17 Aprile 2022 - Anno C - Pasqua di Risurrezione del Signore
- don luigi
- 16 apr 2022
- Tempo di lettura: 4 min
At 10,34a.37-43; Sal 117/118; Col 3,1-4 (1Cor 56b-8); Gv 20,1-9 (Lc 24,13-34)
“Vide e credette” …
“le cose di lassù”

Per la messa vespertina di Pasqua la Liturgia della Parola prevede la possibilità di scegliere il brano evangelico tra due racconti delle apparizioni: quello di Giovanni 20,1-9 e quello di Luca 24,13-35, che noi commenteremo entrambi alla luce del passo paolino della lettera ai Romani 8,17: “Se davvero prenderemo parte alle sue sofferenze parteciperemo anche alla sua gloria”. Si tratta di un passo al quale abbiamo più volte fatto riferimento durante questo periodo quaresimale, poiché ci dà modo di mettere a fuoco il nucleo centrale dell’Evento Pasquale.
Nessuno può sottrarsi a questa inevitabile condizione che Gesù ribadisce in modo inequivocabile ai due discepoli di Emmaus: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti: non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,25-26). L’evangelista Giovanni, traduce questa necessità con un gesto dal sapore teologico che egli, insieme a Pietro, compie entrando nel sepolcro di Cristo (cf. Gv 20,6), dopo che Maria l’aveva scoperto vuoto già durante le prime luci dell’alba (cf. Gv 20,1). Sconvolti e trafelati i due “correvano insieme”, per verificare la notizia della Maddalena. Entrati nel sepolcro presero atto dei “teli e del sudario”, ma il corpo di Gesù era effettivamente scomparso. Dinanzi a questo inaspettato scenario Giovanni conclude la sua esperienza con una straordinaria formula di fede, che esprime in questi termini: “Vide e credette” (Gv 20,8). Si tratta di una formula che rivela il risultato di un’operazione spirituale, che accade misteriosamente nel segreto del cuore di ogni discepolo di Cristo che si accinge a ripercorrere fedelmente l’itinerario salvifico del maestro. In essa convergono e interagiscono insieme intelligenza, memoria e ragione, facoltà che è utile considerare insieme a quella che Cristo compie a favore dei due discepoli di Emmaus quando “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò si riferiva a lui” (Lc 24,27). “Spiegare” (dal latino explicare, composta da ex “fuori” e plicare “piegare”) significa “uscire fuori dalle pieghe”. Gesù, ripercorrendo tutta la sua vicenda storica alla luce delle testimonianze profetiche, aiutò i discepoli a uscire, o meglio a superare, tutti quei pregiudizi e false comprensioni che impedivano, come le pieghe, la visione chiara dell’Evento Pasquale. Allo stesso modo i discepoli di Emmaus, condividendo il gesto di Gesù dello “spezzare il pane” (cf. Lc 24,25-26), parteciparono anch’essi della sua passione e morte. Nell’uno e nell’altro caso occorre giungere a “spezzare se stessi”, ovvero a morire alla propria mentalità culturale per acquistare lo sguardo di fede, quello cioè che consente di riconoscere nella nostra storia la modalità con cui Dio realizza il suo piano salvifico. Esattamente quello che Pietro compie nella casa di Cornelio, quando, ripercorrendo la vicenda di Gesù, offre al centurione della coorte romana, i criteri per riconoscerlo come il “consacrato da Dio nello Spirito Santo”, nel quale c’è perdono e salvezza dai propri peccati (cf. At 10, 34a.37-43). “Fare memoria”, “spiegare”, “capire” diventano allora le condizioni per riconoscere Gesù nella sua nuova veste di Risorto (cf. Lc 24,30-31).
Non basta dunque assistere agli eventi della passione e morte di Gesù, così come non basta celebrarli attraverso i riti liturgici della Settimana Santa, occorre che ciascuno prenda personalmente parte di essi, mettendo in atto tutte quelle operazioni che comportano l’atto di fede. Occorre una rilettura sapienziale di tutti i momenti in cui Dio si è manifestato nella nostra vita, per individuare quel filo conduttore che lega la nostra vicenda storica all’originaria salvezza che Dio ci offre in Gesù. È in questa partecipazione personale che ciascuno di noi fonda e rinnova la propria fede in quella della Chiesa, nella quale scopriamo la sua radice “apostolica”, grazie alla quale anche noi possiamo ripetere con l’evangelista Giovanni: “Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita ... noi lo annunziamo anche a voi, perché voi siate in comunione con noi … col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1Gv 1,1-4) e ribadire con Pietro che “siamo testimoni prescelti di tutte le cose da lui compiute” (At 10,39), ovvero coloro ai quali Cristo “ha ordinato di annunciare al popolo … che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio” (At 10,42). E’ in questa rinnovata prospettiva ecclesiale della fede che possiamo ridare vigore all’esortazione che Paolo rivolge ai Colossesi: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio” (Col 3,1-2). Non è possibile “Cercare le cose di lassù” senza fondare la propria fede nella passione di Cristo. È da questo fondamento che possiamo attingere il lievito dello “Spirito che fa nuove tutte le cose” (cf. Ap 21,5), ovvero di colui che dà origine alla “vita nuova in Cristo” (cf. Col 3,1-4). “Le cose di lassù” di cui parla Paolo, costituiscono la radice e il fondamento della nostra esistenza. È qui che possiamo riscoprire il senso e il gusto dell’eternità, del quale più che mai abbiamo urgentemente bisogno per non cadere alla tentazione della disperazione, così diffusa nell’oggi della nostra vita culturale e purtroppo ahimè anche ecclesiale.
L’augurio che rivolgo a ciascuno di voi è quello di avere il coraggio di scendere, come Giovanni e Pietro, nel sepolcro di Cristo e “lasciarsi spezzare”, come i due Discepoli di Emmaus, dall’amore salvifico di Cristo, per trovare la passione delle “cose di lassù”, e ripetere, malgrado lo spettro della guerra, come i primi discepoli: “Cristo è risorto! È veramente risorto!”.




Devo imparare ad uscire fuori dalle pieghe anche io come Pietro, Giovanni e i Discepoli di Emmaus
le meditazioni della Parola,alla fine, mi riportano sempre alla piccola-grande preghiera che recitava il pubblicano,in disparte, battendosi il petto: "Dio mio abbi pieta' di me povero peccatore".