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25 Dicembre 2021 - Anno C - Natale del Signore


Is 52, 7-10; Sal 97; Eb 1, 1-6; Gv 1, 1-18


Chiamati ad incarnare Cristo nell’oggi del mondo

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La liturgia della Parola della messa del giorno di Natale ci propone un brano evangelico decisamente impegnativo. L’aspetto narrativo che caratterizza solitamente i brani della messa della notte e dell’aurora, cede il passo ad uno stile comunicativo eminentemente teologico, dinanzi al quale proviamo non poca difficoltà a sviscerarne il significato, anche se alcune espressioni ci sono del tutto familiari, come: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). In realtà il brano dell’evangelista Giovanni più che raccontare un fatto, fa luce sul mistero rivelativo di Dio, del quale l’espressione appena citata, esplicita l’evento dell’Incarnazione. Si tratta di un brano che si distingue chiaramente da tutto il resto del Vangelo. Esso è un preludio o meglio un Prologo, un termine greco composto da pro = davanti e logos = discorso. Praticamente, si tratta di un’introduzione, che contiene tutti i temi che poi Giovanni svilupperà via via nel corso del racconto evangelico. Leggendolo si capisce subito che è caratterizzato da uno stile argomentativo del tutto diverso rispetto a quello narrativo del Vangelo. Qui Giovanni sembra darci un saggio della sua capacità di penetrare con l’intelligenza il mistero insondabile di Dio. Una riflessione la sua che verrà in seguito definita in termini di teologia (dal greco Theos = Dio e logos = discorso), letteralmente discorso su Dio, attraverso la quale egli si sforzò di capire, più profondamente che gli altri evangelisti, il contenuto della fede cristiana. Perciò lui è da esempio per quanti si sforzano di dare ragione della propria fede (cf. 1Pt 3,15-15).

Naturalmente non possiamo commentare l’intero brano, anche se alcuni suoi temi sono relativi proprio al tempo liturgico che stiamo celebrando, come quello della luce che splende nelle tenebre, o del Battista precursore, che abbiamo imparato a conoscere un po' più da vicino in queste domeniche. Ci soffermeremo invece sul nostro versetto centrale che mette a fuoco il significato autentico e originario del Natale: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Forse avremmo preferito un brano narrativo, come quello di Luca o di Matteo, per commemorare il Natale di Cristo e invece la Chiesa ci offre questo testo, come a voler stimolare la nostra intelligenza a scoprire il piano salvifico che è dietro questo evento.

Ma può la nostra intelligenza sviscerare il contenuto di questo mistero? Per farlo ritengo necessario qualche riflessione previa, al fine di verificare le reali condizioni spirituali che rendono possibile una simile operazione. Cominciamo perciò col fare memoria, ripercorrendo il cammino fatto durante questo tempo liturgico di Avvento, vissuto all’insegna dell’attesa, della quale abbiamo cercato di capire i modi per tradurla nella vita. La celebrazione del Natale ha senso per chi ha vissuto autenticamente le diverse tappe dell’Avvento, lasciandosi accompagnare dalle varie figure che ne hanno tracciato il cammino. Avvento significa venire, arrivare. Esso presuppone l’incontro con l’atteso, come accade alle Vergini della parabola (cf. Mt 25,1-12) che attendono lo Sposo, durante la notte, per unirsi con lui nella stanza nuziale. Tutte lo attendono, ma solo alcune di esse lo incontrano. Il diverso esito dipende dal modo “saggio” o “stolto” con cui vivono l’attesa. Ciascuna di essa infatti dispone di una lampada (fede), ma non tutte dell’olio sufficiente per tenerla accesa durante la notte. A cosa allude l’olio? E da cosa dipende la sua carenza? La negligenza, la superficialità con cui spesso viviamo la fede non ci fa correre il rischio di essere tra coloro di cui parla Giovanni nel Prologo: “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”? (Gv 1,11). Si, proprio coloro per cui egli venne, non furono in grado di riconoscerlo. La questione dunque è disporre della luce sufficiente per riconoscerne il volto quando egli viene, il che significa convertire la nostra intelligenza, il nostro amore, le nostre relazioni, la nostra vita alla mentalità e allo stile evangelico di Cristo. Questa è la svolta spirituale e culturale alla quale dovremmo mettere mano. Ma siamo disposti a cominciare questo processo di cambiamento?

Alla luce di quanto abbiamo detto proviamo ora a capire cos’è o chi è il Verbo di cui parla Giovanni? Nella nostra grammatica il verbo indica l’azione o l’identità di un soggetto. Nell’uso che ne fa Giovanni il termine invece assume una gamma piuttosto vasta di significati come: discorso, parola, ragione, senso … gli stessi della lingua greca, dalla quale lui attinge il termine. Praticamente il Verbo è l’intelligenza stessa di Dio, il Principio per mezzo del quale ha creato ogni cosa, la Parola che rivela la sua sapienza, l’amore di cui ha impregnato il creato, la ragione che dà senso a tutto l’universo, lo scopo che dà pienezza e compimento alla storia umana (cf. Gv 1,3). Questo mistero che Dio ha comunicato, in diversi modi e forme, nel corso della storia, viene del tutto palesato da Cristo, per mezzo dello Spirito (cf. Eb 1,1-2). Pertanto, quando Giovanni afferma che il Verbo di Dio si fa carne nella persona del Cristo, significa che egli decide di renderci partecipi della stessa intelligenza, della stessa sapienza, dello stesso amore di Dio, presso il quale egli era sin da principio (cf. Gv 1,1). Cristo, dunque, si fa un tutt’uno con noi, per renderci un tutt’uno con Dio. Se c’è dunque una ragione che spiega l’incarnazione di Cristo, questa sta tutta nella rivelazione del piano salvifico di Dio. Tutta la vita di Gesù è animata da quest’unico desiderio: fare di ogni relazione umana un riflesso della relazione trinitaria. Celebrare il Natale, allora, significa fare memoria di questo amore eterno di Dio, al tempo stesso, condividere l’opera di Gesù che consiste nel continuare nella storia il suo evento incarnativo, ovvero trasfigurare il mondo con l’amore del Padre. Natale è là dove accade l’amore salvifico di Dio. Esso è ciò che feconda le nostre relazioni umane e le rende ‘grembo ecclesiale’, capace di generare nell’oggi della nostra fede la presenza viva e vera di Cristo nel mondo. Essere artefici di questa presenza è ciò che più di tutto dà credibilità al nostro annuncio di Natale.

Auguro a ciascuno di essere quel “messaggero di pace che annunzia la salvezza” di cui parla il profeta Isaia 52, 7.


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