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8/12/2020 - Immacolata Concezione - Anno B


Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38



Verso una rinnovata spiritualità mariana nella Chiesa


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Gianbattista Tiepolo, Immacolata Concezione, (1732-1734), Museo Civico di Vicenza

Inserita nel tempo d’Avvento la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria ci permette di penetrare più in profondità il mistero dell’Incarnazione che ci stiamo accingendo a celebrare, al tempo stesso, ci fa proiettare il nostro sguardo escatologico sul futuro della nostra redenzione: Maria anticipa, nell’oggi della nostra fede, ciò che saremo in Dio, ovvero “santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1, 4).

Nel tentativo di delineare il ruolo che viene riconosciuto a Maria nello sviluppo e nel dischiudersi storico di questo duplice mistero, mi sforzerò di individuare quelle condizioni che ci consentono di dare vita a quella forma di ‘spiritualità mariana’, capace di incarnare nell’oggi della nostra vita ecclesiale, il Verbo di Dio, secondo le indicazioni evangeliche che Maria stessa ci suggerisce, attraverso il suo modo di fare la volontà di Dio, nel corso del suo discepolato di Cristo. Questa operazione necessita però di una previa e adeguata contestualizzazione della crisi che attraversa il culto mariano, nel panorama ecclesiale, sociale e culturale contemporaneo.

L’attuale situazione, infatti, non ci consente più di insistere su quella forma di spiritualità che fa leva sul sentimentalismo devozionale, legato più a una religione intesa come rifugio intimistico, che non ad una fede che ci fa guardare Maria come ad una fonte ispirativa, per la vita spirituale ed ecclesiale. La sede non ci consente di indagare sulle cause che hanno determinato l’attuale crisi, ma di certo non si possono tacere le inadeguate forme devozionali che, pur continuando a resistere tenacemente in certi ambienti ecclesiali, appaiono spesso sorpassate e incapaci di rispondere alle rinnovate istanze spirituali. È chiaro che la mancata conoscenza della Scrittura che – come afferma San Girolamo – determina l’ignoranza di Cristo, va estesa anche a Maria. Spesso infatti si assiste ad una paradossale forma di devozione che rende ancora più evidente e stridente il rapporto tra la profonda e radicata venerazione che si nutre per lei, è l’inesistente, o quanto meno inefficace, assimilazione, da parte di molti cristiani, del ruolo svolto da Maria nel piano della salvezza, così come è stato chiaramente espresso dalla dottrina del Vaticano II. Da qui alcune domande alle quali, sia pure in diversi modi e forme di responsabilità, siamo tutti coinvolti nel cercare una soluzione: di quale fede è indice questa forma di devozione mariana? E quale contributo siamo chiamati a dare nello sviluppo di una spiritualità che, fondata sulla Scrittura, si sforzi di tradurre, con stile mariano, il messaggio evangelico nella vita ecclesiale? Sembra perciò più che evidente che il futuro del culto mariano, senza escludere l’imprescindibile apporto della vitale creatività popolare, dipenda in molta parte dalla conoscenza che i credenti avranno di lei attraverso la Scrittura. In questo senso risulta determinante un approfondimento di quei dati evangelici e neotestamentari che sia pure scarsi, hanno dato il via allo sviluppo di quella venerazione che a partire dall’apporto dei Padri della Chiesa, si è diffuso in modo massiccio nel mondo e nel tempo. Si tratta evidentemente di un apporto che mentre da una parte giustifica e fonda la spiritualità mariana nella Chiesa, dall’altra e ci insegna a farci interpreti della sua rinnovata vitalità, nell’attuale contesto ecclesiale. Innegabile infatti è la riscoperta della venerazione mariana a cui si assiste nei diversi luoghi ecclesiali, come per esempio i Movimenti o le Famiglie religiose, dove Maria viene considerata un indiscutibile modello ispirativo. Basti pensare all’Opera di Maria, meglio conosciuta come Movimento dei focolari, o al Movimento Carismatico, o ancora ai movimenti di liberazione dell’America latina, della Comunità di Bose, per rendersi conto del contributo che la spiritualità mariana offre all’attuale vita ecclesiale.

Ad un primo sguardo sembra inverosimile la sproporzione che si percepisce tra le scarse notizie che la Scrittura ci offre su Maria e l’immane mole teologica e spirituale che la sua figura ha ingenerato nella Chiesa, nel corso dei secoli. Questa abissale distanza, che potrebbe dare adito ad un discutibile pregiudizio devozionistico, in chi magari si accosta allo studio del culto mariano in modo più critico e razionale, si spiega invece alla luce di quella testimonianza che lei ha saputo offrire alla nascita e allo sviluppo della fede cristiana. Maria, nella semplicità della sua fede, ha come dato il a quell’atteggiamento religioso e spirituale che è da considerarsi alla base di ogni forma di spiritualità ecclesiale. In questo senso il racconto che l’evangelista Luca ci offre della sua chiamata, costituisce senza dubbio il paradigma di ogni vocazione nella Chiesa. Essa ha il merito di predisporre il cuore e la mente, in tutti coloro che decidono di intraprendere l’avventura evangelica, all’accoglienza e al compimento del disegno salvifico di Dio. Se da una parte, come sottolinea il testo, essa sperimenta, al pari di ogni uomo e donna, l’abisso del Mistero che l’Angelo le apre col suo annuncio, e il comprensibile turbamento che può generare nel suo animo una simile percezione (cf. Lc 1, 29), dall’altra ci traccia la via privilegiata da percorrere per giungere al suo accadimento storico. Maria, malgrado l’età, capisce subito che un simile Mistero non può essere approcciato, indagato e sviscerato con la sola forza della mente, al contrario esso va principalmente accolto nel cuore, esattamente come nel seno, dove sta per prendere dimora il Verbo. La sua chiamata, al di là dell’unicità e irripetibilità che la caratterizza, è un evento dello Spirito e come tale, ciascuno di noi, come lei, è chiamato ad accoglierlo pienamente, nel momento in cui Dio posa in noi il seme della sua promessa. Qui non è questione di intelligenza, di qualità creativa, cognitiva o speculativa, e neppure di profondità ascetica, ma di disponibilità totale all’opera che Dio intende realizzare in noi, per mezzo del suo Spirito. “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38), non è la formula suggestiva di una ragazza che nutre un forte anelito spirituale, ma la resa totale dinanzi all’opera di Dio, riconosciuto come il Tutto della propria vita. Ella capisce che una simile opera potrà compiersi solo a condizione di lasciare Dio libero di essere Dio in lei. Il che significa che il Mistero accade in lei non perché è capace di esplicitarlo razionalmente o perché è in grado di rapportarlo alla sua ragionevole comprensione, bensì perché ha il coraggio di tuffarsi totalmente nell’abisso della sua assurda misteriosità. La fede non s’origina da un atto di comprensione, che comunque non va escluso, ma da un atto di radicale fiducia, affidamento e abbandono alla promessa di Dio. Non a caso questo è proprio ciò che le viene riconosciuto dalla cugina Elisabetta, quando, ricevendola in casa, le dice: “Beata te che hai creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1, 45). Agli occhi di Elisabetta, Maria è beata non perché è Madre di Cristo, ma perché ha creduto nella promessa dell’Angelo.

Probabilmente è tutto qui il segreto di quella radicale disponibilità a Dio che lei concentra nel suo sì e che si procurerà di estendere, a partire da esso, a tutto l’arco della sua vita, specie nelle circostanze più assurde e dolorose, come quella della croce. Se c’è dunque un insegnamento che Maria ha da offrirci, oggi, questo è da individuare nel passaggio che avviene in lei dalla maternità fisica alla maternità spirituale. Un passaggio che evidentemente non avviene in un preciso momento storico, come l’evento del concepimento del Verbo, ma attraverso un progressivo accadimento spirituale, durante il quale ha modo di rinnovare continuamente il proprio “sì” al piano salvifico di Dio. In questo senso la consegna sotto la croce (cf. Gv 19, 26-27), quando il Figlio le chiede di divenire “Madre della Chiesa”, è solo l’atto ufficiale di un passaggio maturato nel corso del suo discepolato evangelico. È questa maternità che più di ogni altro cosa, Maria ci consegna e che noi siamo chiamati a ereditare e a trasmettere ad ogni generazione ecclesiale che si affaccia alla vita evangelica. È in questa eredità che si delinea lo specifico della spiritualità mariana e l’itinerario di fede che come cristiani, siamo chiamati a tracciare nella Chiesa e nel mondo: generare il Cristo tra gli uomini attraverso il comandamento dell’amore reciproco, secondo il detto del “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, lì sono io presente in mezzo a loro” (Mt 18, 20).

Guardare a Maria, dunque, non significa recuperare quell’intimismo devozionale, tipico di una certa tradizione spirituale. D’altra parte non è neppure sviluppando un razionalismo critico che si potrà essere più credibili e autentici nella sua testimonianza. Non è reagendo all’uno o all’altro estremo che potrà originarsi una rinnovata spiritualità mariana. Occorre più che altro capire come lei ha saputo accogliere, incarnare e far “crescere in età sapienza e grazia” (Lc 2, 52), la Parola che l’ha portata ad essere, al contempo, madre e discepola del Figlio, nel vissuto quotidiano delle propria fede. Esattamente come intuisce ed esprime Dante nel XXXIII canto del Paradiso, quando la definisce: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”.

Il brano della lettera di San Paolo agli Efesini costituisce perciò un’importante chiave di lettura per comprendere il senso della solennità di oggi. Esso ci consente di fare un parallelismo tra la nostra e la concezione di Maria. Nell’uno e nell’altro caso fa da sfondo la misteriosa realtà del peccato, come viene evidenziato dalla prima lettura, tratta dal libro della Genesi (cf. Gen 3, 9-5.20). Tuttavia, mentre in noi esso esercita un influsso tale da condizionare lo sviluppo della nostra esistenza, in Maria esso rimane, per così dire, inoperoso, grazie al singolare privilegio che le viene riservato da Dio, conservando così tutta la purezza originaria della creazione. L’aspetto però sul quale noi siamo chiamati a concentrare l’attenzione non è l’abissale differenza che passa tra noi e Maria, quanto la possibilità che noi abbiamo, attraverso la sua intercessione e testimonianza evangelica, di portare a compimento quel processo di trasfigurazione che ci consente di realizzare quella promessa che Paolo descrive nella sua lettera, quando afferma che “In Cristo Dio ci ha scelto prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi mediante Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” (Ef 1, 3-6). In questa luce Maria si rivela, determinante per capire la nostra economia di salvezza. In lei è già evidente ciò che saremo, cioè santi e immacolati. Questa “santità” e “immacolatezza” Paolo la esprime e descrive in termini di filialità divina. In Cristo tutti siamo chiamati a diventare “figli adottivi”. La filialità di Cristo diventa, così, il nostro dover essere. Essa è l’eredità che Dio ha riservata per noi. Maria ci insegna che la condizione fondamentale per il conseguimento di questa filialità divina è il sì totale pieno e incondizionato alla volontà di Dio. Senza una reale e concreta condivisione del suo disegno salvifico, risulta praticamente difficile realizzare un simile piano salvifico. Maria col suo sì ci rivela il segreto e il principio di questo stile di vita evangelico. A noi rinnovarlo nell’oggi della nostra fede.

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