Libero
- don luigi
- 11 set 2024
- Tempo di lettura: 2 min
Cenacolo poetico


Libero
Libero come il vento,
leggero come l’aria:
così nel cuore
quando, come un gabbiano,
vado tra le onde
alitando il moto dell’amore.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
Libero è forse la poesia che più di tutte esprime la libertà dell’Autore di questo componimento. Al poeta non basta sperimentare questa facoltà dello spirito, ma deve saperla comunicare con un linguaggio poetico capace di mettere il lettore nella condizione di partecipare della sua stessa condizione di vita, o quanto meno fargliela intuire, suscitando in lui il desiderio di raggiungerla. La sua poesia deve essere perciò coinvolgente, ammaliante, affascinante, attraente caratterizzata da un linguaggio libero e liberante, fatto di metafore leggere come il “vento”, “l’aria” che dicono il dinamismo di uno spirito libero. Ma per riuscire in ciò il poeta deve essere libero da se stesso e perfino dalle sue parole, dalla sua poetica e dalle sue immagini. Libero di lasciare libero lo Spirito di operare in lui. Forse per il poeta, come per un artista, non c’è evento spirituale più libero di quello creativo. E tuttavia egli non crea dal nulla, semmai dal nulla di sé. La ricchezza delle immagini che nutrono le sue visioni sono quelle che lui attinge dalla vita quotidiana, rielaborate nella macina della sua poetica, dove acquistano originalità e luce, tali da gettare un fascio luminoso sulla realtà che lo circonda, fino a trasfigurarla. E ciò non perché egli disponga di un potere soprannaturale, ma perché le sue parole si fanno un tutt’uno con la natura, quando ne attivano la forza creativa che la inabita. In questo senso la sua poetica è tanto più potente quanto più è capace di cogliere il centro originario e originante della vita. Essa perciò deve poter impregnarsi della potenza ‘teurgica’ di Dio, nel senso più teologico del termine, ovvero di opera di Dio, con la quale dà esistenza alle cose per mezzo della sua parola: “Sia la luce, e la luce fu” (Gen 1,3). Si capisce allora che l’immagine del “gabbiano” al quale il poeta si paragona, non è casuale, ma allude allo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque al momento della creazione (cf. Gen 1,2). Fecondata dallo Spirito la sua poesia è perciò chiamata ad “alitare tra le onde” della cultura e della storia – spesso increspata e agitata dai marosi delle vicende umane – “il moto dell’amore”, ovvero il moto che tiene unite in un armonico equilibrio le tensioni polarizzanti della vita. Perfino quando l’onda divine per lui un’onta, quando cioè la sua poetica diviene motivo di disprezzo personale e per questo posta ai margini degli interessi culturali. In ciò il poeta si rivela simile al profeta, e come le profezie di quest’ultimo, anche la sua poesia deve saper accendere nell’orizzonte buio della notte il lucignolo della speranza. E quando ciò avviene il poeta può considerarsi appagato e la sua poesia compiuta.




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