‘Nu ragg’e sol
- don luigi
- 31 gen 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Cenacolo poetico

‘Nu ragg’e sol
’Nu ragg’e sol dint ’a stanzulell
trasev chianu, chianu,
comme a se spiave,
prime e ’nce trasì.
Era ’na stanzulell ner, fredd e peccerell
e nisciun tenev ’o curagg e ve trasì.
Chi ’a guardav se fermav da luntan
e ognun s’addimandav:
che ‘nce starà dint’ ’a chell stanzulell?
Ma nisciun comme ’o sol
trasett senza dicere ’e parol.
Era ’a luce che mancav
e ’a stanza c’aspettav.
Quant gente comme ’a chella stanzulell:
aspett, aspett, ma niscun
fa ’o coraggio e ve trasì.
’O sol tras senza dicere ’e parol,
pecché ’o sol è comme ammor,
quann tras cagn tutte ’e cos.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
Una poesia in dialetto napoletano per ‘far luce’ sulle sofferenze morali di coloro che vivono ai margini della vita sociale. Nel corso della storia queste persone hanno assunto varie definizioni. La Bibbia parla di loro in termini di “stranieri, orfani e vedove” (Zc 7,9-10). Oggi, essi indossano le vesti dei “migranti”. In ogni caso si tratta dei “poveri del mondo” e come tali costituiscono i “piccoli del regno dei cieli” (cf. Mt 18,1-5). Da qui il paragone con la piccola stanza o “stanzulell”, come scrive il poeta nella sua lingua natia, nella quale “nisciun tenev ’o curagg e ve trasì” (nessuno aveva il coraggio di entrare), perché era “’na stanzulell ner, fredd e peccerell”, (una stanza nera, fredda e piccolina), e come tale non offriva nessun motivo di attrazione ai suoi osservatori. Come la “stanzulell” anche i poveri non hanno nulla che attiri l’attenzione degli altri, anzi, il loro stesso aspetto è motivo di ripugnanza. Per questa ragione molti li ritengono anche privi di una vita interiore. Abbandonati a loro stessi i poveri vengono spesso privati anche della speranza di un possibile riscatto sociale. E a quella materiale si aggiunge così anche quella spirituale.
Dinanzi a questo scenario non mancano coloro che a livello istituzionale, organizzano vertici internazionali allo scopo di debellare questa piaga sociale[1]. Tuttavia, mentre costoro discutono strategie di aiuto, qualcun altro, “trasett senza dicere ’e parol”, ovvero in modo discreto, provvede ai loro bisogni. La sua azione umanitaria si rivela così come “’Nu raggie e sol”, (un raggio di sole), che ridona speranza ai cuori dei poveri.
È a questo punto che il lettore prende atto di un’amara constatazione che il poeta compie tacitamente dentro di sé, e poi esprime verbalmente: “Era ’a luce che mancav / e ’a stanza c’aspettav”. Ciò che veramente manca ai poveri è l’attenzione. È questa che illumina la loro speranza ed essi si aspettano di ricevere. Ne scaturisce un’ulteriore osservazione: “Quant gente comme ’a chella stanzulell: / aspett, aspett, ma niscun / fa ’o coraggio e ve trasì”. La condizione di quella “stanzulell” rivela quella di molti altri poveri nel mondo, verso i quali, malgrado tutto, si continuano a nutrire pregiudizi che ne provocano anche la discriminazione raziale.
Nasce allora la domanda: Qual è, oggi, la vera forma di povertà? Non sarà forse quella culturale e spirituale? In effetti è proprio qui il problema. E ad osservare l’attuale quadro sociale prendiamo atto che queste rinnovate forme di povertà risultano ancora più diffuse e contagiose, lasciando emergere tutti i danni della cultura individualista, che ha condotto le persone a chiudersi e a isolarsi nei recinti dell’io, e i singoli a vivere da emarginati, esattamente come la “stanzulell”, tenuta a distanza ed osservata con sospetto. Si capisce allora l’impellente necessità della Beatitudine evangelica dei “poveri in spirito” (cf. Mt 5,3), ovvero di coloro che non fanno della loro ricchezza: materiale, economica, culturale o intellettuale che sia, un motivo di ostentazione personale, ma di integrazione sociale. In effetti questo è il benessere di cui abbiamo veramente bisogno. Più che quello materiale, comunque necessario per una dignitosa forma di vita umana e sociale, quello relazionale o, se si preferisce, spirituale è il vero deposito che occorre espandere e accrescere, per avere un “tesoro in cielo” (cf. Mt 6,19-21). E questo tesoro lo si arricchisce attraverso la pratica dell’attenzione all’altro: autentica forma di misericordia e di compassione evangelica. L’amore è l’unica forma di ricchezza che nel donarla aumenta. E l’amore, come il sole, opera senza far rumore. Il sole, infatti, dischiude col suo calore la corolla dei fiori; allo stesso modo l’amore, entrando nella cella segreta dei cuori, apre le persone alla bellezza e alla gioia della vita divina. L’amore è la luce che trasforma le persone dall’interno, secondo la metodologia dello Spirito che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5).
[1] Basti ricordare l’Expo Milano 2015 che pose all’attenzione mondiale il tema del cibo e della sua equa distribuzione tra i popoli. In questi giorni invece la città di Roma ospita il Vertice Italiafrica. Un ponte per una crescita comune.




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