Nudo
- don luigi
- 11 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Cenacolo poetico

Nudo
Nudo
mi ritrovo
in quest’esistenza
avara di beni,
eppure,
pienamente
ho vissuto
la vita.
Luigi Razzano
Iconologia poetica

Un’amara constatazione della vita emerge da questa breve, ma intensa lirica, dal sapore autobiografico, nella quale l’autore fa una sorta di bilancio, senza esitare a esprimere tutto il suo dolore, per quelle auspicate possibilità che la vita gli ha misteriosamente negato. Una dura considerazione che lui ha faticato a interpretare per coglierne il senso, ma che tuttavia ha saputo trasformare in un’occasione di riscatto personale. Ma quelle che lui riteneva possibilità decisive per un riconoscimento sociale, si rivelano invece occasioni che gli consentono di scoprire e sperimentare la straordinaria ricchezza e pienezza della vita interiore. Lungi dal ripiegarsi su se stesso o scivolare in quel sentimento di invidia che induce a covare rancore e avversione per chi gode di uno smisurato benessere e di innumerevoli possibilità di successo, egli matura invece quell’atteggiamento di mitezza che stando alla promessa evangelica, costituisce la condizione per divenire eredi e possessori della terra (Mt 5,5; Sal 36,9). Anche lui, come il salmista, si sforza perciò di confidare in Dio, convinto che egli esaudirà i suoi più reconditi desideri, specie quelli custoditi nei meandri più segreti del suo cuore e costituiscono la condizione per portare a termine la misteriosa opera di Dio iniziata in lui (cf. Sal 36,4-5). Ma il tempo passa inesorabilmente e anche lui come Abramo lamenta a Dio la mancata realizzazione della promessa: “Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli … Ecco a me non hai dato discendenza … come potrò sapere che avrò possesso della terra promessa?” (cf. Gen 15,2-3.8). Le mancate possibilità vengono quindi reinterpretate alla luce del detto evangelico: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,36). Una magra consolazione o un’intuizione spirituale? Si tratta certamente di una domanda alla quale sarà possibile rispondere solo quando ciascuno di noi avrà modo di rileggere l’intera parabola della propria esistenza nella luce della verità di Dio. Finché si vive nessuno è in grado di accertare se certe possibilità sono o meno occasioni di riuscita o fallimento.
Riletta e vissuta in questi termini la scarsità di mezzi più che come situazione di indigenza accidentale o destino avverso, o ancora come forma di ingiustizia sociale, si rivela come l’occasione per un rinnovato e inatteso rapporto con la propria interiorità. Più preoccupante perciò della povertà materiale è quella culturale, intellettiva e spirituale, specie quando queste impediscono di cogliere il senso della precarietà esistenziale. Per queste forme di povertà, purtroppo nessuna istituzione sociale è predisposta per quello che in gergo governativo viene definito welfare, quel sistema organizzativo cioè capace di promuovere un progresso interiore tanto urgente quanto fondamentale per l’attuale sviluppo umanistico.
L’aggettivo “Nudo” che fa da incipit dell’intero componimento, costituisce allora la chiave di lettura per accedere alla condizione esistenziale non solo dell’autore, ma della stessa società. La nudità a cui fa riferimento il poeta non è quella fisica, ma quella antropologica, che scaturisce dal coraggio di guardarsi dentro in modo responsabile e oggettivo e di liberarsi di tutte quelle sovrastrutture culturali e ideologiche che molto spesso impediscono un’autentica visione di se stesso, della propria umanità e della propria situazione esistenziale. È accettando la propria pochezza, comprese le scarse possibilità sociali che ci predisponiamo a cogliere e a vivere l’immenso patrimonio della vita interiore. Si capisce perciò l’imprevisto colpo di scena che conferisce una vera e propria svolta narrativa all’esposizione poetica: “eppure, … / pienamente / ho vissuto / la vita”. Un elemento letterario questo che conferisce al componimento lirico una profonda coerenza stilistica: nessuna ricercatezza metrica emerge dalla struttura compositiva, solo versi scarni di ogni finezza edotta, perfettamente in linea col tema della povertà in spirito (cf. Mt 5,3).
Riconsiderando l’arco della sua esistenza appare chiaro che effettivamente la vita del nostro autore è stata avara di possibilità, di occasioni, di incontri determinanti, che magari avrebbero potuto garantirgli realmente una svolta e un relativo riconoscimento sociale. E quei pochi che ci sono stati si sono rivelati, poi, più deludenti che mai. In realtà la svolta tanto attesa accade, ma non come avrebbe voluto, bensì a livello spirituale. Un ulteriore motivo per affermare l’imprevedibilità della vita pur considerandocene gli artefici indiscussi. Da qui la maturità di trasformare quelle possibili forme di recriminazione o accuse nei confronti di qualcuno o di qualcosa che ne potrebbero scaturire, in atteggiamenti positivi. Nulla, nessun sentimento negativo emerge dalla sue labbra, o meglio dalla sua penna. Nessuna domanda che sollevi la problematicità della questione personale, sebbene essa sia ravvisabile tacitamente nell’intera lirica.
Come non cogliere in questo atteggiamento un parallelo con la nota e amara considerazione che Giobbe fa al termine di quei funesti eventi che lo privarono improvvisamente e inspiegabilmente di tutti i suoi beni: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo ritornerò in quello della terra” (Gb 1,21-22). Tra Giobbe e l’autore però, assistiamo ad una sostanziale differenza: il patriarca idumeo ha vissuto certamente una drammatica forma di indigenza materiale, ma la sua è stata solo una parentesi momentanea. Il suo originario stato sociale era infatti caratterizzato da una notevole agiatezza, e tale ritorna ad essere al termine della sua disavventura. Il nostro autore, invece, ha vissuto un’intera esistenza all’insegna delle mancate possibilità. Per lui la vita non è stata per nulla ricca, anzi “avara” di occasioni. Eppure ciò non gli ha impedito di gettare lo sguardo oltre i limiti della sua condizione sociale e cogliere al di là di essa il senso nascosto della vita, o per dirla in termini evangelici, la “perla preziosa”, che gli ha consentito di vivere pienamente la vita.




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