09 Gennaio 2022 - Anno C - Battesimo di Gesù
- don luigi
- 8 gen 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Is 40,1-5.9-11; Sal 104/104; Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22
Uno stile di vita battesimale

L’idea di collocare il Battesimo di Gesù nel contesto natalizio nasce da quella prospettiva teologica alla quale abbiamo più volte fatto riferimento in questo tempo liturgico: la rivelazione di Dio, riservata originariamente solo al popolo d’Israele e poi estesa a tutti i popoli a partire dall’Epifania, continua ancora col Battesimo di Gesù e con le Nozze di Cana. Attraverso questi eventi Gesù svela ulteriormente il mistero della sua identità divina e della sua missione salvifica nel mondo, inaugurando uno stile di vita battesimale, impregnato dello stesso amore relazionale del Padre, nello Spirito Santo. Col Battesimo di Gesù si conclude, perciò, tutto il ciclo natalizio ed inizia il tempo ordinario, durante il quale ciascun discepolo è chiamato a rinnovare il vissuto quotidiano con la dinamica della vita battesimale.
Quello del Battesimo è un episodio della vita di Cristo di non immediata comprensione: non si capisce infatti come mai Gesù, riconosciuto unanimemente come “colui che è senza peccato”, si sia sottoposto al battesimo di conversione del Battista, previsto esclusivamente per i peccatori. Per comprenderne il senso è opportuno allora rileggerlo alla luce del passo paolino della lettera ai Filippesi 2,5-11, dove viene detto che Cristo per farsi uomo si sottopone volontariamente a un processo di ‘spogliazione’ della sua divinità. San Paolo esprime questo processo in termini di kenosi (parola greca che significa letteralmente “svuotamento”). In altre parole Cristo, nel condividere il piano incarnativo del Padre, decide liberamente di abbassarsi al livello dell’uomo, fino ad assumere la forma dello schiavo, ovvero di chi si fa uno con la condizione più estrema del peccato. Il battesimo diventa così una tappa decisiva del cammino di umanizzazione di Cristo, a partire dalla quale egli dà origine al processo della redenzione. E lo fa ponendosi allo stesso livello dell’uomo, esattamente come un peccatore tra i peccatori. Avere gli stessi sentimenti di Gesù significa allora condividere con lui la decisione di svuotarsi di quella naturale volontà umana condizionata dal peccato, con la quale, in diversi modi e forme, tendiamo ad esercitare il nostro egocentrismo, il nostro egoismo, il nostro individualismo, per aprirci invece a quella vita relazionale che scaturisce dalla vita trinitaria di Dio e che Cristo ci dona per mezzo del suo battesimo. Vivere in modo battesimale significa perciò diventare come Cristo: interamente recettivi alla volontà di Dio e al suo disegno redentivo.
Ma proviamo a vedere in che modo ciascuno di noi può intraprendere questo cammino battesimale. Come sempre cercheremo di individuare all’interno del brano evangelico le condizioni pratiche da seguire. In questo caso partiremo da quello che Giovanni propone ai suoi ascoltatori, i quali si lasciano interpellare dalle sue parole e soprattutto dalla sua testimonianza di vita, come emerge da questo versetto: “Poiché il popolo era in attesa, tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo” (Lc 3,15). La predicazione di Giovanni è così profonda, coinvolgente e rinnovativa da generare seri interrogativi nei suoi ascoltatori. Essi prendono atto di avere una condotta morale e spirituale del tutto lontana, rispetto alla vita ascetica del Battista e tuttavia invece di autogiustificarsi, come di solito facciamo noi, si lasciano interpellare, chiedendo “cosa fare” (Lc 3,10).
Nel tentativo di scoprire “cosa fare” nell’oggi della nostra fede, vi invito ad immaginarvi nella scena evangelica e porvi al posto degli ascoltatori del Battista e a chiedervi: Come avremmo reagito noi alle provocazioni del Battista? Come mai, pur avendo ricevuto il battesimo, continuiamo a nutrire scarso interesse per la vita divina che esso ci dona? Cosa ci impedisce di uscire da questa indifferenza spirituale che caratterizza la nostra attuale condizione di fede? Non è forse vero che la proposta battesimale non ci interessa, semplicemente perché siamo del tutto appagati dal benessere e da quella accomodante mentalità borghese che riduce la nostra vita pastorale a quella degli impiegati d’ufficio, dove tutto è svolto solo secondo regole ed orari. Se intendiamo seriamente capire “cosa fare”, occorre più che mai aprirsi all’azione creativa dello Spirito. Lui e lui solo ci insegna a tradurre la vita battesimale nelle nostre relazioni quotidiane.
“Io vi battezzo con acqua, ma viene dopo di me colui che è più forte di me” (Lc 3,16). Quello di Giovanni è un battesimo di penitenza. La sua funzione è quella di condurre le persone al pentimento, ovvero alla coscienza del peccato. Prendere coscienza del peccato è certamente importante, ma non determina la sua cancellazione. Occorre essere perdonati e ciò può venire solo dall’alto, ovvero dall’infinita misericordia di Dio che si manifesta nell’amore evangelico di Cristo. Giovanni con la sua predicazione favorisce lo sviluppo della dimensione religiosa, con tutto ciò che essa comporta come l’ascolto della voce di Dio, la fedeltà ai suoi precetti, ma occorre fare concreta esperienza dell’amore di Dio in Cristo per entrare in comunione di vita con Dio, ed essere da lui salvati. In questo consiste la superiorità del battesimo di Cristo rispetto a quello di Giovanni.
“Io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci ai suoi sandali” (Lc 3,16). Questo di Giovanni viene di solito interpretato come un atto di umiltà, in realtà egli cita un proverbio, abbastanza comune a quel tempo, che si rifà alla legge “del levirato” (dal latino levir = fratello dello sposo), descritta nel quarto capitolo del libro di Rut. Si trattava di una legge praticata da diversi popoli dell’antichità e anche presso gli Ebrei, secondo la quale un uomo ha l’obbligo, o il diritto, di sposare la moglie del proprio fratello, qualora lui muoia prima di avere una discendenza. Il fratello, tuttavia poteva anche sottrarsi a tale obbligo, cedendo al prossimo fratello il diritto di prole, con una pubblica dichiarazione, davanti alla vedova e agli anziani del popolo. Tale rifiuto avveniva con un gesto che consisteva nello sciogliersi il legaccio del sandalo e cederlo al successore. Questa consegna confermava la decisione di svincolarsi da ogni obbligo e diritto. Citando questo proverbio Giovanni ci fa capire che pur disponendo del diritto ereditario e delle prerogative ad essere lo sposo di Israele vi rinuncia a favore di Cristo, riconoscendolo come il vero Sposo, designato da Dio, attestato anche dalla voce del Padre che si ode dal cielo: “Tu sei il mio Figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). Il battesimo praticato da Cristo costituisce perciò il vero luogo di salvezza per la remissione dei peccati, come evidenzia lo stesso Battista con la formula: “Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16), con la quale contraddistingue il suo battesimo da quello di Cristo. Solo Cristo può veramente dare la discendenza spirituale a Israele.
“Ricevuto il battesimo Gesù stava in preghiera” (Lc 3,21). La preghiera è per Gesù il luogo della comunione col Padre. Essa è la condizione per essere rinnovati dal suo amore. Ciò che salva le persone non è la volontà di vivere moralmente integri e fedeli alla legge morale, ma l’amore praticato da Cristo, che scaturisce dalla sua relazione col Padre nello Spirito. È lo Spirito di Dio che Gesù manifesta con la preghiera che fa nuove tutte le cose.
San Paolo riprende questo discorso battesimale evidenziando la reale opera di Cristo, il quale ci salva non per i nostri meriti o per le opere di giustizia, di bontà, di altruismo che compiamo nella vita, ma per la sua gratuita misericordia che elargisce senza misura, per l’unico desiderio di vederci salvati. Egli ancora più di una madre è pronto a trovare sempre una ragione pur di giustificare i propri figli (cf Tt 3,5-6). Si comprende in questa ottica la gioia che scaturisce dalle parole di gratitudine che il profeta Isaia sente di rivolgere a Dio, a seguito della dolorosa esperienza dell’esilio degli Israeliti: “Consolate, consolate il mio popolo … Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata … Ecco, il Signore Dio viene con potenza, … egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri” (Is 40,11). Come non ribadire allora anche tutta la nostra gratitudine a Dio con le parole del salmista: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo nome. Benedici il Signore anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici” (Sal 103/102, 1-2).
Comments