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Ars poetica

Cenacolo poetico

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Ars poetica

 

La poesia è

già nella parola.

Al poeta

l’arte metrica

di levar le lettere

e plasmarla

di bellezza.

 

 

 Luigi Razzano


Iconologia poetica


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Tra le poesie finora pubblicate Ars poetica segna una tappa decisiva nello sviluppo della poetica del Razzano. Un componimento estremamente essenziale, quello che il lettore si ritrova tra le mani, quasi aforistico, ma altrettanto incisivo e pregnante nel suo contenuto. La poesia è, stando all’autore, intrinseca alla parola; anzi, ne costituisce l’essenza sonora e comunicativa, sebbene sia nascosta nei meandri misteriosi delle sue origini etimologiche. Compito del poeta, perciò, è quello di portarla alla luce, o meglio all’ascolto, purificandola delle sue eccedenze semantiche. L’autore esprime questa operazione con una formula alquanto originale nel panorama poetico, ma dal sapore scultoreo: “levar le lettere”, che a livello artistico consiste nel liberare l’immagine, contenuta nel blocco di marmo, della materia superflua; nello specifico della poesia, invece, consiste nel togliere “le lettere” eccessive, quelle che nel corso della sua evoluzione filologica rischiano di alterarne o smarrirne il significato originario. Non si tratta di compiere un’operazione archeologica, ma di recuperare il potere originario della parola, che spesso affonda le sue radici in un evento esistenziale, traboccante di vita. E tuttavia, prima che filologica, quella auspicata e praticata dal poeta è un’operazione simbolica, una sorta di traslitterazione letteraria in ambito poetico, di una tecnica tipicamente scultorea. In questa ottica la parola è per il poeta ciò che la materia informe è per lo scultore. Per questa ragione essa necessita di essere scolpita, sgrossata, modellata, levigata alla stessa stregua della pietra. È a queste condizioni che essa diventa idonea all’espressione poetica. E non potrebbe essere diversamente visto che l’autore è anche uno scultore.

Così delineata si potrebbe obiettare che il nostro autore riduca la parola a qualcosa di inorganico e che egli si arroghi il potere di darle vita poetica. In realtà il costante riferimento che il nostro fa al Verbo eterno nelle sue poesie, ci attesta che la parola non è affatto una sostanza inanimata, ma non è nemmeno un’invenzione umana, per quanto abbia l’uomo come suo principale protagonista. Essa non si riduce neppure a uno strumento segnico e grafico che ciascuno può gravare del significato che ritiene opportuno, ma il luogo originario della comunicazione divina, prima che umana. Un potere, dunque, quello della parola che Dio condivide con l’uomo, come l’altro di sé. La parola diviene il luogo di una reciproca interazione. Dio e l’uomo possono dialogare per mezzo dello stesso elemento comunicativo. Anzi, la parola, viene riconosciuta come uno dei segni più rappresentativi dell’immagine divina nell’uomo. Se c’è dunque un aspetto specifico della vita comunicativa di Dio che conferisce al poeta un’autorevolezza divina questa è la parola. Egli, diviene in questo senso, come il profeta, l’uomo della parola. È qui che il nostro autore individua il principio creativo della sua poesia. Essa è già nella Parola. Attende solo di essere portata alla luce, e resa visibile nella forma della bellezza. Al poeta dunque “l’arte metrica” di plasmarla e di conferirle la forma letteraria più conforme alla sua origine.

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