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Il mare

Cenacolo poetico

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Il mare

 

Non finirò mai

di dire il mare:

il suo fragore,

gli spumeggianti flutti,

le maree e i brillii solari.

E che dire degli abissi

e delle sue immensità col cielo;

e ancora del colore

che varia con il sole.

Del suo perpetuo moto,

antico e sempre nuovo.

La sua voce,

come delle sirene il canto,

ascoltar non stanca.

Di notte, poi,

al chiarore di luna,

è per gli amanti un sogno.

Il mare è questo,

e ancora di più;

e chi domani

vorrà dire ancor che sia

il suo segreto è tale

che si schiude

a chi lo ama.

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

Il mare è per molti sinonimo di vacanza, e come tale anche luogo d’avventura e di esplorazione; per altri, invece, è più concretamente una fonte di lavoro e di sussistenza economica, per altri ancora motivo di indagine scientifica. Quest’ultimo approccio, a dire il vero, sembra godere di un consenso sempre più largo e diffuso, per le diverse preoccupazioni che, oggi più che mai, il mare desta a livello mondiale. Non sono pochi, infatti, a diagnosticare una serie di patologie marine, quali conseguenze del prolungato e selvaggio sfruttamento che viene operato nei suoi confronti. Senza contare, poi, l’aspetto più drammatico, scaturito dalla forma di discarica a cui è stato ridotto dalla nostra società consumistica. Una situazione, questa, che va allertando fasce sempre più considerevoli di persone, sensibili al suo stato di salute. Molti sono coloro che, anche sotto forma di volontariato, si rendono disponibili alla sua cura, consapevoli della fondamentale funzione che il mare svolge per l’intero ciclo vitale. Questa situazione fa sentire l’urgenza di un rinnovato approccio al mare, capace di coglierne non solo l’importanza biologica, ma anche il significato che esso assume per la nostra esistenza. Da qui la necessità di recuperare quello sguardo poetico che, lungi dal ridursi a quel sentimentalismo mieloso avulso dalla realtà con cui viene comunemente inteso, consente invece di osservarlo in tutta la sua ricchezza simbolica, che malgrado tutto custodisce. Il mare, infatti, è cifra di quella forza primigenia che caratterizza la natura nelle sue origini caotiche. Il suo moto perciò è paragonabile a quello tettonico della terra che si sprigiona nei terremoti, o ancora a quello delle eruzione vulcaniche provenienti dalla crosta terrestre, che in ogni caso ci danno l’idea delle forze che caratterizzavano il mondo all’origine della sua formazione. Sarà per questo che nella Bibbia il mare è simbolo del caos primordiale e di tutte quelle forze che rendono precario e instabile l’equilibrio che Dio infonde alla natura con la sua potenza creativa. Esso è perciò simbolo di quelle potenze che attraversano l’esistenza umana, quando questa ci appare carica delle tensioni polarizzanti e spesso anche dannose che rivendicano la loro autonomia nei confronti del bene. Non è un caso allora che alcune esperienze di fede, trasmessoci dai Vangeli, sono legate proprio al mare. Dominarlo pertanto è pressocché impossibile, se non si entra in empatia con le leggi che lo governano, come nel caso dello stupore che desta negli astanti l’intervento di Gesù, il quale dà prova di dominarlo, quando insieme ai suoi discepoli sono colti improvvisamente dalla sua furia tempestosa: “Chi è mai costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono” (Mc 4,41). Ben poca cosa, dunque, è il mare quando non sfocia nel Mistero. Di pari è il cielo, per chi l’osserva solo come sede dello spazio; tutt’altro, invece, quando lo si coglie come luogo del Divino. Mare e cielo: due estensioni vaste e sconfinate. L’uno, simbolo dell’io dentro di sé, l’altro, immagine di Dio fuori di sé. Se infinito è il mare dentro di noi, eterno è il cielo sopra di noi.

Per questo e per tutta la ricchezza simbolica a cui esso si presta, il mare, merita rispetto. Ma per fare ciò è necessario conoscerlo. Si tratta perciò di imparare a interagire con esso, mettersi in ascolto della sua voce; capirne il linguaggio: ora ruggente e fragoroso, ora quieto e silenzioso; osservare i segni della sua vitalità, ma anche i sintomi della sua insofferenza; il dinamismo dei suoi flutti, come le profondità dei suoi abissi; la sua estensione oceanica, ma anche la sua straordinaria declinazione cromatica e luminosa. Il mare è una creatura che contiene in sé una sterminata varietà di creature. Esso è come un grembo eternamente gravido di vita. Danneggiarlo significa esporre al rischio l’intero ecosistema.

È in questa cornice che si inserisce la presente poesia. Essa scaturisce dalla consapevolezza che “Non finiremomai / di dire il mare”, non solo per la sua estrema generosità che malgrado tutto continua a manifestare, ma anche per il carattere misterioso di cui è impregnato: “E che dire degli abissi / e delle sue immensità col cielo, / e ancora del colore / che varia con il sole”. Paragoni che ci rimandano direttamente al mistero stesso di Dio. Sottolinearne il carattere misterioso non significa che esso si sottrae alla nostra indagine. Al contrario, esattamente come Dio, “il suo segreto è tale / che si schiude / a chi lo ama” (cf. Gv 14,21). Il mistero di Dio, lungi dal manifestarsi impenetrabile ed ermetico, è invece accessibile a chi lo accosta in povertà di spirito (cf. Mt 5,3).

 
 
 

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