Istinto divino
- don luigi
- 24 apr 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 4 lug 2024
Cenacolo poetico

Istinto divino
Più della foresta
il lupo
è il richiamo
tuo in me
… o Dio.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
La natura umana è caratterizzata, si sa, da diversi istinti, tra i quali distinguiamo quello alimentare, riproduttivo, conservativo. Si tratta di una forza primordiale che si manifesta attraverso un comportamento innato, costituito da un corredo genetico che ciascuno eredita in vista della difesa e della sopravvivenza della specie, tanto umana, quanto animale e in certi casi anche vegetale. Per questo motivo esso non necessita di essere acquisito dall’apprendimento, poiché qualsiasi individuo, indipendentemente dal contesto culturale in cui si trova, li mette in atto qualora la circostanza lo richieda. Oltre a quelli comuni, ogni specie ne dispone di alcuni in particolari, talvolta così peculiari da destare tutt’oggi una sorprendente ammirazione. Basti pensare agli uccelli migratori e alle loro rotte intercontinentali, fatte di diverse migliaia di chilometri, eseguite con una puntualità e precisione impressionante. In certi casi con una formazione a squadriglia così accurata da risultare superiore anche alle nostre più sofisticate unità aeree. Oppure alle forme fluttuanti degli storni, compiute nel cielo con un dinamismo ritmico da non trovare uguali neppure nei danzatori più esperti. Cosa dire delle covate delle tartarughe, fatte negli stessi luoghi in cui sono nate e dove ritornano dopo aver vissuto in giro per diversi anni nel mare. O ancora alla straordinaria capacità con cui i castori costruiscono le loro dighe, pur senza disporre dei calcoli ingegneristici della scienza edilizia. Si tratta chiaramente di capacità sorprendenti, ma eseguite entro schemi perfettamente prestabiliti dalla natura, che non necessitano di ulteriori forme di sviluppo, come per esempio può avvenire per quelli umani, dove a parità d’istinto, interviene anche l’intelligenza umana e la libertà che consentono perfino di integrarli o dominarli.
Tra i diversi istinti ve n’è uno: quello religioso, che appartiene esclusivamente alla specie umana, sebbene presenti una struttura alquanto simile agli istinti primari. Esso si manifesta come tendenza innata a cercare il senso della vita e per questo è fortemente evocativo delle origini primordiali non solo biologiche, ma soprattutto spirituali. Per queste caratteristiche non è facile distinguere il suo confine da quello dell’intelligenza umana, tanto intrecciati sono i loro sviluppi. La poesia sembra riferirsi a questo particolare istinto. Da qui il titolo: Istinto divino, dal sapore fortemente evocativo del passato ancestrale dell’uomo.
Si tratta di una lirica con la quale il poeta cerca di far luce su quel trascorso remoto umano andato perduto, o per lo meno relegato nei meandri più oscuri della memoria, ma che in certi casi riemerge prepotentemente sottoforma di “richiamo”, verso qualcosa di cui si avverte una profonda attrazione interiore, ma che malgrado tutto, rimane avvolto in un’aura di mistero. Non è facile individuare l’origine di questa “voce”, ancor meno di definirne l’identità. Nel corso della storia molti hanno cercato di interpretarla. Per qualcuno essa è cifra della memoria primitiva che decodifica l’abissale inconscio collettivo; per altri è l’insorgere della sfera spirituale che affiora alla memoria Dei, considerata come il luogo più originario della natura umana, dove è ancora possibile riascoltare lo scalpitio dei “passi di Dio” (Gen 3,8) nell’esistenza del creato. Sebbene oggi si tenti di rimuovere costantemente questa “voce”, essa echeggia più forte che mai, come ciò che permette all’uomo non tanto di riscrivere il passato, quanto di dargliene un senso. Si comprende allora la ragione per cui il poeta identifica questa “voce” con quella di Dio, della quale si pone in ascolto, alla maniera dei profeti biblici, che ne decodificano la volontà attraverso la Parola che lui stesso rivela loro. Essa costituisce, perciò un “richiamo” ancora più forte di quello istintuale del lupo verso la foresta, ritenuta per natura suo luogo d’origine: “Più della foresta / il lupo / è il richiamo / tuo in me o Dio”. Dio diventa così il diretto interlocutore del suo io, compreso come luogo più originario dell’identità relazionale dell’uomo, nel quale risiede il nucleo remoto del dinamismo relazionale di Dio, del quale Giovanni sembra darne la definizione più autentica, quando parla di lui come “Amore” (cf. 1Gv 4,16). In altre parole il “richiamo” che il poeta sperimenta nelle zone più recondite del cuore è indice della sua relazione primigenia con Dio, che biblicamente assume il titolo di “Signore”, attribuibile solo a chi gode di una sovranità eccelsa su tutta la storia, il creato e perfino sugli altri dei, che sebbene non vengano esclusi sono comunque inferiori al “Signore dei signori” (cf. Sal 135).
Pur nella sua brevità questa poesia sembra riassumere, reinterpretandolo, il romanzo avventuriero di Jack London: Il richiamo della foresta, di cui è la sorgente ispirativa. Più che evidente, infatti, è il riferimento al “richiamo” originario della vita che, nonostante le sovrastrutture culturali, riaffiora ciclicamente alla memoria. In un simile contesto due sembrano essere le vie percorribili dell’uomo per un approccio cognitivo a questa origine: la fede, compresa come intuizione primigenia di Dio, riconosciuto come il fondamento ontologico che dà senso all’esistenza umana; e la ragione scientifica che invece di queste origini si sforza di tracciarne il processo evolutivo. Queste due forme di indagini vengono comunemente percepite come conflittuali ed esclusiviste. Per il poeta esse sono complementari. Entrambe contribuiscono a scoprire il nucleo propulsivo della vita, di cui la “voce” che risuona nel cuore dell’uomo, è un irresistibile “richiamo”.




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