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Estro poetico

Cenacolo poetico



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Estro poetico

Me ne sto sovente sulla riva

a scrutare il mare

nel silenzio della sera,

in attesa ch’esso venga

sull’onda della brezza.

Quando, repentino,

di lontano mi sovviene l’estro:

un suono, un vagito, un’idea;

poi un grumo di parole

che stanno bene insieme

e nei versi si dispiega

la poesia che accade in me.

Un moto mistico questo dei poeti,

che se taluno mi chiedesse:

dimmi, come avviene l’estro in te?

Di certo argomentare

quest’istanza non saprei;

tanto arcana m’appare la sua origine

che d’essa solo questo so

di non sapere.

O forse no, che or’ora mi sovviene,

 magari è sì l’arte di crear parole,

e trovar nel metro il tempo, la forma e la misura;

o piuttosto, com’io ritengo,

di levar le lettere

ed evocar col Verbo

quel canto che lo Spirito

sussurra in me.


 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

L’Estro è il tema intorno a cui ruota questa poesia. Esso è per ogni poeta il principio ispiratore e come tale è all’origine di ogni fare poetico. Diversi autori hanno cercato di indagarlo, ma che qualcuno si sforzasse di “argomentarlo” in versi è cosa piuttosto inusuale. Da qui la particolarità di questa poesia, che si compone fondamentalmente di due parti: una più propriamente lirica, dove il poeta, con una serie di immagini, evoca quella disposizione spirituale che precede l’arrivo dell’ispirazione; l’altra, sebbene anch’essa in versi, è più una sorta di riflessione estetica, nella quale l’autore cerca d’indagare la natura, la genesi, il modo con cui “l’ispirazione accade in lui”. Si tratta di una disposizione poetica che per quanto fondamentale e necessaria, va “attesa” nella massima libertà e gratuità. Nessuna forzatura spirituale, psicologica o estetica è in grado di provocarla o suscitarla. Essa è delicata e lieve come la “brezza” della “sera”. Ma per quanto desiderata e cercata essa giunge “repentina”, in un tempo e in un modo che neppure il poeta sa. Può sembrare un paradosso, ma l’origine dell’ispirazione poetica rimane un mistero al poeta stesso. Ben si addicono qui le parole di Gesù sullo Spirito: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). L’ispirazione poetica è perciò molto affine a quella profetica. In effetti il poeta condivide col profeta la parola, che ha nel Verbo il suo principio ispirativo. Per questo la poesia, come arte della parola, è mossa dallo stesso Verbo che suscita la profezia. Poeti e profeti trovano qui un’intrinseca identità originaria. Essi si distinguono tuttavia per il fine diversificato della parola: per gli uni è motivo di bellezza, e non di rado di finzione letteraria, per gli altri è motivo di verità e luogo rivelativo di Dio. Cò non toglie che un profeta possa scrivere in forma poetica o un poeta dica in versi delle cose profetiche. Ma entrambi sono accomunati dallo stesso Verbo, che diventa per ciascuno ragione d’indagine poetica e profetica. E non di rado accade che ambedue si sforzino di ripercorrere a ritroso le tappe della genesi formativa della loro ispirazione, ma per quanto mossi dallo stesso Spirito, l’origine e la natura dell’ispirazione rimane loro sconosciuta, come lo stesso l’Autore ammette: “d’essa solo questo so / di non sapere”. Pertanto lungi dall’essere ridotta a una mera ingegnosità poetica che consiste nel “crear parole”, o in una tecnica metrica capace di tenere in un armonico equilibrio suoni, ritmi, misure, tempi, forme, essa è per l’Autore “l’arte di levar le lettere”. In effetti il compito del poeta è quello di liberare il Verbo già presente in lui, di tutte quelle parole umane in eccesso che impediscono di “evocare” “quel canto che lo Spirito / sussurra” in lui. Il Verbo diventa così il principio ispirativo, il nucleo originario e fecondo della sua creatività poetica; l’Immagine primordiale della forma poetica, ma anche il fine verso il quale il poeta è misteriosamente mosso dallo Spirito a conformare la sua arte poetica; e nella quale vede già prefigurata la realtà futura della sua poesia.  

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