Non dire le parole
- don luigi
- 19 giu 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Cenacolo poetico

Non dire le parole
Quando la poesia accade
non dire le parole,
ché il silenzio è più loquace
d’ogni voce.
E quand’anche nella notte
la brezza, giù dal mare,
esala la sua fragranza,
tu non dire le parole.
O ancor quando la luna
posa sulle maree del cuore
il canto delle stelle,
non dire le parole.
No, non dire le parole,
non fermare il tempo,
ché l’eterno è solo un attimo,
un alito di cielo.
Tu, piuttosto,
quando sovviene l’estro
va come il viandante
coi sandali del vento,
ché la poesia è già nell’aria!
Lascia che sia il Verbo
a dirla in te.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
È la poesia che fa il poeta o è il poeta che fa la poesia? È la domanda che percorre in modo trasversale tutta questa lirica, nella quale il poeta sembra lasciarci intravedere, qua e là, qualche risposta. La storia della letteratura ci insegna che la poesia – come del resto l’arte, la musica, il canto, la danza – è una creazione umana, e come tale sono i poeti ad averla inventata; eppure questa è caratterizzata da vertici così profondi che solo alcuni poeti riescono a raggiungere. E quando costoro arrivano ad esprimerla, sembra che essa appari loro come un già dato. Come un qualcosa che esisteva da sempre e che il poeta, con la sua parola, riesce a portarla finalmente alla luce, dandole una nuova esistenza. Una sorta di creazione dal nulla che evoca un po’ l’atto creativo di Dio, descritto nel libro della Genesi, col quale Dio trae dal nulla le cose che sono, per mezzo del suo Verbo (cf. Gen 1-2). Il che significa che la sola conoscenza tecnica non basta a fare di un compositore un poeta. Costui, infatti, senza tralasciare l’arte metrica, dispone di un quid che conferisce ai suoi versi un valore aggiunto. Una specie di ‘alchimia divina’, grazie alla quale egli trasforma le parole quotidiane in parole poetiche. Tant’è vero che queste, pur calibrate e sapientemente incastonate, non denotano più nulla di artefatto, al contrario appaiono così leggere da sembrare naturali e spontanee. Lungi tuttavia dal lasciar credere che il poeta sia un estemporaneo, egli rimane invece un artista della parola, della quale è non solo filologo, nel senso più originario del termine, ovvero amante della parola, ma è esperto della sua semantica e della sua sintattica, nonché dei suoi suoni, dei colori, del profumo, del plasticismo scultoreo e perfino della sua spazialità prospettica. In altri termini, la parola in mano, o meglio, in bocca al poeta è ciò che fa di lui un profeta. Pertanto egli pur dedito alla forma – senza la quale non si avrebbe poesia – non si limita a procurare solo un piacere letterario, ma a dire e fare, o se si preferisce, a plasmare la verità, quando questa esprime le profondità di senso dell’uomo e del creato. Per questo la poesia, oltre ad essere un componimento letterario è, al tempo stesso, un canto che è “già nell’aria”, sebbene di esso il poeta riesca solo a balbettare qualche parola. Da qui il titolo: Non dire le parole. Un invito, questo, che il poeta rivolge al lettore, qualora anche lui voglia cimentarsi con l’arte poetica, al quale suggerisce: “Quando la poesia accade / non dire le parole”, non avere la pretesa di catturare il suo evento manifestativo, né di ingabbiarla all’interno di alcune formule letterarie, poiché questa pretesa rischia di non lasciarla esprimere in tutta la sua pienezza. L’evento poetico è sfuggente come il “tempo” e come tale nessuno può avere la pretesa di fermarlo: “non fermare il tempo”. In simili circostanze egli deve “piuttosto” “andare” come il “viandante”, lasciandosi traportare dai “sandali del vento”. Il che significa percorrere i sentieri della poesia senza avere la pretesa di lasciare a tutti i costi le proprie orme. Si tratta di un momento molto delicato in cui il poeta deve lasciarsi svuotare di tutte le prerogative poetiche, che possono in qualche modo condizionare la sua espressività, per entrare in quella dimensione interiore libera e liberante, originaria e creativa che è il “silenzio”, poiché questo “è più loquace / d’ogni voce”. In ciò la poesia è un che di “eterno / un alito di cielo”, e come tale messaggera di una rinnovata visione di vita.
Prima ancora che con la parola, il poeta deve, dunque, cimentarsi col silenzio, dal quale la parola ha origine. È ponendosi in ascolto del silenzio che egli impara a discernere le sorgenti della parola. Questa può provenire “giù dal mare”, ovvero dagli abissi oscuri del cuore umano, di cui il mare è simbolo. Oppure dalla “luna”, ossia dall’alto, sebbene essa sia stata spesso considerata simbolo del romanticismo poetico, caratterizzata com’è dal susseguirsi delle sue fasi che mutano come gli stati emotivi e affettivi degli innamorati. In ogni caso il poeta ribadisce al lettore: “non dire le parole”, poiché esse non sono date per delimitare la poesia, ma per essere suo luogo teofanico. Perciò “Lascia che sia il Verbo / a dirla in te”.




Commenti