7 Settembre 2025 - Anno C - XXIII Domenica del tempo ordinario
- don luigi
- 6 set
- Tempo di lettura: 8 min
Sap 9,13-18; Sal 89/90; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33
La volontà di Dio
e i criteri per conoscerla

“Quale, uomo può conoscere il volere di Dio? … Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così … gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza” (Sap 9,13.17-18).
“In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (Lc 14,25-27).
Quelli appena letti sono i brani biblici che delineano il tema liturgico della 23a Domenica del TO, che noi possiamo esprimere in questi termini: la volontà di Dio e i criteri per conoscerla. Non sono pochi i pregiudizi che a livello culturale ruotano intorno alla volontà di Dio, spesso considerata come motivo limitativo della libertà dell’uomo, impedendogli di esprimere al meglio la sua autonomia e le sue potenzialità creative; come se Dio nutrisse il piacere di vedere l’uomo sottomesso alla sua divinità, o ne fosse addirittura geloso e non accettasse l’idea di condividerla con la sua creatura. Eppure non c’è fraintendimento più diffuso di questo, come attesta l’invito che Gesù rivolge a tutti i suoi discepoli: “Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). Anche Pietro nella sua seconda lettera aggiunge che egli ci ha donato tutto quanto fosse necessario perché diventassimo “partecipi della natura divina” (cf. 2Pt 1,4). “Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo – ribadisce Sant’Ireneo di Lione – perché l’uomo, entrando in comunione con il Figlio di Dio ricevesse la filiazione divina e diventasse figlio di Dio” (Adversus haeresis, 3,14).
Stando alla testimonianza biblica e patristica, dunque, potremmo dire che se c’è una ragione che spiega l’insistenza, la necessità di conoscere e fare la volontà di Dio, questa sta nel vedere l’uomo pienamente libero e realizzato nella sua umanità[1]. E non c’è altra via per raggiungere questa pienezza e libertà se non quella di riconoscersi figlio nel Figlio. Da qui la necessità di fare chiarezza su un tema così delicato e fondamentale non solo per la spiritualità cristiana, ma per la stessa esistenza umana, dal momento che in Gesù – come afferma la Gaudium et spes – troviamo tutte le prerogative umane per divenire uomini e donne perfettamente realizzati (GS 41).
Ma a quali condizioni è possibile partecipare di questa pienezza divina e umana? Ecco l’importanza di porre al centro della nostra attenzione il tema della volontà di Dio. Già la volontà di Dio, ma some si fa a scrutare un mistero così profondo e a farsi interpreti del pensiero di Dio? È interessante notare che queste domande che sembrano così attuali per noi, stanno in realtà all’origine della fede biblica e caratterizzano la ricerca di chiunque intende entrare in relazione con Dio. L’autore del libro della Sapienza, per esempio, sembra condividere la nostra stessa difficoltà, quando si chiede: “Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore … chi ha investigato le cose del cielo?” (Sap 9, 13.16c). San Paolo sembra far eco a queste domande, quando riflettendo sulla realtà di Dio, rimane attonito dinanzi al mistero della sua sapienza e pieno di stupore dice: “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?” (Rm 11,33-34).
Questi interrogativi sembrano confermarci più che mai l’idea dell’impenetrabilità del mistero divino e la difficoltà a scandagliarlo con i nostri mezzi razionali. Si tratta com’è evidente di interrogativi che lasciano emergere la nostra reale difficoltà a entrare in sintonia con Dio e ad assimilare la sua volontà. Davanti a questa difficoltà lo sforzo investigativo e riflessivo umano manifesta tutta la sua pochezza e fragilità, contrassegnato com’è da incertezze, dubbi, e appesantito da preoccupazioni, ansie e affanni: “I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni … a stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo a fatica quelle a portata di mano”, dice l’autore del libro della Sapienza 9,16. La fatica scaturisce soprattutto dal fatto che quella in questione è “una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo … ma è una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta ... Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla” (1Cor 2,6-8). “Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere?” (1Cor 2,16), dice San Paolo nella prima lettera ai Corinti.
Da qui la necessità di acquisire una reale disposizione umana che coinvolga non solo il nostro spirito, ma anche la nostra psiche e la nostra intelligenza, per conseguire la quale ci viene ancora una volta incontro l’autore del libro della Sapienza, quando si chiede: “Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?” (Sap 9,17). “Lo Spirito scruta ogni cosa” – ribadisce San Paolo – “anche le profondità di Dio … Nessuno ha mai potuto conoscere i segreti di Dio se non lo Spirito di Dio” (1Cor 2,10-11). “Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rm 8,16). È questa affinità tra lo Spirito di Dio e il nostro spirito che predispone la nostra intelligenza alla conoscenza della volontà di Dio. “Così … gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza” (Sap 9,18). Non c’è altro modo allora di entrare in sintonia con Dio se non quello di assimilare la sensibilità religiosa e spirituale biblica così come si è andata dispiegando nel corso della storia.
Lo Spirito di Dio infatti è colui che consente allo spirito dell’uomo di entrare nell’abisso del mistero di Dio, come attesta lo stesso Paolo: “Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato” (1Cor 2,10-12). Lo Spirito di Dio attraverso una frequentazione assidua con la sua Parola crea un’affinità, una familiarità col nostro spirito, fino a conformarlo alla logica conoscitiva e rivelativa di Dio. Egli lo converte alla mentalità salvifica di Dio. Senza di lui “l’uomo naturale non può comprendere le cose di Dio”, anzi queste appaiono perfino “follia per lui, e non è capace di intenderle, poiché esse possono essere giudicate solo per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,14). Ecco profilarsi le condizioni che rendono possibile la conoscenza della volontà di Dio: il dono delloSpirito e quello della Sapienza. Mentre lo Spirito consente alla nostra intelligenza di scrutare le profondità di Dio, la Sapienza ci rende partecipi della sua stessa vita divina.
Ma a chi vengono elargiti questi doni? “I ragionamenti tortuosi allontanano da Dio; l’onnipotenza messa alla prova caccia gli stolti. La sapienza non entra in un’anima che opera il male, né abita in un corpo schiavo del peccato” (Sap 1,3-4)[2]. Diversamente Dio “si lascia trovare da quanti non lo tentano, si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui” (Sap 1,2). “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (cf. 1Cor 2,9).Dio si rivela a chi lo ama: “A chi mi ama mi manifesterò” (Gv 14,21), dice Gesù. Costoro sono quelli che accedono “al pensiero di Cristo” (1Cor 2,14-16). Intanto allora possiamo conoscere Dio e la profondità del suo pensiero in quanto è lui che liberamente decide di rivelare la volontà del suo piano salvifico, per mezzo del suo Spirito, a coloro che si dispongono ad ascoltarlo.
Questa lunga premessa ci introduce immediatamente nella ragione per cui Gesù giunge a paragonare la sua sequela” alla “costruzione di una torre” (cf. Lc 14,28-30) e alla “battaglia di un re contro il suo nemico” (cf. Lc 14,31-32). Attraverso l’esempio della “torre” Gesù intende dirci che nessuno può decidere di compiere una scelta esistenziale nella vita se prima non verifica la reale disposizione spirituale, intellettiva e psichica. Un po’ come chi deve presentare un certificato di sana costituzione fisica, prima di mettersi a praticare uno sport. Il che comporta la necessità di disporre di quelle qualità necessarie a praticare lo stile di vita evangelico da lui proposto. Questa operazione richiede un periodo previo di discernimento e acquisizione della conoscenza divina, senza i quali la vita spirituale rischia di ingolfarsi in una serie di difficoltà che ne rendono faticosa la pratica. La vita evangelica, infatti, aldilà dell’aspetto attraente che la connota, è molto esigente e impegnativa e non può essere praticata a buon grado e da chiunque. E ciò vale in modo particolare per chi, pur avvertendone il fascino, si lascia andare frequentemente a facili entusiasmi e poi dinanzi alle difficoltà si tira indietro. Non basta la decisione di una scelta personale, libera e volontaria che sia, se questa non viene verificata e confermata.
Col paragone della battaglia, invece, Gesù intende ribadire un dato abbondantemente avallato dalla tradizione biblica prima e patristica e spirituale poi: e cioè che la vita spirituale è essenzialmente una lotta contro il nemico dell’uomo. Nessuno che si prepara a intraprenderla può pensare di sfuggire ad essa o di eludere le battaglie che si presentano nelle diverse forme di tentazioni a cui si va incontro, durante la sua pratica quotidiana. “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione”, dice il libro del Siracide 2,1.
È alla luce di questo lungo preambolo che diventa possibile capire la radicale esigenza manifestata da Gesù nella sequela di Cristo: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre … e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”[3]. La totalità dell’amore che Gesù chiede per sé, assume qui forme di estrema radicalità ed è estesa a tutte le condizioni e stati di vita: egli non è esigente solo verso i giovani o figli, come siamo soliti interpretare questo passo, ma anche verso i coniugi e i genitori: anch’essi sono chiamati ad amare Gesù più dei loro figli e dei loro consorti. È possibile che Gesù chieda ad un genitore di porre lui al di sopra della sua famiglia? Questa esigenza diventa comprensibile solo alla luce della radicalità dell’amore verso Dio, previsto già dal Decalogo, di cui Gesù si fa interprete[4].
In conclusione possiamo dire che la volontà di Dio ha le sue esigenze e per questo motivo necessita, oggi più che mai, di essere compresa per giustificarla dinanzi alle sfide culturali del nostro tempo. Tuttavia è praticandola che il discepolo vive in pienezza la propria esistenza, e questa, paradossalmente, prevede non solo la rinuncia ai propri beni, ma perfino a se stesso (cf. Lc 14,33).
[1] Di tutt’altra natura invece sembra essere la ragione che gestisce le relazioni umane dove la volontà di dominio, di repressione, di oppressione, di dipendenza, di schiavitù, di asservimento … è non solo all’ordine del giorno, ma anche motivo di pregiudizio nei confronti di Dio.
[2] Una mentalità condizionata dal peccato crea fraintendimenti, equivoci, malintesi, ambiguità. Questo modo di pensare è così influente da alterare la nostra capacità percettiva, fino a minare la fiducia, che costituisce la condizione fondamentale per un’autentica relazione di fede.
[3] È significativo che Luca ponga questa esigenza radicale, tipicamente gesuana, a metà del suo itinerario evangelico, come a voler sottolineare una rinnovata chiamata del discepolo a intensificare il suo rapporto con Cristo. Una radicalità che presuppone quindi un’adesione consapevole, rivolta a chi ha già deciso volontariamente la sua sequela e manifesta il desiderio di voler progredire ulteriormente nella spiritualità evangelica.
[4] Rispondendo allo scriba che gli chiese quale fosse il primo comandamento disse: “Ascolta Israele. Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Mc 12,29-30).




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