Poesie senza tempo
- don luigi
- 9 ott 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Cenacolo poetico

Poesie senza tempo
Poesie senza tempo
son quelle che del vero
dicono l’essenza
e del bello la forma
che muta nell’eterno.
Ma qual poeta s’accinge
a dire tanto, se non colui che
nel Verbo posa la parola
e con esso indaga
le radici sue lontane?
Sì, quelle che da remoto
sorgono nel cuore
come polle di un alito divino,
per dir con esse il principio delle cose
che inabita nell’uomo.
Son queste le parole
che durano nel tempo
e sfatano le istanze
dei poeti effimeri e
delle mode passeggere.
Codeste in arte si dicono da sé,
senza dimostrazione alcuna
di sofismi altrui,
come sovente accade
coi ciarlatani di mestiere.
Son tanti, è vero, quelli che
nei versi traducono pensieri;
sono pochi, invece,
e forse rari, quelli che
del pensiero fanno poesia.
Costoro, della vita
cantano, sì, venture umane,
nonché del mondo dicono gli eventi,
e dell’uomo la sua storia,
ma in ciò si svelano profeti.
Non già perché del tempo dicono il futuro,
né perché dei cuori svelano i segreti,
quanto ché vivono il presente
come un cardine del tempo,
o … dell’eterno, quando in esso si fa storia.
Eh già, per essi, il tempo eterno
non è di là dal cielo,
come sovente pensano i comuni,
né attendono la morte, semmai si può,
per vedere nell’oltre l’estensione della vita,
piuttosto esso è già di qua,
nell’oggi della storia,
mentre dilatano lo sguardo
sulla contingenza quotidiana delle cose.
Di questi la poesia
non è solo un effimero diletto,
o alchimia fumosa di parole,
giacché, questa viene da lontano
a far di loro sommi
nella metrica parola,
quando in arte tessono di Dio
il poema dell’Amore,
e del Verbo suo nell’uomo
divengono metafore sponsali
nel creato.
Luigi Razzano
Iconologia poetica

Il desiderio di tutti i poeti è quello di creare una poesia immortale, capace di sfidare il tempo e le mode letterarie “passeggere”. Ma cosa garantisce una simile impresa? Nel rispondere a questa domanda l’Autore della presenta lirica giunge a coniugare, in una mirabile sintesi, l’eterna questione del rapporto tra forma e contenuto, che assilla da sempre l’istanza estetica di ogni artista. “Poesie senza tempo / son quelle che del vero / dicono l’essenza / e del bello la forma / che muta nell’eterno”. “L’essenza del vero” e “la forma del bello” costituiscono perciò gli estremi culturali di ogni disciplina artistica. Sembra racchiuso tutto qui il senso non solo di questa lirica, ma della poesia e dell’arte stessa. La sfida che ogni “poeta onesto” – per dirla con Saba – è chiamato a raccogliere nell’oggi culturale, è quella di offrire dei contenuti autentici, capaci di soddisfare la sete di verità, in una forma letteraria che risponda alle istanze di bellezza che alberga nel cuore dell’uomo di ogni tempo. Enfatizzare l’uno o l’altro estremo significa correre il rischio di scivolare in una poesia concettuale e razionale o in “un effimero diletto” prodotto da un’“alchimia fumosa di parole”.
“Ma qual poeta s’accinge / a dire tanto, se non colui che /nel Verbo posa la parola /e con esso indaga / le radici sue lontane?”, si domanda l’Autore. Per quanto il poeta possa essere considerato un maestro della parola, per l’Autore egli deve avere il coraggio di purificare la sua poetica nella logica Verbo, esattamente come Manzoni “sciacquò” nell’acqua dell’Arno, ovvero nella lingua parlata dai fiorentini del tempo, il suo poema-romanzo dei Promessi sposi. Il Verbo viene considerato qui nell’accezione evangelica giovannea, riconosciuto come Parola comunicativa e rivelativa dell’Essenza divina di Dio, del quale è anche Immagine gloriosa, come afferma san Paolo (cf. 2Cor 4,4; Col 1,15). Parola e Immagine costituiscono un tutt’uno nella straordinaria declinazione che il Verbo fa della sua divinità nell’umanità di Gesù di Nazaret. In lui Divinità e Umanità raggiungono un’unità inscindibile, e come tale un modello di equilibrio a cui ogni poeta e artista possono guardare per realizzare le loro opere.
In questo senso le parole “che durano nel tempo” non sono quelle, sia pure originali, che egli trae dalla sua geniale creatività, ma quelle che “da remoto / sorgono nel cuore / come polle di un alito divino, / per dir con esse il principio delle cose / che inabita nell’uomo”. Nel Verbo l’Autore scopre il principio e il fondamento delle sue parole poetiche, “Son queste le parole / che … / sfatano le istanze / dei poeti effimeri e / delle loro mode passeggere”. Esse, proprio perché attingono nelle zone più originarie e autentiche del cuore umano, non hanno bisogno di essere difese, poiché “in arte si dicono da sé, / senza dimostrazione alcuna / di sofismi altrui, / come sovente accade / coi ciarlatani di mestiere”, ovvero quei critici letterari e artistici che articolano teorie interpretative così complesse e astratte che sono comprensibili solo alla loro mente contorta.
Molti sono quelli che si dilettano a scrivere poesie, ma pochi quelli che fanno della poesia la ragione della vita, dalla quale traggono il principio, il senso e il fine del loro pensiero. “Son tanti, è vero, quelli che / nei versi traducono pensieri; / sono pochi, invece, / e forse rari, quelli che / del pensiero fanno poesia”. Il poeta, a differenza del filosofo o del teologo, non espone il suo pensiero attraverso un’argomentazione razionale, ma per mezzo di metafore poetiche, spesso immediate e di facile accesso, come sono le immagini figurative o letterarie. Queste infatti non vengono filtrate dalla ragione come accade per i concetti, ma vanno diritte al cuore. Pertanto, a differenza del metodo argomentativo, la poesia si dà a conoscere senza ricorrere a dimostrazione razionali. Il suo messaggio è spesso oltre le parole stesse. In questo caso il silenzio tra una parola e l’altra, il suono ritmato dall’arte metrica, la combinazione e l’ordine delle parole stesse dicono molto più di un discorso in prosa. Si potrebbe pensare che i poeti necessitino di ricorrere a chissà quale pensiero speculativo e invece essi “della vita / cantano, sì, venture umane, / nonché del mondo dicono gli eventi, / e dell’uomo la sua storia, / ma in ciò si svelano profeti”. È questo sguardo lungimirante che li rende eterni. La loro profezia tuttavia esula dalla considerazione comune. Essi infatti si rivelano tali “Non già perché del tempo dicono il futuro, / né perché dei cuori svelano i segreti, / quanto ché vivono il presente / come un cardine del tempo, / o … dell’eterno, quando in essi si fa storia”. Ne scaturisce una riflessione sul concetto di “eterno” che sfata i luoghi comuni, abituati ad immaginarlo come un tempo infinito che inizia alla fine di quello cronologico, e invece esso viene colto come una dimensione che ha origine già nel presente della storia: “Per essi, invero, questo / non è di là dal cielo, / come sovente pensano i comuni, /né attendono la morte, semmai si può, / per vedere nell’oltre l’estensione della vita, / piuttosto esso è già di qua, / nell’oggi della storia, / mentre dilatano lo sguardo / sulla contingenza quotidiana delle cose”.
Cosa allora rende la poesia eterna? L’originalità compositiva? La genialità creativa? La musicalità delle parole? La bellezza della forma? Senza tralasciare l’importanza di tutti questi aspetti, e di altri ancora, che contribuiscono indubbiamente a fare del poeta un grande della letteratura, per l’Autore la poesia “viene da lontano”, dai meandri misteriosi del cuore umano e affonda le radici nella memoria ancestrale del divino, pertanto la sua l’essenza sta “nel declinare la bellezza dell’amore nel quale “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). Un amore che viene declinato nelle infinite forme del creato, e si manifesta in quella tensione armonica che fa convergere ogni cosa verso il suo compimento. “Tutto tende alla bellezza come alla luce” dice N.S. Bulgakov. Si comprende allora il senso della strofa finale di questa lirica che esplicita più chiaramente la poetica del Razzano: a suo avviso, l’elemento che trasforma i comuni compositori di versi in poeti “sommi” è la capacità di “tessere in arte il poema dell’Amore di Dio” fino a diventare “del Verbo suo nell’uomo / … metafore sponsali / nel creato”.





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