4 Giugno 2023 - Anno A - Santissima Trinità
- don luigi
- 2 giu 2023
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 3 giu 2023
Es 34, 4-6.8-9; Dn 3, 52-56; 2 Cor 13,11-13; Gv 3,16-18
L’amore trinitario: uno stile di vita ecclesiale

“Il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò … il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34,5-6);
“La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,13);
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Una vera e propria proclamazione corale della comunione trinitaria quella che emerge dalla lettura di questi brani biblici, dove ciascuno, a suo modo, non fa che evidenziare il carattere specifico delle Persone divine rivelateci da Gesù Cristo. Naturalmente in nessuno di questi brani, come del resto in tutto il Nuovo Testamento, troviamo il termine Trinità (dal latino trīnĭtas-ātis), poiché esso fu utilizzato per la prima volta da Tertulliano nel II secolo, nel suo De pudicitia; anche se, in verità, già Teofilo di Antiochia, prima di lui, utilizzò il termine analogo in greco τριας (triás) nel suo Apologia ad Autolycum, ma ciò non toglie che gli autori neotestamentari lascino trasparire dalle loro affermazioni la coscienza di una mentalità relazionale, capace di farci intravedere l’identità trinitaria di Dio al quale si riferiscono[1]. Quella che loro ci trasmettono è senza dubbio una verità di fede alquanto impegnativa, ma è altrettanto vero che si tratta della vita originaria di Cristo, che lui stesso ci ha rivelato e continua a rivelarci attraverso il suo Spirito, tessendo relazioni d’amore con ciascuno di noi. Cogliamo allora l’occasione per gettare uno sguardo, sia pure fugace, nella profondità di questo mistero divino, per fare nostro il segreto della sua comunione d’amore col Padre nello Spirito, così da conformare ad esso lo stile di vita delle nostre relazioni ecclesiali.
Appare assurdo perciò constatare quanto sia scarsa l’incidenza di questa verità nella nostra mentalità e ancora di più nella nostra vita relazionale, spirituale ed ecclesiale, tanto da indurre un teologo come K. Rahner a rischiare la seguente affermazione: “se si dovesse sopprimere, come falsa, la dottrina della Trinità, pur dopo tale intervento gran parte della letteratura religiosa potrebbe rimanere quasi inalterata”[2]. Questa affermazione, per quanto paradossale, è estremamente significativa, poiché costituisce il risultato di un approccio essenzialmente intellettivo al mistero della Trinità, al quale ci ha abituato una certa prospettiva teologica e una certa prassi moralistica e pastorale. Si rivela perciò quanto mai puntuale e significativo l’approccio paolino a questo mistero: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,13). Per lui la Trinità, prima ancora che una verità dottrinale, è un’esperienza d’amore, di grazia e di comunione spirituale, pertanto il modo più efficace per intuirne l’essenza è quello di rileggerla alla luce delle relazioni interpersonali che Gesù ha disseminato, nel vissuto quotidiano, attraverso l’annuncio del suo Vangelo.
È significativo allora che la Chiesa collochi questa solennità immediatamente dopo la Pentecoste, come a dirci che nessuno di noi può scrutare un simile mistero se non è sotto l’azione dello Spirito Santo (cf. 1Cor 12,3). Risultano allora ancora più comprensibili quelle parole che Gesù rivolge agli apostoli durante il Discorso di addio: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà cose future” (Gv 16,12-13). Come non pensare che tra le cose future che Gesù avrebbe voluto dire agli apostoli, ci fossero queste relative alla sua origine trinitaria, delle quali lui incarica lo Spirito per renderle comprensibili. Ed è bello riconoscerci tra quei beati dei quali Gesù rende lode al Padre “Signore del cielo e della terra, perché ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11,25-26); e come ribadisce anche san Paolo, quando afferma che Dio “le ha rivelate a noi per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,10).
Chi è allora lo Spirito se non colui che “scruta le profondità di Dio” (1Cor 2,10) e apre la nostra mente (cf. Lc 24,45), per guidarla all’intelligenza della vita divina, di cui Cristo godeva quando era presso il Padre (cf. Gv 1,1-2)? Si capisce allora quanto sia importante e fondamentale acquisire il “pensiero di Cristo” (1Cor 2,16), per assimilare la mentalità trinitaria dalla quale lui proviene, senza la quale non è possibile comprendere le cose dello Spirito di Dio, poiché queste appaiono perfino “follia” all’uomo naturale, ovvero a colui che pretende di sviscerarle solo in forza della propria ragione (cf. 1Cor 2,14). Tutto ciò ci autorizza a pensare che solo chi intesse con Cristo una relazione di fiducia reciproca può partecipare al dinamismo del suo amore trinitario: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). Un segreto questo che egli manifesta a chi lo ama: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (cf. 1Cor 2,9), a noi dunque che abbiamo ricevuto l’amore di Dio per mezzo dello Spirito di Cristo (cf. Rm 5,5).
Similis cum similibus recita l’adagio latino, come a ribadire che l’amore è comprensibile a chi ama. E ciò vale ancora di più per coloro che amano Dio amore. Ora che “Dio sia amore” (cf. 1Gv 4,8) è una formula di fede alla quale Giovanni perviene al termine della sua prolungata contemplazione mistica, sul vissuto evangelico di Cristo e dei suoi discepoli, ma ciò non significa che questa verità non fosse già nota a Mosè, come attesta il brano dell’Esodo, dove ci descrive il carattere originario di Dio, qualificandolo come “Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà”. L’amore è perciò l’appellativo che caratterizza l’identità originaria di Dio che Mosè eredita, sin dalla sua conversione, a tutto il popolo d’Israele, benché questi l’abbia smarrito nel corso della storia. Pertanto se è vero, come afferma Giovanni, nell’odierno brano evangelico, che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”, allora è anche vero che “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17). È di questo amore che Gesù si fa interprete, tanto da considerarlo come principio, fondamento, senso e fine della sua predicazione evangelica. Perciò chiunque aderisce al suo amore e “crede in lui non va perduto, ma ha la vita eterna» (Gv 3,16).
Si viene dunque a creare un gioco di reciproco svelamento tra il Padre, Cristo, lo Spirito e i discepoli: il Padre, per mezzo dello Spirito, rivela ai discepoli l’identità divina di Gesù (cf. Mt 16,17); Gesù, a sua volta, per mezzo dello stesso Spirito, rivela ai suoi, l’identità paterna di Dio (cf. Gv 12, 44-50); i discepoli, in virtù del comandamento dell’amore reciproco, rivelano al mondo la presenza di Cristo in mezzo a loro (cf. Mt 18,20). Ecco allora la grande conversione relazionale alla quale ci apre la rivelazione di Cristo: essa ci consente di passare da una relazione egoica, centrata sul proprio io, ad una relazione trinitaria, centrato sulla logica di comunione, secondo la quale ciascuno vive la relazione con l’altro non in termini conflittuali, come di solito siamo abituati a sperimentare nella vita quotidiana, dove ciascuno nel tentativo di affermare se stesso tende ad escludere gli altri, ma come motivo di dono, per testimoniare così l’originaria relazione trinitaria della nostra fede cristiana. Vivere secondo questa logica d’amore comporta la responsabilità di trasfonderla in ogni ambito della vita: amicale, familiare, lavorativo, culturale, politico, sportivo, artistico, scientifico, economico, finanziario … D’altronde che senso avrebbe aderire a una simile verità di fede, per poi ‘custodirla’ nel recinto della propria vita individuale, senza farne dono agli altri, anzi impedendo loro di conoscerla e quindi di salvarsi?
Questa relazione interdivina e interumana costituisce, perciò, la chiave interpretativa che rende comprensibile l’essenza stessa della Chiesa e della sua missione nel mondo. Cos’è infatti la Chiesa se non il luogo dove rendere partecipi tutti i popoli dello stile di vita trinitaria di Gesù: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20), ovvero a far conoscere loro che Gesù è l’unigenito Figlio di Dio, nel quale c’è salvezza (cf. Gv Gv 3,18)? Nelle intenzioni di Gesù la Chiesa, dunque, sembra chiamata ad essere la vita trinitaria sulla terra, fondata sulla legge dell’amore scambievole. Ecco la missione prioritaria alla quale Cristo ci chiama col suo amore evangelico.
[1] La formula con cui Matteo sintetizza il mandato battesimale di Cristo agli apostoli: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19); e quella paolina “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,13), ci danno l’idea di quanto gli apostoli fossero già consapevoli di questa verità. Nella stessa prospettiva vanno letti anche i brani di Mt 3,16; Lc 1,35; Gv 10,37-38; 14,11.16-17.26; 1Pt 1,2. Inoltre per quanto il termine Trinità sia indicativo del Dio Cristiano, risulta piuttosto limitativo, poiché ci riferisce solo il numero delle persone divine, pertanto il termine più adatto sarebbe quello di Triunità, che dice non solo la distinzione delle persone, ma anche la loro unità. Unità e distinzione sono un tutt’uno inscindibile. Non si può parlare dell’una senza tener presente l’altra. [2] K. Ranher, La Trinità, Queriniana, Brescia 1998, 21.




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