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21 Febbraio 2021 - 1° Domenica di Quaresima Anno B


Gen 9,8-15; Sal 24/25; 1Pt 3,18-22: Mc 1,12-15


Perseverare nella prova



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Con l’omelia del Mercoledì delle Ceneri siamo stati introdotti nel tema di fondo che ci accompagnerà durante tutto il cammino quaresimale: la conversione. In queste domeniche cercheremo di riprenderla e svilupparne il contenuto nei suoi diversi aspetti, lasciandoci accompagnare dalla testimonianza di coloro che l’hanno vissuta e praticata prima di noi. Invito perciò ciascuno a cogliere il particolare stato spirituale e morale in cui si trova, per meglio attingere dalle letture quegli aspetti che più di tutti rispondono alle proprie esigenze.

Tra gli elementi della fede che la Chiesa ci invita a prendere in considerazione in questa prima domenica di Quaresima, vi sono l’alleanza (cf. Gen 9,9) e la tentazione (cf. Mc 1,12-13). Questi due aspetti sono intimamente collegati al cammino di conversione. Nessun cambiamento di mentalità e di vita – come prevede la conversione – è possibile senza un’originaria intuizione di Dio e del superamento delle prove che essa comporta.

Il brano della Genesi 9,8-15, traduce questa intuizione in termini di alleanza. Essa consiste in un nuovo stile relazionale con Dio, con gli altri e col creato, al quale Dio invita Noè, in un contesto in cui l’umanità verte in una grave situazione morale, fortemente caratterizzata dal peccato, come lascia intendere il capitolo 6°, dove vengono descritte le ragioni del diluvio[1]. Si tratta di una vita nuova che Dio suscita in lui attraverso un’illuminazione spirituale, capace di risignificare e riorientare la sua esistenza. Egli non avrebbe potuto iniziarla se Dio non gliela avesse lasciata intravedere e se lui non avesse dato credito alla voce di Dio in lui. In questo senso la conversione è un cammino nuovo e creativo che ha inizio da una chiamata personale di Dio e procede grazie alla nostra fedeltà a lui.

La storia di Noè diventa così prefigurativa del nostro cammino di conversione: anche noi, come lui, siamo chiamati ad una nuova mentalità e a una nuova vita. Esse dischiudono il nostro futuro verso orizzonti esistenziali che in non pochi casi trovano la loro scintilla ispirativa in un’intuizione spirituale che Dio fa balenare in noi, attraverso il suo Spirito, magari anche in circostanze paradossali, come possono essere quelle del peccato.

Questa vita, tuttavia, prende realmente corpo nella misura in cui impariamo a superare le diverse prove che inevitabilmente si presentano davanti a noi. Esse possono sviluppare o, al contrario, rallentare, ostacolare e perfino impedirne lo sviluppo. Tutto dipende dal modo con cui sapremo interpretarle e gestirle. Nel piano salvifico di Dio la prova si manifesta anche sotto forma di tentazione, la cui funzione è quella di verificare, tastare la consistenza della nostra fedeltà a Dio e alla promessa che lui ci chiama a realizzare. Più che schivarla occorre accoglierla, attraversarla e superarla. La vittoria non è né prima, né durante, ma oltre la tentazione. “Figlio se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione”, dice l’autore del libro del Siracide 2,1. Come a dire che nessuna conversione è possibile senza imparare a conoscere la forma e la dinamica con cui la tentazione si presenta nella nostra vita.

Tra le tentazioni più comuni e difficili da superare vi è senza dubbio lo scetticismo che consiste in un atteggiamento di naturale e costante incredulità nei confronti di Dio. Esso ha a che fare con la conversione dell’intelletto e perciò contrasta palesemente con il cammino di conversione. Durante l’esperienza dell’Esodo Dio lamenta molto questo atteggiamento, tipico dei figli d’Israele (cf. Es 17,1-7), tanto da passare come un popolo di dura cervice (cf. Es 32,9). Nonostante le sue opere Dio si sente costantemente messo alla prova: “Il Signore è presente in mezzo a noi si o no?“ (Es 17,8). Lo scetticismo è indice di un cuore indurito che difficilmente predispone all’ascolto, determinando una radicale sovversione dei ruoli: l’uomo da tentato diventa tentatore, chiedendo continuamente a Dio di dare prova della sua divinità (cf. Dt 6,16). La lettera agli Ebrei 3,7-19, ci offre un’interessante interpretazione cristologica di questo atteggiamento.

La tentazione, dunque, riguarda tutti, nessuno escluso, come ci ricorda la lettura breve delle lodi di lunedì della IV settimana del Salterio del Tempo Ordinario: “Ricordatevi che i vostri padri furono messi alla prova per vedere se davvero temevano il loro Dio. Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati con molte tribolazioni e si mantennero fedeli” (Gdt 8,26; volg. 21b-23). A questo scopo vi consiglio la lettura dell’intero capitolo 2 del Siracide: esso contiene i diversi elementi con i quali chi decide di intraprendere un cammino spirituale, avrà a che fare. Per chi volesse approfondire ulteriormente il senso della tentazione e coglierne la chiave di lettura, vi suggerisco anche i brani della lettera agli Ebrei 2,17-18; 11,17; 12,1-12; la prima lettera di Pietro 1,6-9; la lettera di Giacomo 1,2-12. Tutti brani che contribuiscono a dare una buona base per cominciare una quaresima di conversione.

Tutti gli evangelisti, tranne Giovanni, ci dicono che anche Gesù fu tentato (Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13). Tra i Sinottici Marco è il più breve. Egli si limita a dire solo che Gesù: “Subito dopo (il Battesimo), fu sospinto dallo Spirito nel deserto e vi rimase per quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano” (Mc 1,12-13). Matteo e Luca si prestano meglio ad un commento più articolato ed esteso. Le tentazioni alle quali Gesù viene sottoposto sono tutte relative all’identità divina della sua persona e della sua missione, più specificamente viene tentato sul modo di gestire il poter divino e quindi sulla sua metodologia manifestativa. Non basta avere un messaggio da comunicare e una missione da compiere, occorre anche che il metodo sia coerente col contenuto. San Paolo nella sua lettera ai Filippesi 2,5-11, ci dice che Gesù incarnandosi si è spogliato, svuotandosi della sua divinità. Con questa scelta ha deciso di rinunciare a tutte le forme di potere politico, religioso, culturale, economico. Pur essendo Dio ha vissuto l’umanità senza fare appello a nessun potere, neppure a quello divino, ma solo alla preghiera; pur potendo esercitare il dominio sulle persone e sul mondo ha scelto il rinnegamento sé, seguendo la via dell’obbedienza al Padre, sottomettendosi perfino all’ingiustizia, alla violenza e alla morte di croce.

Dalla testimonianza di Gesù comprendiamo che le tentazioni non sono mai generiche, ma strettamente personali: esse hanno sempre a che fare con le scelte di vita di ciascuno. Se qualcuno, per esempio, decide di fare digiuno, la tentazione che più di tutte si scatenerà in lui, sarà la fame. Se invece riguarderà la fede la tentazione si manifesterà sotto forma di dubbi, incertezze, confusioni mentali. Egli sarà tentato in tutti i modi. Più ferma è la sua decisione, più insidiosa e serpentina sarà la tentazione. La prova rivelerà la sua fortezza o la sua fragilità. Per vincerla non basta la tenacia, ma occorre la grazia. Gesù non vince in virtù della sua divinità, ma abbandonandosi totalmente al Padre, dal quale attinge la forza per perseverare nella prova e vincere le forze occulte del nemico. In tutte e tre le tentazioni egli risponde alle insidie di satana con la parola della Scrittura (cf. Mt 4,4.6.7; Lc 4,4.8.12). La lotta che siamo chiamati ad intraprendere, dunque, è di tipo spirituale. Pertanto solo chi impara a confidare nello Spirito ha la possibilità di dominare in lui le forze del maligno. Questi è più grande di noi, ma non di Dio. Occorre dunque lasciare spazio all’azione dello Spirito in noi. E la condizione per farlo è la fede: “Questa è la vittoria che sconfigge il mondo: la nostra fede. Chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1Gv 5,4-5). “Ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Chi confida in Cristo vince il maligno, lui infatti vince le forze malefiche con cui egli esercita il suo potere nel mondo.

La fede in Cristo tuttavia non esclude l’impegno personale. Essa non ci deresponsabilizza, al punto da delegare tutto a Dio la vittoria sul male. Al contrario ci impegna in una lotta senza tregua o risparmio di energie spirituali. Quando una persona decide fermamente di rimanere fedele alla propria scelta di vita: spirituale, morale, relazionale o lavorativa che sia, il nemico fa di tutto per farlo distogliere dal proposito preso, generando, di solito, una notevole e lacerante tensione interiore, con domande o considerazioni del tipo: sarò in grado di sopportare la sfida? Forse non sono adatto a questo tipo di lotta. In fondo ho sempre perso. A che serve ricominciare se poi mi ritrovo sempre, come al solito: a punto e d’accapo? Non è meglio cedere subito, così evito un’inutile lotta? Oscar Wilde diceva che: “L’unico modo per liberarsi subito di una tentazione è cedervi”. Questo modo di procedere però evidenzia che il cammino spirituale è ancora fortemente incentrato sul nostro io. Il nemico tenta di farci credere che tutto dipende da noi, dalla nostra volontà. In realtà proprio qui si nasconde l’insidia. La volontà del nostro io, infatti, è fortemente condizionata dalle trame perfide e perverse del maligno. Essa dipende dalla natura umana corrotta dal peccato. Pertanto finché essa non è trasfigurata dalla grazia, costituisce una leva sulla quale non è opportuno fare affidamento. L’esercizio delle stesse virtù necessita di giungere dunque all’equilibrio che sant’Ignazio di Loyola esprime molto bene in una sua formula: “Prega come se tutto dipendesse da Dio, agisci come se tutto dipendesse da te”. La conversione è perciò una sinergia che scaturisce dall’attività del nostro spirito e dello Spirito di Dio dentro di noi. Non spaventiamoci dunque quando anche per noi arriva il momento della prova, né del deserto né della solitudine e neppure dell’abbandono con la quale si manifesta. Essa, serve a verificare cosa anima la nostra esistenza, come ci ricorda lo stesso Dio nel libro del Deuteronomio: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi … Egli ti ha umiliato, ti ha fatto patire la fame … per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore. Ricordati dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te” (Dt 8,2-5).

Preghiamo allora affinché anche a noi Gesù dica: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,28-30). Cos’è la Pasqua alla quale siamo orientati se non questa comunione di vita con Dio, che Gesù ci lascia intravedere attraverso la testimonianza della sua vita evangelica?





[1]Il diluvio anche se appare come una sorta di punizione divina, in realtà è una conseguenza estrema del peccato dell’umanità e che l’autore del libro della Genesi interpreta luce della rinnovata esperienza di Dio. Esso si dispiega davanti a lui come un segno ambivalente: da una parte si pone come una drammatica conseguenza del peccato, che si manifesta anche nel creato, dall’altra lascia intravedere la possibilità di una nuova vita. Esso diventa così simbolo del battesimo col quale Dio purifica non solo l’umanità, ma l’intero creato. Ogni cosa viene purificata dalla forza trasfigurativa dello Spirito di Dio.

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