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8 Dicembre 2021 - Anno C - Immacolata Concezione

Aggiornamento: 8 dic 2021


Gn 3, 9-15.20; Sal 97/98; Ef 1, 3-6.11-12; Lc 1,26-38


Chiamati ad essere santi e immacolati nell’amore



Nel cuore dell’Avvento la Chiesa ci propone la figura dell’Immacolata Concezione, come a voler prefigurare la meta della nostra chiamata, descritta in modo mirabile da san Paolo nella sua lettera agli Efesini: “in Cristo siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi” (Ef 1,4-5)[1]. Se il Battista, domenica scorsa, ci ha indicato il modo con cui vivere in attesa della manifestazione gloriosa di Cristo, l’Immacolata, come uno squarcio di cielo che si apre davanti a noi, ci lascia intravedere, già nell’oggi della fede, l’originaria condizione dell’eredità filiale di Cristo a cui siamo destinati. Diventare “santi e immacolati” nell’amore come Maria, significa, perciò, scoprirci figli di Dio, come Cristo.

La felice coincidenza, poi, di questa solennità col tempo dell’Avvento[2], ci porta a riconoscere Maria come la “Donna dell’attesa”, come amava definirla don Tonino Bello. Si tratta chiaramente di una rilettura spirituale che mi piace evidenziare, poiché ci offre la possibilità di mettere a fuoco ulteriori atteggiamenti, con cui tradurre l’attesa in questo tempo di Avvento. Nessuno più di lei, infatti, ha vissuto l’attesa del Figlio di Dio, per averlo concepito, portato nel grembo e dato alla luce. E tuttavia la sua attesa non si limita solo a quella fisica, ma si manifesta prima di tutto a livello spirituale. Sotto questo aspetto anche Maria, al pari di ognuno di noi, ha dovuto imparare ad attendere che il mistero di Dio si dispiegasse in lei; e non sempre, come spesso immaginiamo, lei ha capito tutto e subito del disegno di Dio. Al contrario, ha faticato non poco, specie quando le proferivano parole incomprensibili e misteriose sul destino suo e del figlio, come ci attestano gli episodi della Visita dei pastori, della Presentazione al tempio o del Ritrovamento di Gesù nel tempio. In simili circostanze lei, anziché lasciarsi travolgere dall’incomprensione o dal dubbio, serbava e meditava tutto nel suo cuore (cf. Lc 2,18-19; 33-35.50). Pertanto anche noi, come Maria, diveniamo “uomini e donne dell’attesa”, quando ci lasciamo coinvolgere da quella sua sana ansia spirituale, che la proiettava a scoprire il senso della filialità divina in Cristo.

Celebrare l’Immacolata Concezione, oggi, diventa, così, non solo un’occasione per fare memoria della tradizione ecclesiale che si è sforzata di capire il modo con cui Maria ha vissuto la sua fede nel Figlio e partecipato al suo potere redentivo[3], ma anche un pretesto per fare luce su un mistero così grande, come il “peccato”, e in particolare la sua “misteriosa trasmissione generativa” nel tempo, considerato uno dei più spinosi nodi della tradizione teologica biblico-cristiana. Naturalmente si tratta di un mistero non facile da capire, ancor meno da esplicitare. Ma ritengo necessario farlo.

Intanto quando parliamo di “peccato originale” non ci riferiamo ad un atto singolo, inteso come un errore di calcolo, tipico di quello che commettiamo comunemente nelle nostre relazioni quotidiane o durante i nostri lavori, o quanto intendiamo in modo errato una realtà, ma di una scelta di vita sistematica, che vede coinvolta tutta la nostra intelligenza e conoscenza. Si tratta di una scelta che presuppone una deliberata decisione, una piena avvertenza e un volontario consenso, condizioni che poi vengono tradotte, a loro volta, nella decisione di strutturare e vivere un’esistenza indipendentemente dalla relazione con Dio, considerata a livello religioso, come fondativa e originaria della vita umana. L’idea di poter vivere facendo a meno di Dio e organizzare un’esistenza che escluda ogni possibilità trascendente della vita, è ciò che l’autore biblico esemplifica nel racconto del cosiddetto “peccato originale” [4], che vede protagonisti Adamo ed Eva. Anche in questo caso si tratta non solo dell’atto di due singole persone, ma dell’umanità di cui loro sono rappresentanti. Adamo infatti non è il nome proprio di persona, ma significa uomo, nel senso collettivo del termine, lo stesso discorso vale per Eva, che significa madre degli esseri viventi (cf. Gen 3,21). Adamo e Eva sono due nomi comuni per indicare il maschile e il femminile della stessa umanità[5]. La ragione per cui l’autore biblico li considera come i primi due rappresentati dell’umanità, sta nel tentativo di far risalire la sua origine creativa direttamente a Dio, ciò non esclude la possibilità che Dio, al pari di tutte le altre creature viventi, abbia potuto creare contemporaneamente più persone. In questo senso il male sarebbe una scelta di vita diffusa e condivisa da molte persone. Non si capirebbe perciò l’effetto così devastante sull’intera umanità e sul creato a cui questa realtà ha dato origine. Il peccato originale si riferisce perciò a uno stile di vita moralmente diffuso tra le persone e che l’autore biblico riduce alla decisione di due singoli individui, per sottolineare anche la responsabilità del singolo. Una sorta di “struttura di peccato” quella che si viene a determinare a seguito di uno stile di vita, le cui conseguenze si ripercuotono sulle generazioni future, e perfino sul creato[6].

Tutto questo discorso fa da sfondo teologico al dogma mariano che stiamo celebrando, senza il quale è praticamente impossibile capire ciò che la Chiesa ritiene sia accaduto in Maria. Per introdurci in questa problematica cominciamo a sgombrare il campo dagli equivoci: l’Immacolata Concezione non va confusa con il concepimento verginale di Maria – a cui espone il brano evangelico proposto per oggi – né intesa come assenza totale di possibilità di peccato. Secondo la dottrina cattolica Maria, come tutte le creature, è stata sottoposta a qualsiasi forma di tentazione, ma rispetto a tutte le creature essa, per singolare pienezza di grazia, non ha mai fatto esperienza di peccato. In altre parole lei pur potendo peccare non ha mai peccato. Questa proclamazione dogmatica è stata diversamente interpretata a livello teologico, specie in capo ecumenico, sia da parte Ortodossa che Protestante. Ciò che gli Ortodossi contestano alla Chiesa Cattolica è l’uso di alcune formule, come “speciale privilegio” perché lasciano intendere una sorta di azione arbitraria di Dio, mentre i Protestanti contestano il mancato fondamento biblico di una simile verità di fede e il silenzio della tradizione più antica. Le difficoltà nascono dal fatto che tale verità sembra intaccare la dottrina cristiana della redenzione, secondo la quale Cristo viene considerato salvatore di tutte gli uomini e come tale anche di Maria. Egli è l’unico di cui si può affermare che è senza peccato, pur condividendo tutta la condizione umana. In tutto egli si è fatto uomo tranne che nel peccato.

Nel tentativo di rimanere fedeli alla dottrina cristiana, e conciliare sia la visione Ortodossa che Protestante potremmo dire che più che di “singolare privilegio” si potrebbe parlare di “originale redenzione” di Maria. San Paolo nella lettera agli Efesini dice infatti che ogni creatura in Cristo è stata scelta prima della creazione del mondo per essere santa e immacolata nella carità (cf. Ef 1,4). In altre parole lei, in vista della missione che avrebbe svolto, sarebbe stata redenta da Dio sin dall’atto del suo concepimento. Perciò immacolata (senza macchia), nel senso che non ha ereditato il peccato al momento del suo concepimento.

Lungi, dunque, dal ridurre questa solennità a quel devozionismo, tipico di una certa tradizione spirituale, che tende e relegare l’immagine mariana, in un intimismo vuoto, sterile e poco incisivo a livello ecclesiale, la sua celebrazione ci invita a gettare lo sguardo all’interno di un mistero così grande e a volgere l’attenzione sull’origine della nostra identità religiosa cristiana; mistero che la filialità di Maria ci dischiude in tutto il suo spessore umano ed evangelico. Semmai la devozione mariana necessita di essere riscoperta, questo va fatto nel senso più originario del termine: “devozione” significa infatti “devolvere, ovvero consegnare, consacrare se stessi alla divinità”, esattamente come ha fatto Maria nei confronti di Dio, mettendo a disposizione non solo il suo corpo, ma donando perfino il suo cuore, la sua mente, la sua vita alla realizzazione del piano salvifico di Dio. In conclusione, se veramente intendiamo farci promotori di un’autentica spiritualità mariana, nell’oggi della realtà ecclesiale e sociale, occorre più che mai farlo con maturità, il che comporta non solo una seria preparazione teologica e spirituale e un’adeguata capacità comunicativa, per tradurre in un linguaggio accessibile e comprensibile questo mistero così profondo – esattamente come mi sto sforzando di fare con voi – ma soprattutto di un’autorevole testimonianza filiale. È qui che ci giochiamo la credibilità della fede e il futuro della salvezza.

[1] Volendo potremmo prendere in considerare anche un altro passo paolino che si presta ad esplicitare l’intuizione della verità espressa nel dogma mariano. Ci riferiamo al passo della lettera ai Romani, dove Paolo afferma che “Quelli che Dio da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo. Quelli poi che ha predestinati la ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (Rm 8,29.30). [2] In realtà la data dell’8 dicembre fu individuata da Pio IX in relazione alla festa della Natività di Maria, fissata all’8 settembre e introdotta in Occidente da papa Sergio I nel VII secolo. L’Immacolata Concezione anticipa così di nove mesi la Natività di Maria. [3]La fede della Chiesa per Maria immacolata è infatti molto antica. Essa affonda le sue radici nella pietà popolare e viene diffusamente commentata e giustificata dalla tradizione dei Padri della Chiesa Orientale e Occidentale. Sia pure con sfumature diverse essi vedono Maria compartecipe del mistero della redenzione del Figlio. Una fede antica dunque, anche se sotto l’aspetto dogmatico, essa è stata proclamata tale solo nel secolo scorso e precisamente nel 1854, da papa Pio IX. [4] Si chiama “originale” perché viene compiuto alle origini dell’esistenza umana, come tale si riferisce a un atto di cui non abbiamo più memoria, e del quale ci riesce difficile ricostruire le condizioni e le ragioni che lo hanno determinato. Nessun cronista ha avuto modo di registrarlo, semplicemente perché è avvenuto in un tempo così remoto che nessuno disponeva ancora di una scrittura o di un linguaggio tale da poterlo documentare. L’autore biblico che si sforza di raccontarlo, nella forma con cui noi oggi lo conosciamo, lo fa solo alla luce dell’esperienza religiosa di Dio che si manifesta attraverso la fede biblica. Il che significa che tra le origini in cui è avvenuto l’evento del male e il suo racconto, sono passati milioni di anni. Il racconto biblico, infatti, è molto recente: risale solo ad alcuni migliaia di anni di fa. Quella che l’autore ci trasmette è tuttavia un’interpretazione mitologica (discorso sulle origini del mondo), tipica di ogni religione, solo che questa viene compiuta nella luce rivelativa dello Spirito. “Il giardino”, “l’albero della vita e del bene e del male”, “la mela”, “il serpente” sono tutti elementi di un linguaggio simbolico e figurativo, con cui l’autore si sforza di narrare, nella maniera più semplice e accessibile, la comprensione del mistero del male. Pertanto ciò che egli dice non è la descrizione pedissequa di ciò che è accaduto, ma una possibile ricostruzione narrativa che necessita, perciò, di essere interpretata e commentata alla luce della sua stessa esperienza rivelativa. [5] Nella lingua originaria ebraica maschile e femminile hanno in comune la stessa radice: išh (uomo), išhah (donna), un po’ come nell’inglese: man (uomo), woman (donna). [6]In questa stessa chiave esemplificativa va compresa anche lo sforzo che l’autore biblico compie nel tentativo di chiarire l’origine del male nel mondo, considerata ora come una decisione umana, ora come una realtà esterna che viene qualificata in termini di Satana. Con questo termine infatti viene qualificata quella forza misteriosa e negativa, di cui tutto il creato è impregnato, che malgrado tutto continua a manifestare tutta la sua potenza maligna, facendo di tutto per dividere l’umanità e il creato dalla sua radice originaria divina. Basterebbe rileggere i primi capitoli del libro di Giobbe per rendersi conto di questo approccio al mistero del male.

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