top of page

31 Agosto 2025 - Anno C - XXII Domenica del tempo ordinario


Sir 3,19-21.30-31; Sal 67/68; Eb 12,18-19.22-24a; Lc 14 1.7-14


Esaltazione ed umiltà:

due modi d’essere dell’io

 

ree

“Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). È la massima con la quale Gesù sintetizza la saggezza espressa nel libro del Siracide, al quale si riferisce il brano della prima lettura Sir 3,19-21.30-31. Essa viene pronunciata al termine di una sua parabola, raccontata a casa di uno dei capi dei farisei, dove era stato invitato per un pranzo; durante il quale, osservando il modo con cui i commensali sceglievano i posti più ragguardevoli, disse: “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

Ne scaturisce un principio etico universale – una sorta di regola d’oro – valido per ogni epoca, cultura, popolo e ambito umano, sebbene siamo ancora soliti associarlo alla sola vita religiosa e conferirgli solo una connotazione spirituale. In realtà si tratta di una norma di vita che scaturisce dall’esperienza della vita quotidiana, frutto della saggezza umana, grazie alla quale, ognuno, da buon osservatore delle persone inserite nelle vicende della realtà sociale, può verificare che “chiunque si esalta” prima o poi “sarà umiliato”; mentre “chi si umilia” presto o tardi “sarà esaltato” dalle circostanze della vita. “Esaltazione” e “umiltà” costituiscono perciò gli estremi di un comportamento morale che ciascuno può decidere di assumere nella propria vita, consapevole delle conseguenze che essi comportano a livello personale e sociale.

Per comprendere meglio il senso di questa norma morale è utile confrontarla con quella riportata dallo stesso Luca al termine della parabola del Fariseo e del pubblicano (cf. Lc 18,14), dove l’evangelista, riprendendo il discorso di Gesù, sembra voler evidenziare le conseguenze che tali atteggiamenti comportano anche a livello religioso. Il nostro compito sarà, perciò, quello di capire le cause che originano tali atteggiamenti e cosa comportano a livello relazionale, sociale, ecclesiale e spirituale.

Partendo da più lontano potremmo dire che questo detto di Gesù presuppone un sostrato sapienziale umano che necessita di essere focalizzato. Esso affonda le radici nella Sapienza biblica che oltre ad avere un’origine divina è anche ricca di saggezza umana che scaturisce dall’esperienza della vita quotidiana, come lasciano intendere tutti i libri Sapienziali. Occorre perciò chiedersi cosa induce alcuni ad essere “orgogliosi”, “superbi”, “arroganti”, “presuntuosi”, “prepotenti”, “ambiziosi”, “altezzosi” e altri ad essere “umili”, “miti”, “semplici”, “modesti”, “discreti”, “mansueti”, “docili”. È forse solo questione di disposizione naturale o caratteriale, come si è soliti pensare, o non piuttosto anche di fattori culturali che incidono notevolmente sui processi educativi e formativi delle persone? La Bibbia non esita a dire che l’uno o l’altro atteggiamento prima di tradursi in una mentalità culturale, sono determinati da una duplice scelta morale, che stando al libro del Deuteronomio, si diversificano davanti a noi come due vie: una che conduce alla “vita e al bene” e l’altra che conduce alla “morte e al male” (cf. Dt 30,15). L’una o l’altra possibilità sono determinate dalla decisione libera e volontaria di seguire o rifiutare i comandi del Signore, per vivere una vita lontana da lui o conforme ai suoi insegnamenti (cf. Sal 118,33-40). Anche il profeta Geremia fa riferimento a queste due scelte esistenziali quando parla della “via della vita” e della “via della morte” (Ger 21,8). L’una nasce dal rifiuto di credere in Dio ed è causa di perdizione, l’altra nasce dalla fede in lui ed è motivo di salvezza. Mentre l’umiltà è principio di Sapienza (cf. Prov 9,10), l’orgoglio è all’origine del peccato, perciò viene considerato come “la radice del male” (Sir 3,30; 1Tm 6). Da queste due vie scaturiscono due logiche di vita: quella del “bene”, caratterizzata dalla giustizia, dall’onestà, dalla rettitudine, dalla fedeltà, dalla lealtà, dalla verità ed è propria di chi pone Dio a fondamento della sua esistenza, e “ama gli altri come se stesso” (Lv 19,18); quella del male, invece, è propria di chi pone al posto di Dio il proprio io, ed è caratterizzata dalla prepotenza, dall’arroganza, dalla presunzione, dall’ambizione, dalla sopraffazione e ama se stesso a discapito degl’altri. Chi pone al centro l’io tende a sopravvalutare le proprie qualità, le proprie idee e a considerarsi migliore degli altri (cf. Rm 12,3); invece chi ha Dio come termine di riferimento assoluto considera i suoi insegnamenti come criterio di giudizio imprescindibili per sé e per gli altri. Mentre l’orgoglioso tende all’autoesaltazione, sapendo che nessuno potrebbe capire ed elogiare le sue qualità meglio lui; l’umile lascia agli altri e soprattutto a Dio il riconoscimento di sé e delle proprie qualità. Egli non ha bisogno di attirare l’attenzione su di sé, perché è consapevole dell’autenticità del suo operato e l’unica considerazione di sé che desidera è quella divina. E qualora il riconoscimento potrebbe non venire durante la sua esistenza, egli sa di aver consegnato a Dio la sua vita e il suo operato, cosciente di contribuire con essi al riconoscimento della causa evangelica e alla realizzazione del Regno di Dio sulla terra. E mentre il prepotente, animato dall’avidità e dalla brama del possesso, ha necessità di mordere la vita nell’attimo presente, per sfruttarla a suo favore in tutte le possibilità; il mite, consapevole di avere Dio come sommo bene, largheggia su tutti con l’eccedenza della sua generosità. “Chi cerca il Signore non manca di nulla”, dice il Salmo 118,11.

L’umile, il mite, si rivela così – come afferma Gesù nelle Beatitudini – il vero erede della terra (cf. Mt 5,5). Quando perciò diamo “una festa, o offriamo un pranzo o una cena”, ovvero quando ci rendiamo promotori di una iniziativa sociale, culturale, politica, ecclesiale, pastorale “non facciamo come gli ipocriti … che amano essere visti dalla gente”. “In verità essi hanno già ricevuto la loro ricompensa” (cf. Mt 5,6-8). Lo stile di vita ecclesiale, invece, si identifica con quello evangelico di Gesù di cui dà prova durante la lavanda dei piedi: “Capite ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,12-14). Il modo evangelico più autentico di “regnare è servire”. E “beati coloro che il Signore troverà a servire; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti e passerà a servirli” (cf. Lc 12,37). 

“Esaltazione” e “umiltà” costituiscono allora due atteggiamenti che rivelano due modi di essere, di pensare se stessi, gli altri, il mondo, Dio. In altre parole costituiscono due stili di vita. Ciascuno decide di farsi promotore dell’uno o dell’altro stile, consapevole che ogni atteggiamento comporta una conseguenze a livello esistenziale completamente diversa l’una dall’altra. Sta a noi decidere se intendiamo accontentarci della gloria momentanea del mondo, oppure attendere quella eterna di Dio.

Commenti


© Copyright – Luigi RAZZANO– All rights reserved – tutti i diritti riservati”

  • Facebook
  • Black Icon Instagram
  • Black Icon YouTube
  • logo telegram
bottom of page