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15 Agosto 2025 - Anno C - Assunzione della Beata Vergine Maria


Ap 11,19; 12,1-6.10; Sal 44/45; Cor 15,20-26; Lc 1,39-56


Maria Assunta: icona della nostra risurrezione



Tiziano, L'Assunta ((1516-1518), Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia (part.)
Tiziano, L'Assunta ((1516-1518), Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia (part.)

“Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole … Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso … Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: Ora si è compiutala salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo” (Ap 11,19; 12,1-6.10).

Col dogma dell’Assunzione[1] la Chiesa sintetizza e consolida tutta la tradizione mariana[2] in merito al Trapasso della Vergine Maria al cielo. Queste le parole conclusive del documento magisteriale Munificentissimus Deus: “L’Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in spirito e corpo”. Una proclamazione solenne con la quale Maria viene riconosciuta la prima destinataria della Risurrezione di Cristo. In questo senso ella prefigura e anticipa il mistero della Risurrezione della carne, verso cui tutti i credenti in Cristo sono orientati. Maria è la “primizia” (1Cor 15,20) di un’umanità chiamata a risorgere in Cristo alla vita eterna[3].

La formulazione dogmatica, tuttavia, per quanto si pronunci sulla dipartita al cielo in spirito e corpo, non dice nulla sul modo con cui ciò avviene. Tale comprensione viene lasciata all’interpretazione teologica della tradizione ecclesiale, che varia a seconda della visione Ortodossa o Cattolica. Mentre nella prima si parla di dormizione nella seconda si parla di assunzione. Col termine dormizione si sostiene che Maria non sarebbe morta, ma caduta in un sonno profondo sarebbe entrata direttamente nella vita gloriosa. Con quello di assunzione, invece, si sostiene che alla “fine del corso terreno” della vita, fu elevata al cielo. Quest’ultimo termine non esclude la morte, ma neppure l’ammette esplicitamente. In ogni caso, con l’una o con l’altra interpretazione ciò che s’intende affermare, in coerenza con l’altro grande dogma mariano dell’Immacolata concezione (1854), è che Maria, essendo stata preservata dal peccato originale, non è stata soggetta alla corruzione del corpo, ma che sia stata resa partecipe della vita gloriosa del Figlio direttamente sia con lo spirito sia con il corpo, anticipando in questo modo la sorte dell’umanità credente. La vita di Maria si ritrova così circoscritta all’interno di due dogmi: quello dell’Immacolata concezione e quello dell’Assunzione al cielo. Il primo afferma che ella fu prescelta da Dio per ospitare il Verbo nel suo seno durante la vita terrena; il secondo, invece, dichiara che fu assunta direttamente dal Figlio nella sua vita gloriosa.

Le letture, uniche per tutti e tre gli anni liturgici, si prestano in vario modo all’interpretazione di questo mistero. Il libro dell’Apocalisse 11,19; 12,1-6.10, con un linguaggio ricco di simboli, lascia intravedere nella descrizione della “donna vestita di sole”, la figura personale di Maria, ma anche quella comunitaria della Chiesa che in “lotta con l’enorme drago roso”, simbolo delle forze del male, traccia il corso storico verso la salvezza escatologica. 

Anche il brano paolino della lettera ai Corinti 15,20-26 si presta ad una rilettura in chiave mariologica, lasciando intravedere il destino dei credenti in Cristo, di cui Maria costituisce una singolare anticipazione.

            Infine il brano lucano del Magnificat 1,39-56 sembra tracciare le condizioni affinché ogni credente possa partecipare della stessa eredità di Cristo. Esso delinea una logica di vita evangelica in evidente contrasto con quella del mondo. Sposarla significa prodigarsi a favore di una prassi divina che, al di là dell’apparente piccolezza e insignificanza dei suoi testimoni, è destinata a sovvertire e a “disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore; a rovesciare i potenti dai troni; ad innalzare gli umili; a ricolmare di beni gli affamati, a rimandare a mani vuote i ricchi” (cf. Lc 1,51-53). Si tratta di una logica incomprensibile agli occhi del mondo e per questo difficilmente perseguibile, perfino da molti cristiani, secondo la quale “Dio sceglie ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; ciò che è debole per confondere i forti, ciò che è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (cf. 1Cor 1,27-28). Di contro alla potenza con la quale i grandi del mondo sono soliti sfoggiare la loro arrogante superiorità, Dio sceglie di manifestarsi e di operare attraverso l’umiltà dei piccoli evangelici (cf Mt 18,3-5). Una logica divina che l’evangelista Luca traduce nell’incontro di due donne: Maria ed Elisabetta, colte in una scena di vita quotidiana (cf. Lc 1, 39-56), verso la quale fa volgere il nostro sguardo, come a volerci descrivere l’orizzonte relazionale entro cui si determinano, anche per noi, le condizioni spirituali per il nostro Magnificat e quindi della nostra ‘assunzione’.

L’incontro tra Maria ed Elisabetta costituisce, infatti, uno straordinario esempio di comunicazione spirituale. Maria, appena prende consapevolezza del prodigio che Dio aveva compiuto in lei, avverte il bisogno di comunicarlo. E chi poteva capire ciò che era avvenuto in lei se non Elisabetta, della quale l’Angelo Gabriele le aveva detto: “Vedi anche Elisabetta, tua parente, nella vecchiaia ha concepito un figlio … che era detta sterile” (Lc 1,36). Un colloquio emblematico il loro che esplicita quello muto tra i bambini che ciascuna porta nel grembo, dai quali ognuna sembra venire confermata nella rispettiva fede. La beatitudine di cui Maria ed Elisabetta vengono rese oggetto da parte di Dio non sta tanto nel prodigio che accade nel loro corpo, ma nell’aver creduto “all’adempimento di ciò che il Signore aveva detto loro” (cf. Lc 1,45). La fede è allora la condizione fondamentale che consente a Dio di operare attraverso di loro e anche attraverso di noi nel quotidiano della nostra vita. E qual è l’opera che egli chiede di realizzare se non quella salvifica della tradizione biblica “promessa ad Abramo e alla sua discendenza”? (Lc 1,55). Condividere la logica evangelica descritta nel Magnificat, significa allora accogliere e consegnare il disegno d’amore di Dio sull’umanità, come Maria, alle persone che ‘visitiamo’ nel nostro vissuto quotidiano, per renderne ancora attraente, credibile e attuale la salvezza. Forse nulla come questa missione può costituire la ragione che consente al nostro spirito di esultare come lei, con le parole del profeta Isaia: “Io gioisco pienamente nel Signore, il mio spirito esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli” (Is 61,10). È rendendo partecipe il mondo di questo disegno d’amore che anche noi possiamo contribuire a lasciare intravedere il destino dell’umanità redenta da Cristo e ripetere, nell’oggi della nostra fede, con Maria: “Il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, … perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. “Sia in ciascuno”, allora, “lo spirito di Maria per magnificare ed esultare in Dio” nostro salvatore (san Ambrogio).

 



[1] Il dogma viene proclamato da Pio XII nel 1950.

[2] Essa ha origini antichissime che risalgono al IV secolo in Oriente e al VII in Occidente, caratterizzata da una serie di documenti storici che hanno preparato questa affermazione dogmatica. Tra i primi documenti ricordiamo quello di san Gregorio di Tours (538 ca - 594), storico e agiografo gallo-romano che così scrive: “Infine, quando la beata Vergine, avendo completato il corso della sua esistenza terrena, stava per essere chiamata da questo mondo, tutti gli apostoli, provenienti dalle loro differenti regioni, si riunirono nella sua casa. Quando sentirono che essa stava per lasciare il mondo, vegliarono insieme con lei. Ma ecco che il Signore Gesù venne con i suoi angeli e, presa la sua anima, la consegnò all’arcangelo Michele e si allontanò. All’alba gli apostoli sollevarono il suo corpo su un giaciglio, lo deposero su un sepolcro e lo custodirono, in attesa della venuta del Signore. Ed ecco che per la seconda volta il Signore si presentò a loro, ordinò che il sacro corpo fosse preso e portato in Paradiso”.

[3] A questo documento fa eco la Lumen gentium del Concilio Vaticano II, quando dice: “La Madre di Gesù come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nello spirito, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore”.

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