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31 Dicembre 2023 - Anno B - Santa Famiglia


Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40


La spiritualità della Famiglia di Nazaret


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Michelangelo, Tondo Doni (1506-1507), Galleria degli Uffizi, Firenze

“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè (Maria e Giuseppe) portarono il bambino (Gesù) a Gerusalemme per presentarlo al Signore … Quando ebbero adempiuto ogni cosa … fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret, il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui” (Lc 2,22.39-40).

Sono i versetti che fanno da cornice all’episodio della Presentazione di Gesù al Tempio, attraverso il quale la Chiesa ci offre un ritratto della Famiglia di Nazaret, di cui oggi celebriamo la festa liturgica. Collocata subito dopo la solennità del Natale questa celebrazione ci offre la possibilità di gettare uno sguardo dietro le sue quinte e di intravedere il mistero della Famiglia trinitaria che ne costituisce l’anima spirituale e il fondamento teologico, nonché il nucleo vitale della Famiglia ecclesiale alla quale apparteniamo. Così, Famiglia di Nazaret, Famiglia trinitaria e Famiglia ecclesiale costituiscono un tutt’uno imprescindibile: nessuna di queste forme di vita familiare può sussistere l’una indipendentemente dall’altra, ma tutte contribuiscono a farci cogliere la missione specifica che la Famiglia cristiana è chiamata a realizzare, oggi, nel mondo.

Nell’opinione comune la Famiglia di Nazaret viene spesso immaginata come pervasa da un clima di vita idilliaco, avulsa da qualsiasi tipo di difficoltà e per questo ben lontana da quelle tensioni che invece caratterizzano le nostre famiglie, attraversate come sono da una profonda crisi che investe tutti gli ambiti della sua vita: relazionale, morale, religioso, spirituale, culturale, sociale e perfino antropologico. Non c’è un ambito in cui i valori morali sociali e i principi biblici che hanno plasmato il modello tradizionale della famiglia, fondato sull’unione dell’uomo e della donna, non vengano messi in discussione. Le attuali teorie di genere sembrano poi aprire allo sviluppo di nuove forme di famiglia o di unione civile, come quelle di fatto[1], irregolari[2] e dello stesso sesso[3], per citarne solo alcune. Anche la recente Dichiarazione Fiducia supplicans” del Dicastero della Dottrina della Fede e sottoscritta dal papa, sembra avallare queste possibilità. Si capisce subito allora che il panorama culturale e sociale all’interno del quale va collocata l’attuale argomentazione della famiglia è molto più ampio e complesso di quello che emerge dal contesto biblico e più specificamente evangelico. Naturalmente noi non possiamo affrontare tutti questi aspetti, di cui cogliamo la complessa problematicità, né la sede ci consente di farlo. Tuttavia, ciò non ci dispensa dal citarne almeno la questione. Per farlo ci lasceremo guidare da alcune domande: Che rapporto sussiste tra il modello cristiano della famiglia e le attuali forme di convivenza civile? È ancora proponibile questo modello? È capace di rispondere alle attuali istanze antropologiche? La questione ci invita a tratteggiare quella spiritualità[4] che costituisce l’anima della Famiglia di Nazaret ed esplicita le condizioni che ne rendono possibile la sua traduzione nell’oggi della nostra vita quotidiana. Proviamo allora a compiere questa operazione partendo dal dato biblico. Rileggendo i racconti che gli evangelisti, Matteo e Luca, fanno della famiglia di Nazaret, prendiamo atto di un profilo familiare pervaso di difficoltà non meno impegnative, dolorose e travagliate delle nostre[5]. Si tratta comunque di difficoltà tanto realistiche quanto simboliche, per la prospettiva teologica con cui vengono narrate. L’evangelista Luca ribadisce a più riprese che Maria e Giuseppe vivono queste difficoltà all’insegna della legge mosaica: ogni cosa viene compiuta “come prescrive la legge del Signore” (Lc 2,23.24.27.39). La loro vita appare intimamente unita, nel dolore, al destino del figlio (cf. Lc 1,35), che qui viene prefigurato come il Messia del Signore, chiamato a compiere un’opera di salvezza (cf. Lc 1,26), secondo i criteri del Servo sofferente descritto da Isaia (cf. Is 42,1; 42,6; 49,6; 52,10). La sua opera sarà tale da diventare perciò un segno di contraddizione: “luce e salvezza” per quanti accolgono e aderiscono al suo vangelo; “rovina e perdizione” per quanti ne rifiutano invece la missione (cf. Lc 1,32).

Irta di difficoltà appare anche la vita dell’altra grande coppia biblica: Abramo e Sara, di cui la prima lettura – tratta dal libro della Genesi – e la lettera agli Ebrei, ci forniscono dei dati molto interessanti. Anch’essi vivono la loro esistenza all’insegna della fede. I due si sa non potevano avere figli, a causa della sterilità di Sara. Questo problema, stando alle prescrizioni della legge mosaica, poteva essere risolto solo in alcuni modi: il ripudio della moglie, così da poterne sposare un’altra; l’unione con la schiava più fidata che la moglie decideva di mettere a disposizione del marito; oppure, nel caso della sterilità del marito, considerare erede il figlio di un proprio domestico (cf. Gen 15,2). Abramo, benché disponesse di tutte queste possibilità, non ripudia né la moglie, non considera né Ismaele – avuto con Agar – figlio della promessa, né lascia ad Elièzer la propria eredità. Una decisione questa alla quale Abramo giunge non senza fare appello alla fede, che lungi dall’essere scontata, matura col tempo passando attraverso dolorose prove, come sottolinea l’autore della lettera agli Ebrei: “Abramo messo alla prova, offrì Isacco, … del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza” (cf. Gen 11,17-18). Una fede la sua che consente di sperare “contro ogni speranza” (Rm 4, 18), ovvero di perseverare in essa malgrado le avversità che sembrano precludergli ogni possibilità di portare a compimento le promesse di Dio.

Alla luce di queste due testimonianze di vita matrimoniale e familiare, ci chiediamo: che cosa hanno da insegnare queste due coppie a quanti decidono, oggi, di avventurarsi nel cammino della vita matrimoniale, e di farlo in un contesto culturale e sociale in cui la famiglia cristiana sembra destinata alla minoranza e per giunta ad essere un autentico segno di contraddizione, esattamente come Simeone afferma di Cristo? Qual è la specifica missione a cui essa è chiamata? È interessante notare che Abramo, pur desiderando ardentemente un figlio, capisce che la vera discendenza che lui è chiamato a realizzare non è tanto quella fisica che comunque Dio non gli fa mancare, ma quella spirituale che egli inaugura con la sua fede, come mette ben in evidenza l’autore della lettera agli Ebrei, quando dice: “Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità”. Per la stessa fede anche Sara, “sebbene fuori dall’età, ricevette in dono la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso” (cf. Gen 11,8.11-12).

In questa prospettiva anche Maria e Giuseppe, sembrano lodare Dio non solo per la nascita di Gesù, che pure costituisce una grazia straordinaria, quanto per la filialità divina che egli rivela loro. È per aver accolto questa vita filiale del Figlio che essi sono diventati figli di Dio. A questa vita essi non sono stati generati secondo la carne, né il sangue, ovvero attraverso la via del concepimento naturale, ma direttamente da Dio (cf. Gv 1,12-13). Ci piace perciò immaginare Maria e Giuseppe pronunciare i versetti della prima lettera di Giovanni: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente … Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,1-2). Ecco lo specifico della vita divina alla quale Gesù li abitua e che noi, oggi, come Famiglia cristiana, siamo chiamati a realizzare nel mondo, per mezzo della fede in lui e del suo amore evangelico. La Famiglia di Nazaret costituisce perciò un luogo dove la filialità della vita trinitaria si dà a vedere e a conoscere. È a questa realtà che dovremmo guardare se intendiamo offrire quei presupposti spirituali capaci di rinnovare dall’interno le relazioni della nostra vita comunitaria, quelle cioè che costituiscono il cuore pulsante della vita ecclesiale. E cos’è questa vita se non il seno divino nel quale, come direbbe san Paolo, “noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, perché della sua stirpe noi siamo” (cf. At 17,28). È di questa vita filiale che dovremmo impregnarci se intendiamo offrire un’alternativa credibile e convincente alle nuove forme di unione civile e riaccendere la speranza nell’attuale crisi culturale e sociale.  

 


[1] Le coppie di fatto sono quei conviventi legati da legami affettivi ma non vincolati da alcuna unione civile. 

[2] Le coppie irregolari sono quelle forme di convivenza costituite da battezzati che vivono coniugalmente senza sacramento del matrimonio.

[3] Le coppie dello stesso esso sono quelle omossessuali se costituite da maschi, lesbiche se costituite da femmine.

[4] Per spiritualità s’intende quella forma di vita spirituale, basata sulla sperimentazione personale e sul discernimento che consentono di tradurre nella vita concreta i principi religiosi e morali della fede.

[5] Basti pensare al fatto che Maria si ritrova incinta prima che i due andassero a vivere insieme (cf. Mt 1,18). Una situazione morale la sua che rischiò di compromettere il matrimonio già sul nascere. Matteo è molto discreto e delicato nel descriverla, ma non può fare a meno di dire i dubbi e il dolore che una simile situazione arrecò a Giuseppe (cf. Mt 1,19-21). Senza contare poi le malevole dicerie della gente che i due hanno dovuto subire, al diffondersi di una simile notizia. L’evangelista non ne parla, ma non è difficile immaginarle. Giuseppe, per esempio, si sforza di contenerle e di risolverle come può, sulla base di quei principi morali e religiosi che lo rendono uomo giusto ed integro. Infatti, egli, per evitare di esporre Maria alla condanna della lapidazione, come previsto dalla legge mosaica (cf. Dt 22,22-23), decise di ripudiarla in segreto (Mt 1,19). E sarà solo in seguito ad una visione dell’Angelo, avuta durante il sonno, che lui avrà la luce necessaria per capire il senso di quello che gli stava accadendo. La stessa nascita di Gesù avviene in una cornice carica di avversità, dove tutto sembra remare contro: il censimento che li costringe a doversi spostare proprio quando per Maria era giunta il tempo del parto (cf. Lc 2,1-6); il luogo inospitale, privo di qualsiasi assistenza familiare che le impediva di partorire in un clima di maggiore intimità e sicurezza (cf. Lc 2,7). Anche la notizia della nascita del figlio che avrebbe dovuto essere motivo di gioia, sembra invece scatenare sentimenti d’invidia così violenti che il re Erode emana un decreto che provoca una vera e propria strage di bambini, per sfuggire al quale essi sono costretti a fuggire in Egitto; e lì rimanere fino alla sua morte (cf. Mt 2,13-18). Le sofferenze non mancano neppure al momento della Presentazione del proprio figlio al tempio di Gerusalemme, quando il vecchio Simeone, subito dopo aver proferito parole di profondo stupore e commozione su Gesù, prefigura a Maria un evento che le avrebbe trafitto l’anima (cf. Lc 2,34), tanto era il dolore che avrebbe provato. E come se ciò non bastasse durante il primo pellegrinaggio a Gerusalemme che essi compiono insieme al loro figlio Gesù, appena dodicenne, fanno una delle più drammatiche esperienze che può capitare ad una coppia: la perdita del ragazzo per tre lunghi giorni (cf. Lc 2,41-50).

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