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Se vuoi

Aggiornamento: 26 mag 2024

Cenacolo poetico



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Se vuoi

 

È notte.

Il silenzio

cala nel mondo.

L’uomo tace.

Parla Dio

… se vuoi.

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

Ci sono momenti della vita in cui, più delle altre volte, ci accade di percepire il silenzio. La notte è uno di questi. E forse mai come in questi momenti avvertiamo la sensazione di ritrovarci a tu per tu col nostro io. Liberi dalle maschere o dai personaggi che la cultura spesso ci impone di impersonare, avvertiamo quei rari momenti di autenticità, nei quali ci sentiamo felici di ritrovare finalmente noi stessi. Anche lo sguardo sembra purificarsi e, magari, per la prima volta riusciamo perfino a guardarci dentro e a scoprire chi siamo realmente. Ma non sempre ci riesce facile intraprendere questa avventura. Sapere chi siamo veramente, per qualcuno potrebbe essere motivo di spavento. Forse perché intuiamo che la nostra identità non corrisponde a quello che vorremmo essere, conformata com’è a quelle immagini sociali che idealizziamo, e qua e là abbiamo acquisito nel tempo; alle quali abbiamo aderito senza un sano discernimento, o che abbiamo indossato perché ci faceva comodo pensarci in quel modo, o ancora perché ritenevamo di essere più accettati dagli altri. Per molti questa finzione dura per tutta la vita. Costoroaderiscono così perfettamente alla maschera che indossano, da identificarsi con il loro personaggio. E la sola idea di disfarsene potrebbe essere traumatica, tanto da ritenere più opportuno tenersela. Del resto perché rimuoverla, visto che la vita stessa sembra tutta una fiction, con tutta la “realtà aumentata” e “virtuale” che ci circonda, la quale ci appare più reale della stessa realtà. Eh già, perché modificarla se ciò ci fa stare bene? Se il profilo che abbiamo così accuratamente costruito sui social aumenta le visualizzazioni e i nostri followers perché essere diversi da quello che appariamo? Dopo tutto intraprendere un percorso identitario è faticoso, specie quando l’immagine e il nome che ci siamo costruiti è ormai così famoso che gli altri ci accettano come vogliamo. È vero che qualcuno dice: “A che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? (Lc 9,25), ma in fondo quando mai siamo stati noi stessi? Non è meglio lasciare le cose come stanno?  

Malgrado questo apparente vantaggio, avvertiamo che questa prassi comportamentale, con la quale ci sforziamo di plasmare la nostra identità, genera qua e là alcuni conflittiinteriori, specie in chi ha il coraggio dell’onestà intellettiva e spirituale. Alcuni riescono anche a far tacere queste voci, ma nonostante gli sforzi esse emergono ciclicamente, in certe fasi della nostra vita. Ecco allora profilarsi un interrogativo di pirandelliana memoria: essere uno, nessuno e centomila o essere se stessi? Ma lasciare emergere questo interrogativopuò risultare rischioso, perché significa porsi come un personaggio in cerca di autore. E ciò ci fa paura, perché significa mettersi alla ricerca delle nostre radici identitarie ed esistenziali, e magari scoprire che, contrariamente a quello che pensiamo, qualcuno ci ha pensato e amato prima ancora che noi fossimo nel grembo materno (cf. Ger 1,5). Un po’come quella paura atavica, che emerge ogni qualvolta entriamo realmente in contatto con noi stessi. Quella paura, per intenderci, così ben descritta nel libro della Genesi, dove,all’indomani della drammatica situazione determinata dalla decisione di interrompere la relazione con Dio, l’uomo si sente domandare da lui: “Adamo dove sei?”. E questi a lui: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gen 3,9-10). Può sembrare paradossale questa forma di paura che manifestiamo perfino nei confronti di chi ci ama più di tutti gli altri, eppure essa si manifesta ogni qual volta ci scopriamo nudi della nostra identità o avvertiamo seriamente il desiderio di incontrare noi stessi e di gettare lo sguardo in quel nucleo incandescente che è la nostra essenza. Anche noi, allora, come Adamo,sembriamo nasconderci non solo a Dio, ma perfino a noi stessi. Sarà perché il nostro io è il riflesso di quello di Dio, secondo la sua “immagine e somiglianza”? (cf. Gen 1,26).Sarà pure vera questa verità, ma non sempre siamo d’accordo con essa, anzi spesso avvertiamo un tale senso di autonomia e indipendenza da sentire il desiderio di svincolarci da qualsiasi legame esistenziale con lui, pur di rivendicare la nostra libertà. Eppure che strano, il nostro cuore è inquieto finché rimane lontano da Dio. Chi è allora questo Dio che una certa cultura illuminista, ci fa apparire come un antagonista e perfino come qualcuno che intende limitare la nostra libertà, plasmare la nostra identità e impedirci di esercitare la nostra volontà? In realtà mai come in queste circostanze ci appare chiaro che la “notte”, alla quale si riferisce la poesia, non è tanto quella che va dal tramonto al sorgere del sole, ma quellaesistenziale, durante la quale, oggi, più che mai si va profilando il desiderio di un rinnovato rapporto spirituale con Dio. Di un rapporto che ci faccia scoprire veramente chi è lui? Cosa pensa e cosa vuole da noi? Liberi da tutti quei filtri culturali che possono condizionare una simile scoperta. D’altronde cosa può pregiudicare all’uomo vivere all’insegna di Dio? Che forse la sua libertà, la sua creatività, la sua intelligenza o la sua scienza e conoscenza possono risultarecompromesse? Anzi, sembra proprio il contrario. Ad ogni modo per scoprire ciò occorre lasciarlo parlare, lasciandolo libero di essere se stesso in noi: Dio. Allora nulla come questa‘notte esistenziale’ potrebbe rivelarsi favorevole all’ascoltodella sua voce (cf. 2Cor 6,2). Ma ciò è possibile solo se ci sforziamo di interpretare il suo silenzio. Già, perché la notte è il tempo del silenzio, del silenzio di Dio. E noi non abbiamo altro modo per ascoltarlo che interpretare il suo silenzio, anche quando questo ci appare muto. Il che significa porsi in ascolto di coloro che hanno fatto del silenzio di Dio la cifra del suo linguaggio, come i profeti e i poeti in tempo di crisi. Forse nessuno come loro è in grado di intercettare e decifrare l’impercettibile voce di Dio. Eh sì, perché quello dei profeti e dei poeti è l’orecchio più vicino alla bocca di Dio. Più degli altri essi sanno ascoltarlo, perché prima di tutto sanno lasciarlo parlare: “L’uomo tace. / Parla Dio / … se vuoi”.

Si capisce allora l’istantaneità di questa poesia che fotografa l’attimo in cui, magari per la prima volta, abbiamo il coraggio di far tacere le numerose voci che si accavallano e si susseguono confusamente del nostro cuore, per entrare in quella originaria dimensione del silenzio, e viverlo come la dimensione imprescindibile per metterci in ascolto di quella vocina che affiora dalle profondità del nostro io, e scoprire che essa è null’altro che la voce di Dio. Beata notte allora quando, malgrado le inquietudini esistenziali che essa ci arreca, diventa il tempo in cui possiamo realmente metterci in ascolto di noi stessi, del nostro io più profondo, e scoprire che Dio è null’altro che l’essenza più autentica del nostro io, e noi siamo pienamente noi stessi quando siamo in Dio.

 
 
 

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