2 Novembre 2025 - Anno C - Commemorazione di tutti fedeli defunti
- don luigi
- 6 giorni fa
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Is 25,6.7-9; Sal 24; Rm 8,14-23; Mt 25,31-46
“Io sono la risurrezione e la vita … credi tu questo?”

“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?” (Gv 11,25-26).
“La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità … e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,19-21).
Tra i diversi brani evangelici che la Chiesa ci suggerisce per questa circostanza, ho preferito introdurre questo nostro commento omiletico con quello di Giovanni, relativo all’incontro di Gesù con Marta, in occasione della morte del fratello Lazzaro. La ragione di questa scelta sta nel fatto che esso evidenzia in modo particolare l’importanza della nostra fede in lui, come condizione della realizzazione della sua promessa. L’idea poi di associare questo brano a quello della lettera di Paolo ai Romani, ci fa capire che la vita eterna non è una realtà che riguarda solo i credenti, ma l’intera creazione. Si capisce allora che la responsabilità noi credenti abbiamo non solo nei confronti di “tutti i popoli” (cf. Mt 25,32), cosiddetti “non cristiani”, ma addirittura verso tutta la creazione è notevole. La loro redenzione dipende dalla capacità che noi “figli di Dio” abbiamo di coinvolgerli nella libertà di Cristo, ovvero nell’evento salvifico della sua risurrezione.
Prima però di addentrarci nel nostro argomento vorrei fare una premessa che esplicito con le seguenti domande: qual è il senso di questa celebrazione? Perché la Chiesa ci fa commemorare i tutti i fedeli defunti subito dopo aver commemorato tutti i fedeli Santi? Qual è il nesso tra queste due celebrazioni? La risposta a queste domande sembra contenuta nella colletta della liturgia di Tutti i Santi, che ci invita a commemorare, in un unico momento celebrativo, la comunione tra coloro che partecipano già della vita gloriosa di Cristo, quelli che ancora l’attendono nella morte e noi che ci ritroviamo a vivere la fede nella difficile realtà del mondo. Questa unità ci fa cogliere ancora più profondamente l’universalità della straordinaria intuizione paolina che abbiamo appena evidenziato. Stando allora a questi brani liturgici la Chiesa ci invita a pregare contemporaneamente: per i defunti che ci hanno preceduto nella fede e necessitano di una preghiera di intercessione, per noi che desideriamo condividere con i santi la loro comunione di vita divina e per l’intera creazione, della quale, oggi più che mai, avvertiamo l’urgenza della nostra responsabilità ecologica nei suoi confronti. Pertanto i santi che abbiamo celebrato ieri non fanno altro che lasciarci intravedere la realtà alla quale tutti siamo chiamati a partecipare, ovvero alla santità di Dio. Ma come è possibile ciò?
Ecco allora profilarsi davanti a noi il senso del dialogo tra Gesù e Marta. Rileggendolo prendiamo atto che Gesù le fa contemporaneamente un’affermazione e una domanda: “io sono la risurrezione e la vita, … credi tu questo?” Egli non le promette l’immortalità, ma la vita eterna. Appare evidente, infatti, che egli non esclude la morte fisica, al contrario la prevede per ciascuno di noi: “chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Per altro lui stesso, morendo, si è sottoposto al passaggio inevitabile della morte. La promessa che Gesù fa a Marta, dunque, è la vita eterna, come ribadisce nella sua affermazione: “chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. Eccoci giunti, allora, al nocciolo della questione: la domanda che Gesù pone a Marta, la ripone, oggi, a ciascuno di noi: “io sono la risurrezione e la vita, … credi tu questo?”. Il destino della vita eterna dipende dalla nostra fede in lui e dalla risposta che saremo in grado di dare alla sua domanda.
Il brano evangelico di Matteo che la Liturgia ci propone per la circostanza, tuttavia, ci fa capire che la vita eterna dipende anche dalla nostra condotta di vita. Per meglio comprendere questo ulteriore passaggio vorrei prendere in considerazione un altro brano evangelico di Giovanni, in cui Gesù afferma: “Viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,28-29). Stando a questo brano sembra che la risurrezione sia anch’essa un passaggio obbligato: “tutte le genti” (Mt 25,32), indipendentemente dalla condotta di vita, o dalla fede religiosa che professano, risorgeranno, ma non tutti risorgeranno alla vita eterna. Alcuni, infatti, risorgeranno per una condanna eterna. L’uno o l’altro esito sarà deciso dalla fede in Cristo: per quanti credono in lui; e dalla condotta di vita: per quanti avranno agito a favore del prossimo, come attesta, in modo emblematico, il brano evangelico di Matteo. “Tutte le genti saranno riunite davanti a Cristo” (Mt 25,32). Tuttavia, alcuni di essi riceveranno in eredità il regno di Dio, perché lo hanno servito, senza saperlo, negli affamati, negli assetati, nei carcerati, negli ammalati, negli ignudi, negli stranieri, oggi diremmo anche negli immigrati. Tra mille sorprese, a costoro Gesù dirà: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Diversamente, a chi pur credendo, non lo avrà servito in queste categorie di persone, dirà: “ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”. “E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.
La possibilità di sperimentare l’uno o l’altro destino dipenderà dalle scelte che facciamo già ora in questa vita. Cos’è l’inferno, o come dice Gesù: la dannazione eterna, se non la massima distanza da Dio, tale che pur desiderando la salvezza non possiamo più riceverla. Di conseguenza, il dannato è colui che capisce di aver perso definitivamente il dono della salvezza e non può più averla, pur desiderandola ardentemente. Egli a causa delle sue scelte di vita si trova in circostanze in cui non può più tornare indietro (cf. la parabola del povero lazzaro e del ricco epulone – Lc 16,19-31). Diversamente il paradiso, o come dice Gesù: la vita eterna, altro non è che l’estensione massima della comunione d’amore che noi già ora sperimentiamo con Dio e con il prossimo.
In conclusione, chiunque ama alla maniera evangelica di Cristo sarà chiamato a partecipare della stessa comunione di vita eterna che lui condivide col Padre. Il futuro eterno della nostra vita dipende dalla scelte esistenziali che facciamo nell’oggi della nostra fede. Come non ripetere le stesse parole di Isaia: Ecco il nostro Dio; / in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; / questi è il Signore in cui abbiamo sperato; / rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza” e del salmista: “Chi spera in te, Signore, non resta deluso”. I santi hanno scelto di fidarsi di Cristo e noi?




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