Seguimi
- don luigi
- 16 lug
- Tempo di lettura: 4 min
Cenacolo poetico

Seguimi
Sovente nella notte
repentina mi desta la Parola,
quando nel torpore
l’anima s’adagia
nei pensieri del mio cuore;
ch’essa, senza indugio,
in breve mi persuade
all’ascolto della Voce
mistica e soave,
mentre, ancora una volta,
nell’oggi mi ripete:
“Seguimi! Ché l’amore
non concede dilazioni
a chi la mano
ha già posto sull’aratro”.
Luigi Razzano
Iconologia poetica

Seguimi! È la parola chiave di questa lirica, con la quale l’autore sintetizza l’evento della sua chiamata. Si tratta di un imperativo decisivo, per la svolta esistenziale che esso ha determinato nella sua vita. Una svolta che – a quanto pare – non accenna a placare la carica innovativa che la caratterizza, animata com’è dall’amore per Dio che, più di ogni altra cosa, si rivela in lui “forte come la morte, tenace come gli inferi” (Ct 8,6), capace cioè di mantenere sempre attuale il fervore degli inizi, tanto è viva in lui la Voce che “ancora una volta / gli ripete: Seguimi!”. Pertanto, più che determinare una svolta unica e definitiva, la sua è una chiamata in continua evoluzione spirituale. Ne scaturisce un racconto che evidenzia il dinamismo della chiamata, più che lo specifico della sua vocazione, espresso com’è da un linguaggio sobrio, semplice, essenziale, privo di qualsiasi narrazione aulica, ma non per questo meno potente; al contrario, estremamente vitale, tipico di quello evangelico, tutto concentrato sul potere innovativo e redentivo della Parola.
Rispetto ai Vangeli, però, dove i “racconti della chiamata” vengono per lo più ambientati alla luce del giorno – spesso al mattino – come a volere evidenziare l’inizio di una nuova vita, qui l’autore – senza tralasciare questa simbologia – preferisce collocare la sua “Nella notte”, un po’ come a evocare i grandi avvenimenti biblici: tra i quali l’inizio dell’attività creativa di Dio (cf. Gen 1,1-2); la lotta di Giacobbe con l’Angelo (cf. Gen 32,22-32); il passaggio del Mar Rosso (cf. Es 14,21); la nascita di Gesù (cf. Lc 2,1-20); la sua agonia nel Getsemani (cf. Mt 26,36-46); l’evento della sua risurrezione (cf. Gv 20,1). Tutti eventi che accadono nella notte. La notte, biblicamente intesa allude infatti al carattere misterioso dell’opera di Dio. Essa è il luogo in cui accade la storia della salvezza, o ancora il tempo in cui Dio fa risuonare le sue promesse. Questo aspetto misterioso, tuttavia, viene espresso anche col simbolo dell’“ombra”, come nel caso della colonna di fumo e di fuoco che faceva da guida al popolo d’Israele durante la sua permanenza nel deserto (cf. Es 13,21-22); o ancora nel caso dell’Annunciazione di Maria (cf. Lc 1,26-38). Ma la notte, nel caso del poeta, allude anche a quello stato di “torpore” che può avviluppare l’anima quando “s’adagia / nei pensieri del suo cuore”, ovvero quando viene assalito da quel groviglio di voci, sentimenti, desideri che, come il canto suggestivo e ammaliante delle Sirene, indusse Ulisse a legarsi all’albero maestro della barca, pur di non cedere alla loro seduzione.
Comunque viene espressa la notte dice il carattere misterioso della chiamata: nessuno è in grado di dire perché essa raggiunga uno piuttosto che un altro, né è facile esplicitare le ragioni per cui uno si lascia interpellare più di un altro dalla voce di Dio. Ancora meno facile è discernere con certezza la sua origine. Senza contare poi i presupposti che ne determinano l’ascolto, che possono essere tanti e comunque determinanti per chi decide di assumersi le responsabilità che essa comporta. Vocazione, infatti, dal punto di vista etimologico significa essere fatto per. Il che prevede che una persona, una volta raggiunta questa comprensione, deve necessariamente tradurla in una scelta esistenziale e spirituale che le corrisponde, se intende dare senso, pienezza e compimento alla propria vita. Pertanto, al di là della cornice religiosa entro la quale viene abitualmente collocata, essa riguarda l’esistenza di ciascuno, nel senso che attualizzandola una persona ha modo di realizzare pienamente se stesso. Il che però non è mai un processo idilliaco, tranquillo, pacifico; anzi, esso comporta una continua lotta contro tutte quelle forme di resistenze psicologiche e culturali, personali e sociali e soprattutto contro quella mentalità abitudinaria, per la quale viene prevista a rimedio una vera e propria svolta, definita in termini di metanoia, che nello specifico comporta un profondo e radicale mutamento nel modo di pensare se stessi, la realtà e Dio.
La chiamata, che nella vita del poeta si dischiude con la progressiva comprensione della “parola”, diventa così la condizione per accedere alla relazione personale con Dio, sostanzialmente costituita dalla realtà dell’amore, riconosciuta come l’essenza della vita divina e umana. Tuttavia questo amore, per quanto soave e leggero, si rivela così esigente da non ammettere “dilazioni / a chi la mano / ha già posto sull’aratro”. Essa non concede neppure di adempiere i doveri morali primari (cf. Lc 9,58-62). In altre parole chi scopre di essere stato chiamato ad amare Dio e ad essere amato da lui, non può concedersi di avere uno stile di vita accomodante. La vita diventa precaria, provvisoria, ritmata dalle continue istanze di Dio, da indurre chi, come il poeta, si pone all’ascolto costante della sua Voce, a diventare un “nomade di Dio”, sempre alla ricerca di una forma di vita il più possibile coerente e aderente alla volontà divina. Una vita, dunque, sempre creativa, innovativa esattamente come quella dello Spirito in lui.




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