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A largo dell’amore

Cenacolo poetico

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A largo dell’amore

 

Come una vela vuota,

pendula dall’albero del cuore,

me ne sto immobile

a poppa dello spirito,

in attesa ch’egli spiri.

Pure i gabbiani

se ne stanno, quest’oggi,

appollaiati sugli scogli,

sotto la cappa dell’arsura.

E frattanto che meriggio

sbircio tra i pensieri

la ragione di questo stato

mio dell’anima,

che m’indugia a rimaner così: –

chissà per quanto ancora –

come sospeso nel vuoto della vita.

Ma già di poco in là,

nel mentre attraversato orsono

da questi miei pensieri,

giù, dal pendio degli abissi,

sento levarsi tra le onde,

il battito del mare.

Ma chi mai verrà

a quest’ora del meriggio

ad issare sul volto mio –

appassito dall’inerzia –

la speranza dell’attesa,

da farmi volgere lo sguardo

a prua della vita?

E intanto che mi chiedo

vedo, così di sbieco,

salpare già un veliero,

giù, dal pontile mio dell’anima,

e senz’indugio,

andar per l’oltre

… a largo dell’amore.

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

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A largo dell’amore è l’espressione poetica con cui l’autore di questa lirica fa suo il sentimento di quanti, presi dall’accidia nella vita quotidiana, nutrono il desiderio di inoltrarsi nell’avventura della vita, ma sperimentano la fatica di cimentarsi con una simile impresa. Ancora una volta il poeta trae l’immagine ispirativa di questo stato d’animo, da quel senso di immobilismo fisico che scaturisce dalla calura d’estate, quando nell’ora del solleone, ci si espone facilmente all’inerzia spirituale. E cosa più di “una vela vuota, / pendula” da un albero maestro di un veliero ormeggiato all’interno di un porto, privo di ogni alito di vento, esprime meglio questo atteggiamento ozioso e ciondolante dell’animo umano. A rendere ancora più plastica questa metafora è l’immagine dei “gabbiani”, simbolo del dinamismo del volo, che invece “se ne stanno, …, / appollaiati sugli scogli/ sotto la cappa dell’arsura”.

Il poeta trova però alquanto pericoloso quest’atteggiamento d’inerzia, motivo per cui “se ne sta” sì “immobile”, ma “a poppa dello spirito / in attesa ch’egli spiri”. Egli è animato dalla speranza di ritornare a vivere col vento in poppa, a gonfie vele. A testimonianza di ciò è l’immagine dell’“albero” maestro da cui pende la vela, chiara allusione alla coscienza o se si vuole al “cuore”, che biblicamente costituisce l’albero maestro della vita, quel luogo originario in cui la persona prende le decisioni fondamentali della vita, dalle quali dipende la direzione e la qualità dell’esistenza.

La pericolosità di questo stato d’animo la si coglie dal timore che il poeta percepisce durante la prolungata attesa di un cambiamento che tarda ad arrivare. Ciò malgrado egli non si lascia andare, al contrario “frattanto che meriggia” si sforza di “sbirciare tra i pensieri” che attanagliano “la ragione di questo stato / … dell’anima, / che” lo “indugia a rimaner così, / chissà per quanto ancora”. Ma quando la situazione sembra andare per le lunghe e stagnarsi per sempre, improvvisamente si riaccende la speranza. Questa rinnovata fiducia scaturisce dall’ascolto inaspettato del “battito del mare”, che sale dalle zone più recondite, oscure e misteriose degli abissi, fin su tra le onde: “Ma già di poco in là, / nel mentre attraversato orsono / da questi miei pensieri, / sento levarsi tra le onde, giù dal pendio degli abissi, / il battito del mare”.

Nonostante questo segnale di vita il poeta viene come colto ancora una volta dal dubbio che nessuno possa aiutarlo ad uscire da quella situazione. Da qui un sentimento di incertezza che sembra trascinarlo nello sconforto: “Ma chi mai verrà /a quest’ora del meriggio / ad issare sul volto mio / appassito dall’inerzia, / la speranza dell’attesa, / da farmi volgere lo sguardo / a prua della vita?”. Egli vorrebbe abbandonarsi alla fiducia, per riorientare il suo sguardo, ma si accorge di non farcela da solo. Ecco allora venirgli incontro un ulteriore segno, apparentemente normale e insignificante, che egli scorge così, quasi per caso, con la coda dell’occhio, mentre è tutto assorto nei suoi pensieri: un veliero lascia improvvisamente il pontile e prende il largo. Si tratta chiaramente di un’immagine simbolica che allude a qui pensieri spirituali che emergono improvvisamente dai luoghi più arcani del nostro cuore, per ridarci la fiducia, facendoci credere che tutto è nuovamente possibile, con uno slancio ancora più nuovo e motivato: “E intanto che mi chiedo / vedo, così di sbieco, / salpare già un veliero / dal pontile mio dell’anima / e, senz’indugio, / andar per l’oltre, a largo dell’amore”.

 

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