intellettive dove tutte le cose appaiono nella loro “trasparenza” fenomenica, perfettamente integrate l’una all’altra, dall’armonia dell’amore: “Trasparente come il mare, / o meglio come l’aria / adamantina del mattino, / m’appare questo cuore mio / quando, trapassato dalla luce, / mi lascia intravedere / gli abissi oscuri dei suoi fondali”. Esso gli offre perciò la possibilità di immergersi in uno spazio spirituale, che il poeta coglie nel suo cuore e nella sua mente, dove ha modo di sperimentare una profonda comunione d’amore con Dio, colto nella sua dimensione trinitaria, dove le Persone divine interagiscono in modo pericoretico[1]. In questa circostanza il suo sguardo spirituale gli appare così luminoso da riuscire a scrutare le profondità di questi spazi sovrumani e divini, dove però deve improvvisamente arrestarsi, per non soccombere alla pressione psichica che tale fenomeno esercita su di lui: “E tanto lontano giunge / lo sguardo mio nel fondo / a veder le cose che ivi stanno, / che il cuore stesso, /sbigottito, tace e si spaura”. In tutto ciò il poeta compie un’autentica esperienza religiosa, dove il Divino gli suscita al contempo sentimenti contrastanti di timore e attrazione (“Misterium tremendum et fascinans” di cui parla R. Otto, quando descrive il fenomeno del Sacro), al punto da non sapere più se continuare o meno a scrutare le profondità della sua visione divina: “chi mai potrà dirmi / con certezza se reggerò / dinanzi a cotante meraviglie?”. Lo rassicura la consapevolezza che si tratta solo di un’intuizione momentanea che lui definisce “attimo d’eterno”, “sebbene quando accade / mi par di stare qui da sempre, / tanto naturale m’appare / la vita mia in Lui”.

La lirica prosegue evidenziando gli effetti che scaturiscono dalla sua relazione col Verbo e con lo Spirito, definito qui “alito divino”, grazie ai quali egli intensifica la comunione d’amore con Dio: “E che dire del Verbo suo in me: /del senso che rivela alla mia storia; / o ancora di quell’alito divino / ch’è alla sua, sublime e pura, / congiunge la mia vita”. Egli vorrebbe comunicare di più di questa sua “esperienza mistica”, ma sente di non esserne capace: “Di questo o d’altro ancora / non so, per ora, palesar di più”. Da qui la decisione di lasciare ai “posteri che vorranno / proferire su questa pagina d’amore”. “D’altronde, poi, che altro / desiderar di più / che quest’amore è già, per me, / la pienezza della vita”. “Questo, e null’altro più / è il solo che mi basta, / per vivere, nell’oggi, / e nell’oltre ancora.

 

[1] Termine specifico della teologia trinitaria che indica la compenetrazione reciproca delle tre Persone divine: Padre, Figlio, Spirito Santo. Queste, pur essendo distinte, vivono l’una nell’altra, dando vita a una dinamismo circolare che genera la vita dell’amore.

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