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28 Novembre 2021 - Anno C - I Domenica di Avvento


Ger 33,14-16; Sal 24/25; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36


Vivere d’attesa l’oggi della fede



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“Ecco verranno giorni, oracolo del Signore, nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda … In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla” (Ger 33, 14ss). Questa promessa che Dio fa al popolo ebraico, attraverso il profeta Geremia, in un contesto particolarmente critico e drammatico come quello dell’esilio, diventa per noi cristiani, in questo tempo liturgico caratterizzato dalla pandemia, l’occasione per concentrare l’attenzione sulla promessa di salvezza che Cristo compirà alla fine dei tempi. L’Avvento si rivela così come un “tempo favorevole” (cf. 2Cor 6,2), in cui la Chiesa, ancora una volta, ci rinnova l’invito a riscoprire l’atteggiamento fondamentale con cui siamo chiamati a vivere la fede in Cristo, nell’oggi della storia: l’attesa, più specificamente, il compimento della promessa. Pertanto non basta limitarla solo alla celebrazione del Natale, ma occorre estenderla a tutta la nostra esistenza, poiché la promessa di cui parla il profeta Geremia avrà il suo definitivo compimento solo alla fine dei tempi (escatologia), quando cioè “il Figlio dell’uomo verrà con grande potenza e gloria” (cf. Lc 21,27; Dn 7,13-14). In questo senso, tutta la nostra vita è nient’altro che un’attesa del Cristo che viene, come evidenzia anche la preghiera della Chiesa che l’apostolo Giovanni formula al termine del libro dell’Apocalisse: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 20,20).

Purtroppo, però, abituati come siamo a bruciare i tempi e a pretendere tutto e subito, nel qui ed ora, l’attesa si rivela, oggi, un atteggiamento quanto mai difficile e impegnativo, non solo sotto l’aspetto religioso, ma anche quotidiano, pratico ed esistenziale. Non siamo più abituati, per esempio, a rispettare i cicli della natura, i tempi di crescita e di maturazione delle cose, delle relazioni, delle persone, degli eventi. Viviamo la storia come se il presente fosse l’unico tempo da declinare; esigiamo ogni cosa nel momento stesso in cui le pensiamo; riduciamo la vita ad una emozione epidermica, da consumare nell’attimo stesso in cui la proviamo. Una situazione paradossale, dunque, la nostra, specie per noi cristiani che crediamo in un Dio che nonostante la sua potenza, ha dilazionato la sua creazione lungo un processo evolutivo che è durato milioni di anni, simbolicamente espressi dalla Bibbia in termini di “settimana”. Basti pensare che la stessa “rivelazione” accade in un arco di tempo che dura all’incirca duemila anni, attraversando generazioni intere che vanno da Abramo a Gesù. Di tutto quello che esiste nulla accade in modo istantaneo, ma tutto è soggetto ad un processo di crescita. A maggior ragione il compimento della sua promessa richiede non solo una maturazione spirituale e intellettiva, ma anche un’attesa escatologica, ovvero la capacità di vivere la storia secondo i tempi di Dio. Il che richiede di compiere un passaggio che va dall’attesa storica, caratterizzato da quella mentalità secondo la quale la promessa di cui parla Geremia, si realizzerebbe in questa vita, all’attesa meta-storica (oltre la storia), secondo la quale essa si realizzerebbe, invece, definitivamente solo alla fine dei tempi. Si tratta allora di imparare a gettare lo sguardo oltre la storia, ovvero nel tempo escatologico.

La Bibbia ci attesta che l’attesa di questo compimento non è mai tranquilla e serena, avulsa da ogni difficoltà, ma caratterizzata sempre da prove, come testimonia l’evento pasquale descritto nel libro dell’Esodo, nel quale la libertà viene conquistata solo dopo una serie di piaghe in Egitto; di un passaggio rischioso come quello del Mar Rosso; e di una permanenza durata quarant’anni nel deserto. Lo stesso Gesù ci fa capire che la sua liberazione escatologica dal peccato e quindi la sua salvezza, giungerà solo dopo un periodo di grandi tribolazioni (cf. Ap 7,14), al quale alludono i brani biblici che la liturgia ci sta proponendo in questo tempo. Tuttavia tali eventi, al di là della drammaticità che li caratterizzano, sono allusivi a tutto quel processo di trasformazione che è già presente nei cicli biologici della vita. Basti pensare a quella trasformazione fisica a cui sono soggetti tutti gli esseri viventi, durante il periodo che va dal concepimento alla morte, e alla totale dissoluzione del corpo. La stessa persona, durante il processo di conversione, subisce una trasformazione spirituale, morale, psicologica e intellettiva, a dir poco radicale, pur rimanendo fisicamente uguale agli altri. In realtà, quindi, questi eventi catastrofici non fanno che descrivere, in maniera figurata, quel processo di trasfigurazione che predisporrà il mondo intero alla salvezza di Cristo. “I cieli nuovi e la terra nuova” (2Pt 3,13) di cui parla Pietro nella sua lettera altro non sono che questi stessi cieli e questa stessa terra, totalmente trasfigurati dall’azione dello Spirito che fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5).

Ma come prepararci a questi eventi? Alcuni aspetti di cui parla Gesù in questo brano evangelico di Luca, potrebbero aiutarci a individuare gli atteggiamenti giusti. Intanto egli invita i suoi discepoli ad acquisire i criteri per una giusta interpretazione degli eventi storici e cosmici: mentre per moltissime persone questi fatti terrificanti saranno motivo di angoscia, per i discepoli costituiscono i segni del suo arrivo imminente, perciò Gesù dice loro: “risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21, 28). In altre parole il disordine cosmico e sociale non è solo indice della fine del mondo, ma segno del suo nuovo inizio, come lasciano intendere anche le parole dell’apostolo Paolo ai Romani 8,19-23. Stando a Paolo tutto il cosmo, a partire dall’evento dell’incarnazione di Cristo, è come se fosse stato fecondato dallo Spirito e perciò tali eventi cosmici sono segni del travaglio della nuova vita in arrivo.

“Risollevatevi e alzate il capo” significa anche evitare alcuni possibili rischi, ai quali molti potranno essere soggetti in quei momenti terrificanti, e che Gesù descrive in questi termini: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita” (Lc 21,34). Si tratta allora di comportamenti che possono appesantire il cuore al punto da impedirgli di riconoscere i segni della sua nuova venuta. Il cuore, biblicamente parlando, non è tanto l’organo dei sentimenti, ma il centro decisionale dell’uomo, il luogo dove egli si autodetermina sulla base delle scelte esistenziali. Ora, per riconoscere la presenza di Cristo, durante questo tempo di sconvolgimento, occorre disporre di un cuore nuovo, attento, concentrato, raccolto, riunito, vigile, libero da situazioni o zavorre che possano confonderlo, offuscarlo e appesantirlo. Situazioni o zavorre che Gesù descrive come: “dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”.

Proviamo a descrivere queste situazioni con qualche esempio. Quando un atleta sa di dover affrontare una gara importante concentra la sua attenzione solo sull’obiettivo: raggiungere la vittoria. Per farlo ha una sola cosa necessaria da compiere: l’allenamento. Egli evita di distrarsi e soprattutto evita di dissipare le proprie energie. Sa che l’allenamento gli servirà non solo per abituare il corpo a nuovi esercizi, ma anche a potenziarlo con nuove energie. Sciupare, sprecare, sperperare, queste energie con distrazioni e cose vane gli potrà costare caro. Pertanto come l’atleta rimane attento e concentrato in vista della gara, ancor di più devono esserlo i discepoli che attendono di incontrare Cristo.

Anche l’immagine dell’ubriaco è simbolica. Si sa benissimo che una quantità eccessiva di alcool stordisce la mente della persona, facendole perdere la lucidità. Quando uno si ubriaca, infatti, non è più capace di rispondere delle proprie azioni, tanto meno di controllarsi e prendere decisioni; perfino il suo corpo brancola. Ma è chiaro che non ci si ubriaca solo di alcool, ma anche di idee, di pensieri, dottrine, visioni della vita che possono confondere la mente, intontire il cuore, renderli inetti, incapaci di giungere alla sapienza, necessaria per prendere decisioni importanti.

“Affanni della vita”. Ci sono persone che pur animati da buoni propositi, si lasciano depistare, deviare, condizionare da impegni, scelte, decisioni, pensieri inutili e vani, tanto da rendere la mente, il cuore e la vita pieni di cianfrusaglie, un’accozzaglia di cose che generano solo affanni, preoccupazioni e inquietudini e che ci fanno correre il rischio di correre invano dietro a idee, cose, persone che possono procurare grandi delusioni esistenziali. Occorre invece che il discepolo sia “irreprensibile nella santità” (1Ts 3,13), uno a cui non si può muovere alcuna critica, perché ha improntato la sua vita a una rigorosa correttezza e onestà intellettiva, morale e spirituale. Uno, come ribadisce ancora san Paolo, che si comporta in” modo da piacere a Dio” (1Te 4,1) e che conosce la sua volontà da progredire nella santità.

Come allenarsi per acquisire questo tipo di progresso spirituale? Per rispondere a questa ulteriore domanda ci rifacciamo a quello che dice Gesù sempre in questo brano evangelico: “Vegliate in ogni momento pregando” (Lc 21,36). “Vegliare e pregare in ogni momento” non significa recitare dall’alba alla sera e durante la notte, una qualche formula di preghiera verbale, ma vivere la quotidianità all’insegna della volontà di Dio. È chiaro che per vivere in questo modo occorre una pratica spirituale non indifferente, tipica di chi vive ogni cosa, perfino un’esperienza di peccato, come pretesto per crescere in un’intima relazione con Dio. Ciascuno per progredire in questo ambito spirituale può seguire pratiche e metodologie diverse. Personalmente vi suggerisco una forma di preghiera, semplice come quella del rosario, dove però, al posto dei tradizionali misteri, si potrebbe contemplare la Storia dell’attesa biblica, secondo quelli che potremmo definire: i misteri dell’attesa: 1) l’attesa profetica (nel quale si contempla la “promessa della terra”, come viene descritta già nel libro della Genesi 15,13-21; 2) l’attesa messianica (nel quale si contempla la “promessa del Messia salvatore”, che Dio fa a Mosè nel libro del Deuteronomio, 18,15-20); 3) l’attesa regale (nel quale si invoca la venuta del Regno di Dio con le parole stesse di Gesù e che Matteo riporta nel suo Vangelo 6,10); 4) l’attesa escatologica (nel quale si contempla la “promessa dei cieli nuovi e terra nuova”, secondo le parole di Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1); 5) l’attesa apocalittica (nel quale si contempla la seconda venuta di Cristo, secondo la preghiera formulata nel libro dell’Apocalisse: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 20,20).


Auguri dunque e buon cammino di Avvento.

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