Come un baco
- don luigi
- 10 apr 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Cenacolo poetico

Come un baco
Come un baco
me ne sto silente
in questo bozzolo
di dolore ch’è la vita,
a tessere nel mondo
trame di speranza;
in attesa di spiegar le ali
e volar d’eterno
nell’oggi dall’amore.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
Tra gli insetti che subiscono la metamorfosi quella del baco da seta è certamente la più comune. Ed è impressionante osservare attentamente il suo processo vitale, durante il quale si assiste a una delle più interessanti e radicali trasformazioni fisiche che possa subire un insetto: dall’uovo alla larva, dalla larva alla crisalide, dalla crisalide alla farfalla. Quattro stadi in cui la forma fisica che assume di volta in volta l’insetto, non ha praticamente nessuna corrispondenza né con quella precedente, né con quella successiva. Ciò non esclude tuttavia che si tratti sempre dello stesso insetto, suscettibile di una variazione formale che si presta a un’interessante interpretazione metaforica della vita umana, specie quando questa viene riletta alla luce della Risurrezione di Cristo e quindi della nuova vita a cui essa dà origine.
Il processo con cui trasforma il corpo umano, dal concepimento alla morte, è chiaro e visibile a tutti, ma cosa avvenga dopo la morte, rimane un mistero che nessuna scienza, per quanto esatta, è in grado di sviscerare; e nessuna religione, per quanto vera e onesta, è in grado di affermare con certezza. Essa è e rimane un dato di fede rivelato, lasciato cioè all’intuizione dell’intelligenza spirituale proveniente dalla rivelazione di Cristo, l’unico uomo di cui si afferma la sua risurrezione dai morti. Il suo corpo glorioso, tuttavia, non è di facile comprensione, dal momento che i dati evangelici a nostra disposizione, parlano di Cristo, come di uno che passa attraverso le porte chiuse (cf. Gv 20,19), e al contempo, mangia (cf. Gv 21,5.12; Lc 24,30), cammina (cf. Lc 24,14) e parla (cf. lc 24,17-19.25-27; Gv 20.13-17.19-29; 21,5-13) come un uomo tra gli uomini. Come si spieghi tutto questo rimane difficile comprenderlo alla stessa teologia, che per quanto scientifica, ricorre in questi casi all’immagine allegorica, l’unica in grado di lasciare intuire la verità senza avere la pretesa di possederla o esprimerla concettualmente. D’altronde lo stesso Cristo, pur disponendo di una straordinaria conoscenza divina (cf. Fil 2,6), parlando di questa verità non fece uso di un linguaggio, per così dire, scientifico e incontrovertibile, ma ricorse alla metafora del chicco di grano (cf. Gv 12,24-26). Il che lascia presagire che la vita eterna di cui lui parla e alla quale possiamo accedere attraverso la morte, e più precisamente la morte in lui, non è affatto un processo naturale e automatico, né scientificamente dimostrabile, ma una vita nuova che scaturisce dall’adesione alla relazione d’amore che lui condivide con Dio-Padre: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Si tratta allora di una vita che, lungi dall’essere collocata di là della morte, è già pregustabile nell’oggi della storia, nella misura in cui si vive il comandamento d’amore reciproco, secondo le indicazioni che Matteo riporta nel suo Vangelo: “dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono presente in mezzo a loro” (Mt 18,20).
Sebbene nel passato la tradizione esegetica allegorica[1] abbia manifestato una giusta e prudente cautela nell’uso di questa immagine, nell’interpretare gli episodi della Risurrezione e della Trasfigurazione di Cristo, le affinità che essa presenta con questi due eventi sono piuttosto significative. Il bozzolo, per esempio, costituito da un unico filo di seta, di cui si riveste il bruco prima della sua ultima mutazione, presenta un inevitabile richiamo alle bende e al sudario in cui venne avvolto il corpo di Cristo deposto nel sepolcro. Anche la farfalla che costituisce l’ultimo stadio di trasformazione della crisalide, ha qualche vaga allusione non solo con l’anima, sostanza del tutto spirituale, ma anche col corpo glorioso di Cristo, che pur mantenendo con quello fisico una notevole continuità morfologica, è comunque spirituale, capace di trascendere la realtà sensibile, tanto da non essere riconosciuto dai suoi stessi discepoli (cf. Lc 24,16). Le affinità con la Trasfigurazione (cf. Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36; 2Pt 1,16-17) invece, vanno individuate nel termine metamorfosi (dal greco metamórphosis, composta da meta “oltre” e morphé “forma”), usato dagli evangelisti per esprimere quel cambiamento d’aspetto che assunse il corpo di Cristo durante questo evento, prefigurativo non solo della sua Risurrezione, ma persino della trasfigurazione dell’intero creato (cf. Rm 8,19.20-21).
Riletta in questa prospettiva allegorica la poesia assume una valenza simbolica che fa luce sul vissuto spirituale di quanti, come il poeta, colgono nella propria esistenza la presenza di quello stesso Spirito di Cristo che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5), conformandole all’immagine del Verbo impressa in esse (cf. Gv 1,3; 1Cor 8,6; Col 1,15-20; Eb 1,1-3). Anche la loro vita perciò e animata dallo stesso processo trasfigurativo, quando essa viene vissuta all’insegna del suo amore evangelico. Questa attività relazionale evangelica presenta molte affinità con quella serica del baco, il quale, al culmine della sua maturità fisica, smette di nutrirsi e comincia a trasformare la fibroina (proteina fibrosa), prodotta dalle ghiandole sericine, in un unico filo seta, col quale tesse intorno a sé un involucro, detto bozzolo, all’interno del quale avviene quella sorprendente trasformazione che dà origine alla farfalla. Le allusioni al sepolcro di Cristo in cui avvenne la risurrezione del suo corpo sono piuttosto evidenti. Anche il poeta, dunque, “come un baco”, è teso a “tessere nel mondo / trame di speranza”, ovvero quelle relazioni che lasciano intravedere la vita divina ed “eterna” che Gesù ha promesso a coloro che vivono all’insegna del suo amore evangelico. Un amore che lungi dal creare relazioni idilliache, avulse dalla realtà cruda e dura del mondo, sono invece impregnate di “dolore”, il cui mistero si presenta spesso chiuso e impenetrabile, come un “bozzolo”, ma che se vissuto e accolto con amore, può divenire luogo di risurrezione, esattamente come il sepolcro di Cristo. Come avvenga tutta questa trasformazione che predispone i corpi alla risurrezione, rimane un mistero, esattamente come quello che accade nell’io del poeta che, morendo a se stesso e al suo io poetico, si riveste di quello glorioso del Cristo risorto. Ed è proprio qui che diventa possibile assistere ad una sorprendente anticipazione e pregustazione della vita eterna. Questa, infatti, non va immaginata come altra rispetto a quella terrena, ma come la stessa profondamente impregnata dello Spirito di Cristo, come attesta la sua vita presso i discepoli dopo la risurrezione. Chi ama così non fugge da questo mondo, al contrario s’impegna a trasfigurarlo dall’interno. In questo senso la nostra vita d’amore è paragonabile ad un bozzolo, all’interno del quale, morendo silenziosamente a noi stessi, diveniamo come una farfalla “in attesa di spiegar le ali / e volar d’eterno / nell’oggi dall’amore”. Chi ama rimane in eterno.
[1] Per esegesi allegorica s’intende quel tipo di interpretazione testuale il cui scopo è quello di esplicitare un significato diverso rispetto a quello letterale, per mezzo di una un’immagine personificata, detta appunto allegoria. Di solito si ricorre a questo metodo, quando ci si trova davanti a un concetto astratto di difficile comprensione e di complessa esplicitazione razionale. Per esempio, quando s’intende esprimere il concetto della “giustizia uguale per tutti” si ricorre alla “figura femminile con gli occhi bendati e con la bilancia in mano” (tutt’ora presente davanti a diversi Palazzi di Giustizia), per dire che la giustizia non si lascia condizionare da nessuno, potente o povero che sia, per essere esercitata sempre in maniera equa. Questo metodo, proprio della tradizione poetica greca, fu abbondantemente usato dai Padri della Chiesa per spiegare le verità della rivelazione cristiana, con le figure, immagini o episodi propri della tradizione biblica veterotestamentaria. Si tratta di un metodo che presuppone una mentalità poetica e intuitiva, difficilmente comprensibile all’interno di quella storico-critica, tipicamente scientifica, dell’esegesi moderna.
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