Desiderio
- don luigi
- 17 set 2024
- Tempo di lettura: 2 min
Cenacolo poetico


Desiderio
Ormeggiato come una barca
in questo meriggio d’estate
me ne sto qui, inerte,
sul pontile dei miei pensieri
ad osservare il volo
radente d’un gabbiano,
quando, repentino, mi sovviene
il desiderio di volar con lui,
là in quell’orizzonte
senza più confini,
dove il mare si sposa con il cielo
e dove solo il cuore sa planare
con le ali dell’amore.
Luigi Razzano
Iconologia poetica
Dalla lettura di questa poesia emerge subito il contrasto tra l’immobilismo fisico del poeta e il dinamismo aereo di un gabbiano. Si tratta di due immagini che alludono chiaramente a una condizione esistenziale discordante che il poeta sperimenta in se stesso durante un “meriggio d’estate” sull’isola di Ischia, nella quale si era recato per un periodo di riposo. Collocatosi tra gli scogli del “pontile” Aragonese, nell’ora più calda della giornata – quando il sole agostano, induce all’inerzia totale le persone – è attraversato dall’idea di una inoperosa oziosità, che il poeta paragona a una “barca ormeggiata” nei pressi del pontile. Ma quando sembra di stare lì lì per cedere ad essa, la sua attenzione viene repentinamente attratta dal “volo radente di un gabbiano”, che gli suscita “il desiderio di volar con lui”, riattivando in questo modo quel dinamismo spirituale, così fondamentale per un autentico riposo. Questa circostanza diventa per lui l’occasione per una tacita e inespressa riflessione sul riposo. Diversamente dall’opinione comune, infatti, che induce a indentificare il riposo con una fase della vita caratterizzata dall’ozio, dall’inoperosità e dalla pigrizia, esso è in realtà un modo diverso di vivere il tempo, secondo il ritmo vivificante e ristorativo dello spirito. Riposarsi significa allora ritrovare la pace interiore, che consiste nel dare senso a quell’inquietudine che spesso accompagna la nostra esistenza e le nostre attività lavorative. Così inteso il riposo non è affatto un lusso, ma un dovere, o meglio un “comandamento”, come lascia intendere il riposo sabbatico richiesto da Dio a Mosè: “Durante sei giorni si lavori, ma il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore” (Es 31,15). Sacro dunque è il riposo e come tale va praticato, come di chi è chiamato a cogliere e contemplare la dimensione sacra del tempo, intesa come luogo della presenza santificante di Dio. Riposarsi significa allora abbandonarsi all’immaginazione spirituale, ovvero a quella attività creativa propria dell’anima umana che quando è animata dallo Spirito divino, consente di partecipare a quella dimensione armonica della natura che scaturisce dall’unità con Dio. Dimensione che il poeta intravede: “là in quell’orizzonte / senza più confini, / dove il mare si sposa con il cielo / e dove solo il cuore sa planare / con le ali dell’amore”.
Sotto il profilo tecnico questo componimento poetico è praticamente costituito da un solo periodo grammaticale, formato da una sola proposizione, caratterizzata però da una serie di metafore che lasciano intravedere i diversi stati d’animo esistenziali e spirituali, che il poeta non esita a raccontare, convinto di far luce su una situazione comune, alla quale si espongono quanti fanno un periodo di riposo.




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