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Aurora

Cenacolo poetico



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Aurora

 

Si sta come l'aurora

in questo cuore mio,

quando, d'attesa,

il Verbo m’spira le parole:

attonito, lo spirito tace,

pure l’anima s'assilenzia,

mentre, d’incanto,

nell'estro mi schiude

la poesia.

 

 Luigi Razzano

 


Iconologia poetica

 

Si sta come l'aurora è l’incipit che, almeno sotto l’aspetto formale, evoca una traccia di ungarettiana memoria[1], sebbene il contenuto della poesia sia tutt’altro rispetto a quello bellico del poeta alessandrino. Esso, infatti, è il versetto col quale spero di introdurre il lettore in quella zona misteriosa del mio cuore, dove mi accade l’ispirazione poetica.

L’aurora costituisce un fenomeno particolarmente suggestivo a livello poetico, per le affinità simboliche che essa ha con la luce dell’impulso ispirativo: allo stesso modo dell’albore mattutino che preannuncia l’imminenza del giorno, anche la luce aurorale della poesia si presenta come caratterizzata da un susseguirsi tonale che va via via schiarendosi nella luminosità dell’alba. L’aurora diventa così foriera dell’estro poetico, sebbene la poesia che preannuncia è ancora tutta da definire. Le parole che sovvengono in questa circostanza, infatti, possono essere talora immediate, chiare, definitive; altre volte, invece, come i colori, possono essere suscettibili di una variazione cromatica o più specificamente semantica, che cambia a seconda delle idee con cui vengono modulate, dei suoni con cui vengono declinate, o ancora della struttura metrica in cui vengono incastonate. Quando sopraggiunge l’ispirazione poetica irraggia la mente allo stesso modo con cui la folgore illumina il cielo e la terra nel buio della notte, lasciando intravedere, sia pure per un solo attimo, tutte le cose ivi contenute. Parimenti essa illumina l’esistenza del poeta.

Tuttavia, nonostante questa straordinaria carica luminosa, l’origine dell’ispirazione poetica rimane misteriosa. Essa, infatti, per quanto familiare al poeta, resta protetta, come uno scrigno, in un’arcana zona del cuore difficilmente raggiungibile dall’intelligenza e faticosamente scrutabile dalla ragione. Come tale è evocativa di una memoria originaria che risale agli albori dell’umanità. Da qui il riferimento al “Verbo” di Dio, che costituisce non solo la ragione capace di gettare un fascio di luce nella memoria humanitatis, custodita nei meandri più ancestrali del cuore umano, ma il principio della memoria Dei, nel quale risiede l’origine dell’atto creativo ed ispirativo di ogni forma poetica ed artistica. Come il Verbo è all’origine dell’attività creativa di Dio, così lo è anche per il poeta. È qui che affonda le radici la sua ispirazione. Avvolto da questa luce aurorale il poeta viene come introdotto in quel silenzio cosmico che è all’origine dell’universo. Esso è sì privo di suono, ma non per questo muto. Il suo linguaggio necessita, perciò, di un “ascolto”, durante il quale egli rimane come in “attesa” che il Verbo gli “ispiri le parole”. Si tratta di un momento assai delicato, nel quale anche la più lieve forzatura razionale potrebbe far correre il rischio di lasciar svanire l’estro creativo. Perciò l’ispirazione va lasciata libera di affiorare alla mente, come il bocciolo di un fiore che si lascia dischiudere dalla luce e dal calore del sole. In questo clima ogni parola che sgorga, va accolta come un dono, proveniente da questo silentium Dei, del quale il Verbo costituisce la Parola esplicativa. Un fenomeno questo, tanto meraviglioso, da lasciare, paradossalmente, il poeta “attonito”, senza parole, in uno stato in cui il suo “spirito tace” e “pure l’anima s’assilenzia, / mentre, d’incanto nell’estro” gli “schiude / la poesia”.

Ma cos’è questa poesia che si dischiude al poeta, se non quel rinnovato sguardo sul mondo che gli consente di vedere la realtà in una luce totalmente nuova, capace di trascendere la drammatica condizione esistenziale che lo caratterizza, e di trasfigurarne spiritualmente anche le situazioni umanamente più incresciose? E da dove gli proviene questa luce se non da quello “Spirito che fa nuove tutte le cose?” (Ap 21,5). Lo stesso Spirito che ha ribaltato la tragica condizione della morte di Cristo nell’evento della sua risurrezione. Un evento che ha provocato un’autentica svolta nella storia dell’umanità, da dividerla in due tronconi: prima e dopo Cristo. Si capisce allora la ragione per cui l’aurora costituisce un tempo particolarmente caro al poeta. Personalmente essa mi riporta immediatamente al momento in cui Maria Maddalena si recò al sepolcro “di buon mattino, quand’era ancora buio” (Gv 20,1), e benché i discepoli, ai quali aveva recato la notizia del sepolcro vuoto, fossero ancora scettici, lei rimase, in attesa, da sola presso la tomba, addolorata per quella morte così tragica del maestro e ancora più per quell’inattesa scomparsa del suo corpo. E nel mentre quell’immenso dolore sembrava farle rasentare la disperazione, improvvisamente, si ritrova coinvolta nella luce gloriosa della Risurrezione di Cristo. Quella inattesa luce che le si irraggia dal cuore, costituisce per lei l’inizio di una rinnovata prospettiva di vita. Ecco ciò che è capace di fare la poesia che nasce dal Verbo.  

 

 


[1] Cf. G. Ungaretti, Soldati / Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie. È il componimento poetico che Ungaretti scrisse durante la guerra nel Carso, a cui prese parte in prima persona. In questa circostanza il poeta, assistendo al modo con cui i soldati venivano falciati dalle bombe, gli venne l’ispirazione di paragonarli alle foglie che cadono dagli alberi in autunno.

 
 
 

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