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7 Gennaio 2024 - Anno B - Battesimo del Signore


Is 55,1-11; Sal (da Is 12); 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11


Battesimo: la vita nuova in Cristo


Andrea del Verrocchio - Leonardo da Vinci e altri pittori di bottega, Battesimo di Cristo (1475 ed il 1478), Galleria degli Uffizi a Firenze.

“In quei giorni Giovanni proclamava: Viene dopo di me colui che è più forte di me … egli vi battezzerà in Spirito Santo … Venne Gesù e fu battezzato nel Giordano … e subito uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba … mentre una voce dal cielo diceva: Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te mi sono compiaciuto” (cf. Mc 1,7-11).

A conclusione di tutto il ciclo natalizio la Chiesa ci fa celebrare il Battesimo di Cristo. Un evento decisivo che ha segnato una svolta nell’esistenza di Gesù, determinando il passaggio dalla sua vita privata a quella pubblica. Noi cercheremo di commentarlo sforzandoci di capire cosa ha significato per Gesù e cosa comporta per la nostra vita personale, ecclesiale e sociale.

A mo’ di introduzione vi propongo di leggere l’episodio in tutti e quattro Vangeli, così da evidenziare le affinità, le differenze e lo specifico di ciascun evangelista; poi di rileggerli, ancora una volta, alla luce del brano paolino della lettera ai Filippesi 2,5-11, autentica chiave di lettura, per comprendere il senso di tutto l’evento incarnativo di Cristo, appena celebrato. Questa operazione vi consentirà non solo di acquisire un metodo di lettura della Scrittura, ma di cogliere il senso autentico della “vita nuova in Cristo” (Rm 6,4) che il battesimo comporta. Non si tratta, dunque, tanto di fermarvi a considerare il battesimo sotto l’aspetto rituale e liturgico, con i relativi gesti e i simboli che lo caratterizzano, ma di far luce soprattutto sui quei “sentimenti”, e quindi su quei pensieri che hanno portato Gesù a consacrare la propria vita interamente alla salvezza degli uomini, della quale il Battesimo costituisce l’evento introduttivo.

Ma di quali “sentimenti” parla Paolo? Quali sono questi “pensieri” che hanno condotto Gesù a farsi battezzare da Giovanni, pur non avendo alcun peccato da farsi perdonare? Come questi pensieri hanno accompagnato Gesù durante tutta la sua esistenza storica e hanno plasmato la sua vita evangelica? In che modo possiamo farli nostri, così da rendere la nostra vita un’esistenza battesimale? Paolo ce li lascia intendere, quando dice che Cristo “pur essendo nella condizione di Dio, / non ritenne un privilegio / l’essere come Dio, / ma svuotò se stesso / assumendo una condizione di servo, / diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Una volta uomo “umiliò se stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e a una morte di croce” (Fil 2,8).

Proviamo ora a riformulare questo brano, altamente teologico, con un linguaggio più alla nostra portata, facendo uso di categorie più vicine alla nostra condizione umana e sociale. Paolo, con questi versetti, non fa che descrivere la condizione umiliante che caratterizza il processo d’incarnazione di Cristo; e dice che egli pur disponendo di qualità e privilegi tipicamente divini, decise di rinunciarvi a favore di quelli esclusivamente umani. Il termine che Paolo usa per indicare questa rinuncia è kenosi che letteralmente significa “svuotamento”. In altre parole, egli pur disponendo di un potere divino, volle vivere da uomo tra gli uomini, privo cioè di qualsiasi facoltà o capacità soprannaturale che gli consentisse, in qualche modo, di essere favorito, rispetto agli altri uomini, nell’esercizio della sua autorità, servendosi così delle sole condizioni umane, senza usufruire o strumentalizzare i vantaggi divini di cui disponeva. Una decisione sconcertante, perché rompe decisamente con la logica umana di chi ritiene, invece, di vivere la propria umanità facendo appello alle varie forme di potere: politico, culturale, sociale, religioso, per affermare se stesso. Lungi da tutto questo egli decise di fare appello alla sola umanità: vivendo totalmente da uomo consegnato al Padre, così che nessuno potesse dire di essere stato avvantaggiato nel cammino di umanizzazione e di redenzione. Così mentre gli uomini fanno appello ai ruoli e alle varie forme di potere per attestare la loro autorità, Gesù si appella alla personale autorevolezza carismatica.


Nella versione matteana troviamo tutto questo discorso nel breve dialogo tra Gesù e il Battista, quando costui cercando di impedirgli di ricevere il suo battesimo, gli disse: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? Ma Gesù gli rispose: Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,14-15). La giustizia di cui parla Gesù non è quella giuridica, ma quella relativa al compimento della promessa salvifica di Dio, in fedeltà alla quale egli decise di sottoporsi al battesimo di Giovanni, mostrando così la sua piena solidarietà con tutti i peccatori. Un autentico segno di umiltà, col quale attestò il suo desiderio di cominciare il cammino di purificazione e redenzione al pari di ogni altro uomo. Pur essendo Redentore volle cominciare da peccatore tra i peccatori. Egli manifesta in questo modo la piena solidarietà con quanti anelano alla salvezza e non dispongono di null’altro che di Dio, per lasciarsi redimere. Una simile scelta rivela la coscienza di chi ha deciso di conformare la propria vita a quella di Dio e che Paolo esprime attraverso il termine “obbedienza”. Nella visione di Gesù l’obbedienza non è la cieca sottomissione alla volontà di un despota, che costringe ad annullare ogni identità personale e facoltà volitiva, affettiva, razionale e intellettiva, ma la libera decisione di consegnare la propria esistenza a Dio, nella convinzione che tale scelta costituisce la condizione più favorevole non solo per realizzare il piano salvifico di Dio, ma anche la pienezza della propria umanità. Paradossalmente Gesù era convinto che obbedendo al Padre sarebbe diventato pienamente se stesso. È per questa ragione che egli rimane fedele alla volontà del Padre fino alla fine, anche quando capisce che questa comporta non solo il totale rinnegamento di sé, ma perfino la morte, nella forma più ignominiosa come quella della croce.

I pensieri che hanno, dunque, condotto Gesù al battesimo sono la rinuncia al proprio potere divino e al contempo anche a quello umano: rifiutando in questo modo ogni ruolo religioso, politico, sociale che avrebbe potuto favorirlo nel suo cammino di umanizzazione. Egli era convinto che il processo di incarnazione si sarebbe compiuto nella misura in cui si sarebbe svuotato della sua divinità. Per questa ragione la forma umana che egli decise di assumere non era quella di Dio, e neppure quella di un potente, ma quella di uno “schiavo”, o come dice Paolo di un “servo”, che senza cedere alla schiavitù o al servilismo, decise volontariamente e liberamente di vivere in perfetta obbedienza alla volontà del Padre.

Alla luce di questo commento teologico e osservando il modo con cui i cristiani intessono le loro relazioni a livello ecclesiale e sociale, viene da chiedersi: se e quanto di questa logica di vita battesimale, proposta da Gesù, sia stata finora recepita, compresa e vissuta? Quanti di noi, pur sostenendo di lavorare per il Regno di Dio, vivono invece perfettamente conformi alla mentalità del regno del mondo? Sposando, senza mezzi termini, quelle idee, quei pensieri, quei sentimenti che nulla hanno a che spartire con la logica evangelica. Quanti di noi vivono lottando per conquistare ruoli, poteri, successi, riconoscimenti personali, sociali, ecclesiali, mentre Gesù ha operato esclusivamente in vista della realizzazione della volontà del Padre e del suo piano salvifico?  Egli non ha mai cercato di attirare l’attenzione su di sé, al contrario, ha progressivamente “rinnegato” e “svuotato” se stesso a favore della piena rivelazione del Padre.

Certo che quella descritta fino ad ora è una logica di “contraddizione”, e per questo assolutamente ‘illogica’ agli occhi del mondo, specie se consideriamo l’apparente disfatta a cui essa ha condotto Gesù al termine della sua vita. Da qui i sentimenti di forte ostilità e ripugnanza che essa suscita nella stragrande maggioranza delle persone. Eppure essa, paradossalmente, ha condotto Gesù ad essere glorificato dal Padre, come Paolo stesso afferma: “per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome … e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre” (Fil 2,9.11). Così mentre gli uomini fanno di tutto per autoesaltarsi, Gesù ha lasciato che fosse il Padre a glorificarlo[1].

L’evangelista Marco sintetizza, come è suo solito, tutto questo discorso attraverso un racconto estremamente sobrio, con un linguaggio chiaramente simbolico, nel quale fa menzione di due segni che ci danno l’idea del Battesimo di Gesù come di un evento teofanico: lo “Spirito” che scende su di lui come una “colomba” e la “voce del Padre” che lo proclama come il “Figlio suo, l’amato in cui egli ha posto il suo compiacimento” (cf. Mc 1,11). Un modo questo per ribadire quel riconoscimento divino e quindi quella glorificazione di Gesù che proviene direttamente dal Padre. In altri termini il Padre si compiace con Gesù perché vede realizzato in lui quell’uomo secondo il suo cuore (cf. 1Sam 13,14), e per questo lo presenta come colui al quale ogni uomo deve guardare se intende realizzare appieno la sua umanità.

Questo percorso spirituale ed esistenziale di Gesù che abbiamo cercato di delineare grazie anche all’ausilio di altri brani biblici, non fa che evidenziare la logica battesimale di quanti decidono di condividere la sua esistenza evangelica. Ciascun credente, indipendentemente dal proprio stato di vita: sposato, ordinato, religioso o laico che sia, è chiamato a condividere con Gesù la sua volontà di redimere non solo se stesso, ma trasfigurare ogni ambito della vita umana, per dare visibilità a quella vita che Paolo definisce “vita nuova in Cristo”, e Giovanni “vita filiale”. Nell’una e nell’altra formula si tratta di vivere il comandamento dell’amore di Dio (cf. 1Gv 5,1-3), grazie al quale è possibile vincere quelle tensioni conflittuali che spesso animano le nostre relazioni e, in diversi modi e forme, rendono attuale la realtà del peccato nel mondo (cf. 1 Gv 5, 4-5).

Il Battesimo di Cristo, dunque, lungi dal ridursi a un rito liturgico, ormai perfettamente integrato all’interno di una tradizione culturale, del tutta avulsa alla logica redentiva, comporta invece la decisione di liberarsi di tutte quelle sovrastrutture umane, purtroppo abbondantemente presenti anche nella Chiesa, che mirano al riconoscimento personale e impediscono la reale attuazione del regno di Dio nel mondo. Esso, più che mai, non può essere più considerato un atto limitato a un preciso momento iniziale della nostra fede, ma va esteso a tutta la vita, esattamente come Gesù ha dato prova durante tutta la sua esistenza storica. Il suo compimento è direttamente proporzionale alla rinuncia di quella mentalità del mondo, tesa ad affermare la propria individualità umana. È a queste condizioni che anche noi potremo sentirci ripetere dal Padre: “Tu sei mio Figlio, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11), il che è come dire: Tu sei l’immagine d’uomo che ho sempre desiderato vedere. In te trovo il perfetto compimento della mia volontà; per questo tu sei per me motivo di gioia e di gioia piena.

 

L’amore diventa così come la pioggia di cui parla il profeta Isaia 55,10: esso, come un moto di grazia divina scende dal cielo per posarsi nelle persone, fecondando il loro cuore e la loro mente. Tale amore non ritorna al Padre senza aver generato relazioni di vita trinitaria che trasfigurano dall’interno la vita degli uomini. In questo senso il battesimo non può essere assolutamente ridotto alla semplice celebrazione di un rito, come purtroppo ancora accade per molti di noi, ma va disteso durante tutta l’esistenza storica e manifestato attraverso uno stile di vita che riflette la stessa dinamica dell’evento pasquale che Gesù rende visibile attraverso la sua passione-morte-risurrezione. Il battesimo costituisce perciò il nucleo vitale di tutte quelle relazioni ecclesiale che rendono visibile la vita divina di Dio tra gli uomini.

 


[1] A questo proposito vi suggerisco di meditare anche sul capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, dove Gesù sembra aprirci totalmente il suo cuore e rivelarci il segreto della sua esistenza, attraverso la preghiera che egli fa prima di avviarsi alla sua passione e morte. Un capitolo, questo di Giovanni, particolarmente significativo per capire che tutta la vita di Gesù è stata una crescente manifestazione del volto del Padre, al punto da poter dire che “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9).

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