3 Novembre 2024 - Anno B - XXXI Domenica del Tempo Ordinario
- don luigi
- 3 nov 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Dt6, 2-6; Sal 17; Eb 7,23-28; Mc 12,28b-34
Un amore libero e liberante

“Uno degli scribi si accostò a Gesù e gli chiese: Qual è il primo comandamento? Gesù rispose: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza … e il prossimo tuo con tutto te stesso” (Mc 12,28-30; Dt 6,5).
Subito dopo la solennità dei Santi la Liturgia ci propone un brano evangelico che mette a fuoco lo scopo della Legge, come ad offrirci la possibilità di continuare il nostro discorso sull’amore, quale essenza della santità di Dio. Qual è l’intenzione della Legge se non quella di indurci ad amare Dio e il prossimo, per partecipare della vita eterna.
È interessante notare che a muovere questo interrogativo sia uno scriba, il quale si accosta a Gesù non con l’intenzione di “metterlo alla prova”, come accade ad alcuni suoi colleghi (Mt 22,25; Lc 10,25), ma col desiderio onesto e sincero di condividere la sua sapienza. Questo ci fa capire che non tutti gli scribi avessero con Gesù un rapporto polemico e conflittuale. Alcuni, evidentemente, ne riconoscevano la statura morale e l’autorità profetica. Mosso dunque da questo senso di stima e riconoscenza, decide di avere con Gesù un dialogo sereno. L’oggetto della discussione è la Legge, ovvero il cuore dell’esperienza religiosa ebraica. Da qui la domanda: “Qual è il primo comandamento?”. Al di là della formulazione, allo scriba non preme sapere quale fosse il “primo” comandamento, ma se Gesù, nella sua sapienza, avesse colto o meno la ragione della Legge e quindi la sua essenza. Tant’è che Gesù, nel rispondere, non cita letteralmente il primo comandamento, così come viene formulato nel libro dell’Esodo (cf. Es 20,1-17), e del Deuteronomio (cf. Dt 5,6-21). La sua risposta esula da quelle formule giuridicamente enunciate da Mosè. Egli mostra invece di essere pervenuto a una sintesi sapienziale, alla quale giunge dopo averla lungamente ruminata. Il che ci fa capire l’estrema libertà nel citare la Legge, senza tuttavia alterarne il contenuto. Il suo è un atteggiamento del tutto diverso rispetto a quello degli scribi, che invece rimangono legati alla formula giuridica, ripetendola fedelmente fino a ingessarne il contenuto. Egli va direttamente al cuore della Legge, mostrandone la parola chiave, grazie alla quale diventa possibile conoscere la volontà di Dio. Qual è allora lo scopo della Legge se non quello di educare ad “… amare … Dio con tutto il … cuore e con tutta … l’anima, con tutta la … mente e con tutta la … forza … e il prossimo … come se stesso” (cf. Mc 12,29-30; Dt 6,5). Tutta la risposta di Gesù ruota intorno all’amore. Esso ne costituisce il nucleo pulsante e vitale. Come a voler dire che se la natura di Dio è amore egli non vuole altro che essere ricambiato con lo stesso amore. Questo amore tuttavia non va centellinato, ma espresso con la stessa generosità di Dio, ovvero “con tutto il cuore[1], con tutta l’intelligenza e con tutta la forza”, praticamente con tutte quelle dimensioni che esprimono la pienezza della vita umana. Detto in altri termini l’amore verso Dio non è un optional, ma una responsabilità, davanti alla quale l’uomo non può rimanere passivo.
Con la stessa intensità di Dio va amato anche il prossimo. Il che ci fa capire che Gesù, considera l’amore come una realtà unitaria. Pur distinta nella forma verso Dio e verso il prossimo, rimane un unico precetto: “Non c’è altro comandamento più importante di questo” (Mc 12,31). Queste due forme d’amore costituiscono un tutt’uno inscindibile. L’una non può sussistere senza l’altra. Diversamente si corre il rischio di un misticismo avulso dalla realtà o un filantropismo privo di un fondamento stabile ed eterno.
Ma è possibile comandare l’amore? Può Dio esigere di essere amato? In realtà più che di “comandamenti”, come di solito vengono definiti, occorre parlare di “parole”, come le definisce il libro dell’Esodo (cf. Es 20,1), che Dio dona al suo popolo affinché questi viva alla sua maniera. L’imperativo categorico che li connota, non è teso tanto al comando, come lascia trasparire la formulazione, quanto alla responsabilità di amare, affinché esercitandosi nell’amore l’uomo possa sperimentare la pienezza della propria esistenza, o come afferma il libro del Deuteronomio: “perché tu sia felice” (Dt 6,3). E non c’è altra condizione per giungere alla pienezza della felicità se non l’amore. Lo scopo dei comandamenti quindi è rendere l’uomo felice, libero. Fuori da questo orizzonte d’amore libero e liberante, i comandamenti rischiano di essere percepiti solo come norme giuridiche che intendono limitare la libertà dell’uomo e piegarla alla volontà di un despota.
La sintesi alla quale perviene Gesù si rivela, a quanto pare, credibile e convincente alle orecchie dello scriba, tanto da stimarne la sapienza: “Hai detto bene, Maestro”. Tuttavia egli non si limita solo a ribadire le parole di Gesù, ma a manifestargli anche la sua sintesi personale: l’amore verso Dio e verso il prossimo, dice, “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici” (Mc 12,33), dimostrando, in questo modo, di aver colto anche lui l’essenza stessa della Legge e della volontà di Dio: “Misericordia io voglio, e non sacrificio” (Mt 9,13; 12,7)[2], come invece esigevano i colleghi scribi. Dinanzi a questa affermazione Gesù non può che lodare la sua saggezza: “Non sei lontano dal regno di Dio” (Mc 12,34).
Il brano evangelico si limita a questa conclusione, motivo per cui noi non sappiamo se questo scriba abbia deciso o meno di seguire Gesù. Il fatto che Marco lasci in sospeso questa situazione ci stimola ad immaginare la scena e a fare una riflessione, adattandola alla situazione di tanti che giungono a questo punto del cammino di fede. È interessante l’affermazione che fa Gesù. Egli dice che lo scriba non è “lontano dal regno”, ma non è neppure giunto a entrarvi. È sulla soglia. È aperto alla novità di Gesù, tanto da lasciarsene interpellare, ma non ha ancora accolto il suo invito. È pronto a compiere il passo definitivo, ma è ancora vincolato alla dimensione giuridica della legge. Un po’ come quel “tale” che rimane condizionato dai suoi beni, pur avendo manifestato un ardente desiderio della vita eterna (cf. Mc 10, 17-22). Cosa gli manca per entrare nel regno di Dio? probabilmente lo stesso che mancava a quel “tale”: lasciarsi impregnare dell’amore di Dio. Ecco la novità evangelica!
Quanti come quello scriba osservano la legge per dovere, non per amore e perciò non si sentono liberi. Magari sono moralmente integerrimi, ma irrigiditi dall’osservanza minuziosa. E questo li tiene spiritualmente contratti, e intellettivamente irrigiditi, inflessibili, incapaci di scoprire che “la legge è fatta per rendere l’uomo libero e non per vincolarlo a delle norme giuridiche” (cf. Mc 2,27). L’amore è ciò che rende liberi e Dio va amato nella libertà. Questo è il nucleo della legge evangelica. Tutta la legge mosaica, come afferma san Paolo, è nient’altro che un “pedagogo” (Gal 3,24), la cui funzione è quella di condurci ad un amore libero e liberante. Lo scopo non è amare la legge, ma amare Dio attraverso la legge. Essa è la via e non il fine.
Pertanto, stando a Gesù, chi ama, a qualunque credo religiosi si ispira, non è lontano da Dio, perché – come dice Giovanni – “l’amore è da Dio e chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (1Gv 4,7). L’amore è per Gesù la porta che consente di entrare nel suo Regno. Amare Dio e il prossimo con tutte le forze, significa, perciò, disporsi alla possibilità della vita eterna.
[1] Il cuore non è inteso appena come organo dei sentimenti, ma come il centro esistenziale dell’uomo, dal quale scaturiscono e verso il quale convergono tutte le qualità intellettive, creative, affettive, cognitive, relazionali. Amare Dio in questo modo significa percorrere la via della perfezione.
[2] I testi biblici ribadiscono a più riprese questa qualità divina: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34,6-7), o ancora come rafforza, con una ripetitività litanica, il Salmo 135/136: “Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia”, che la CEI 2008 traduce nell’attuale versione: “perché il suo amore è per sempre”.




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