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4 Aprile 2021 - Pasqua di Risurrezione del Signore Anno B

Aggiornamento: 3 gen 2022


At 10,34a.37-43; Sal 117/118; Col 3,1-4 (1Cor 56b-8); Gv 20,1-9 (Lc 24,13-34)


“Cristo è risorto, è veramente risorto”



“Cristo è risorto, è veramente risorto” è la formula con la quale i discepoli di Gesù hanno dato il la all’annuncio cristiano della salvezza nel mondo. Essa è all’origine della nostra fede, ne esplicita il principio, il senso e il fine. La Chiesa e con essa i cristiani di ogni epoca, non si sono mai stancati di proclamarla nel corso dei secoli, poiché trovano qui tutto il senso della loro presenza ed esistenza nel mondo. Eppure nessuno può escludere che tale annuncio, oggi, sembra aver perso la sua vitalità ed essere stato svuotato della sua potenza carismatica. Benché faccia parte del linguaggio comune e continui ad essere ripetuto durante ogni celebrazione pasquale, molti cristiani sembrano rivelarsi incapaci di sprigionare la sua forza redentiva. La crisi spirituale della nostra epoca, tuttavia, al di là degli aspetti drammatici che la caratterizzano – come sta rivelando questa persistente pandemia – può costituire una situazione favorevole nella quale ciascuno, alla luce della propria sensibilità religiosa, può dare alla fede una vera propria sterzata. Si tratta di compiere la stessa esperienza di fede che hanno compiuto gli apostoli, all’indomani della passione e morte di Gesù. È utile precisare che una simile svolta non nasce dall’oggi al domani e neppure accade in modo magico, ma solo sulla base di quel processo di conversione che abbiamo tratteggiato durante tutto il tempo quaresimale e, naturalmente, solo se vi abbiamo messo mano personalmente. Nessuno s’illuda di cogliere il senso della Pasqua o di sperimentarne la sua potenza redentiva, fuori da un personale cammino di conversione.

Da qui la necessità di mettere a fuoco uno degli aspetti fondativi della fede pasquale: la discesa nel sepolcro (cf. Gv 20,3-8). Episodio che, nel Vangelo di Giovanni, apparentemente sembra essere solo un fatto di cronaca, ma che in realtà è un avvenimento imprescindibile ai fini dell’esperienza e della comprensione della risurrezione (Gv 20,9). Anche a livello teologico esso assume un valore profondo, tanto da essere inserito nel Simbolo di fede, come attesta la formula: “Discese agli inferi”. La comprensione di un simile fatto comporta la necessità, anzi l’urgenza, di riandare alle radici dell’Evento Pasquale, facendo memoria dell’opera dello Spirito che è alle origini della Risurrezione di Cristo. Lo Spirito, infatti, è il principio della Redenzione cristiana e come tale nessuno può sperimentarla, senza partecipare della sua opera trasfigurativa, senza cioè ripercorrere la via della “passione, morte e risurrezione” tracciata da Cristo. Per compiere una simile operazione vi suggerisco di prendere in considerazione i diversi brani biblici che la liturgia prevede per questo giorno, compreso quello di 1Cor 5,6b-8 e di Lc 24,13-35, proposti come alternativa.

Potrà sembrare paradossale, ma nessun brano evangelico, registra l’evento della Risurrezione di Cristo. Esso accade senza testimoni oculari e come tale rimane avvolto dal mistero che solo la fede è in grado diradare. Ogni evangelista tuttavia, a suo modo, ci consegna alcuni dati fondamentali, dai quali nessuna interpretazione di fede può prescindere. Dati che necessitano di essere interpretati nella luce della stessa fede dei primi discepoli e che gli evangelisti si sono procurati di consegnarci attraverso i Vangeli. È importante dunque non solo conoscere tali racconti, ma soprattutto partecipare dello stesso spirito con cui essi sono stati redatti.

Il fatto di cui gli apostoli sono testimoni non è l’evento in sé, quanto delle “apparizioni di Cristo”. È di queste che essi sono testimoni oculari: “Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita ... noi lo annunziamo anche a voi, perché voi siate in comunione con noi … col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la vostra gioia sia perfetta” (Gv 1,1-4). Tutti i racconti della Risurrezione sono costellati di queste apparizioni. Perciò esse assumono un valore fondativo per la fede degli apostoli e di ciascuno di noi. In questo senso la nostra fede è detta anche “apostolica”, fondata cioè su quella degli apostoli. Attraverso la loro testimonianza, infatti, anche noi crediamo. In loro e con loro vediamo il Cristo Risorto: come Gesù stesso evidenzierà a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non vedendo credono” (Gv 20,29). In loro e con loro tutti partecipiamo dell’unico evento della risurrezione di Cristo. Ognuno, sulla base della fede degli apostoli e attraverso di essa, partecipa dell’unico sacrificio di Cristo nel quale c’è salvezza (cf. At 4,10-12). La nostra fede tuttavia pur non assistendo alle apparizioni di Cristo necessita, come loro, della stessa partecipazione personale alla passione e morte di Cristo. Nessuno può e deve sottrarsi a questo passaggio inevitabile e necessario, come dice Gesù ai due discepoli di Emmaus: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti: non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,25-26). Il brano evangelico di Gv 20,1-9, ci riferisce di questa necessità con l’entrata nel sepolcro, da parte di due discepoli: Pietro e Giovanni, i quali, una volta dentro, compiono un’autentica esperienza di fede, per comprendere la quale è opportuno seguire passo passo il racconto di Giovanni. Entrando nel sepolcro i due prendono atto delle bende e del sudario, ma non del corpo. Tali elementi presi in sé dicono poco o nulla. Nel senso che non attestano la risurrezione. Il corpo di Gesù, infatti, poteva essere stato trafugato, come sostenevano alcune calunnie che furono malignamente diffuse (cf. Mt 28,13). Eppure l’evangelista Giovanni non esita a descriverli, dicendoci perfino che il sudario era stato accuratamente piegato a parte (cf. Gv 20,7). Quale senso racchiude questa descrizione così attenta e particolareggiata? La risposta a questa domanda può essere compresa non tanto nella descrizione degli elementi in sé, quanto alla luce della formula di fede che egli riporta a conclusione di questa esperienza: “Vide e credette” (Gv 20,8). Si tratta di una formula che traduce il risultato di un’operazione spirituale, che accade misteriosamente nel segreto del cuore, nella quale convergono e interagiscono sapientemente intelligenza, memoria e ragione e che è utile considerare insieme a quell’operazione di spiegazione che Cristo compie nei confronti dei due discepoli di Emmaus, opportunamente descritta da Luca in questi termini: “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò si riferiva a lui” (Lc 24,27). Operazione fondamentale ai fini della fede. In questo senso la fede prevede una serie di atti come: esperire, ricordare, argomentare, spiegare, intelligere che adeguatamente dosati e oleati dalla linfa dello Spirito, determinano la partecipazione alla salvezza di Cristo. L’atto dello “spiegare”, compiuto da Gesù, consiste sostanzialmente nel togliere dal cuore e dalla memoria quelle pieghe che ostruiscono la visione del senso del mistero, affinché la mente lo veda in tutta la sua chiarezza ed evidenza. È nel sepolcro, ovvero nella partecipazione personale alla morte di Cristo, che essi videro, compresero e credettero. Allo stesso modo solo quando i due discepoli di Emmaus, lasciandosi coinvolgere dal racconto di Cristo, aderiscono liberamente e partecipano pienamente della sua passione e morte (cf. Lc 24,25-26), prendono coscienza della presenza di Cristo in mezzo a loro ed hanno la possibilità di vederlo e riconoscerlo nella sua nuova veste di Risorto (cf. Lc 24,30-31). È nel morire totalmente a se stessi che essi purificano il loro sguardo ed hanno modo di vedere il Risorto. Essi acquistano lo sguardo di fede. Vedono cioè con l’occhio dello Spirito in loro. Non vedono solo Gesù storico, ma Cristo in lui. Allo stesso modo con cui anche noi oggi vediamo Cristo nell’altro.

Non basta dunque assistere agli eventi della passione e morte di Gesù, così come non basta celebrarli attraverso i riti liturgici della Settimana Santa, occorre che ciascuno prenda personalmente parte di essi, mettendo in atto tutte quelle operazioni che comportano l’atto di fede. Occorre dunque una rilettura sapienziale di tutta la vita di Gesù, della sua attività profetica ed individuare in essa quel filo conduttore che lega gli eventi che la determinano con l’umano-divinità della sua identità. È nella reiterazione continua di queste operazioni che acquistiamo la familiarità con l’opera dello Spirito e quindi i criteri e le condizioni per fare esperienza del Risorto, nell’oggi della nostra fede. Nessuno dunque s’illuda di sperimentare la salvezza di Cristo se si sottrae alla sua passione e morte, nel dramma del vissuto quotidiano delle persone.

È su questa base che Pietro articola il suo discorso, come descritto da Luca nel libro degli Atti 10,34a.37-43, nel quale, facendo memoria del percorso esistenziale di Cristo, evidenzia la modalità con cui Dio ha operato, attraverso di lui, la tanto auspicata salvezza del popolo d’Israele. È qui che si fonda e si rinnova la fede della Chiesa, in tutte le circostanze ed epoche in cui è chiamata a rendere visibile e credibile la salvezza con la testimonianza della propria vita. Solo su questa base ciascuno di noi avrà modo di far convergere la propria vita verso Dio, cercando e tenendo fisso lo sguardo, come afferma san Paolo, sulle “cose di lassù”, ovvero nella vita nuova in Cristo (cf. Col 3,1-4). È qui che risiede quel lievito che fa fermentare e trasformare la nostra vita, con tutte le relazioni interpersonali che essa comporta, nella pasta nuova che nutre l’esistenza spirituale del mondo (cf. 1Cor 5,6b-8). Cosa significa continuare a celebrare la Pasqua se non far germogliare quei semi di speranza dello Spirito nell’oggi del mondo?

L’augurio che rivolgo a ciascuno di voi è quello di essere questi semi dello Spirito, dello Spirito che dall’interno dell’uomo e del mondo, fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5) . È a questo rinnovamento che siamo chiamati. La nostra fede ha senso solo se testimonia questa straordinaria potenza redentiva dello Spirito del Risorto.


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