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28 Maggio 2023 - Anno A - Pentecoste


At 2, 1-11; Sal 103/104; 1Cor 12, 3b-7.12-13; Gv 20, 19-23



Pentecoste:

epifania spirituale della Chiesa


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“La sera di quello stesso giorno … alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,19.22-23);

“Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 2,1-4);

“Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito … A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per i bene comune” (1Cor 12,4.7).

Quelli appena letti sono i versetti tratti dai diversi brani biblici della Liturgia della Parola, tutti relativi al dono dello Spirito Santo, di cui la Chiesa, oggi, ci fa celebrare la sua epifania. In realtà già durante la 6a Domenica di Pasqua siamo stati introdotti in questo argomento, quando nel tentativo di esplicitare il significato degli appellativi: “Paraclito”, “Consolatore” e “Spirito di verità”, con cui Gesù definiva l’identità dello Spirito, abbiamo cercato di capire il modo con cui egli si manifesta nella Chiesa. Pertanto quello che diremo oggi costituisce una seconda tappa del nostro cammino spirituale.

Ogni citazione biblica, com’è evidente, contribuisce a rimarcare un aspetto dello Spirito. L’evangelista Giovanni, per esempio, ci dice che Gesù “alitò sugli apostoli”, per dire che il dono che egli fa dello Spirito non è qualcosa di “totalmente altro” da lui, ma il suo “alito” vivente. E lui non ha altro modo per trasmetterlo, se non attraverso il suo respiro. Pertanto lo Spirito è l’essenza stessa di Cristo. Alitandolo sugli apostoli egli non fa che ripetere lo stesso atto originario compiuto da Dio nella creazione, quando alitò “lo spirito sulle acque” (cf. Gen 1,2); e più specificamente, quando Dio, dopo avere plasmato l’uomo, “soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7). Allo stesso modo, ora, Cristo alita il suo Spirito sugli apostoli, come a voler trasmettere loro la sua essenza vitale, più intima e divina.

Gesù non è nuovo a questo gesto: già in altre circostanze ebbe modo di compierlo, come quella in cui, da uomo sulla croce, emettendo l’ultimo respiro, consegnò a Dio il suo spirito (cf. Gv 19,30). Ora, da Risorto, lo riconsegna agli apostoli nella forma dello Spirito Santo, tanto che essi, a partire dal quel dono, poterono cominciare a respirare col suo Spirito e a vivere della sua stessa vita divina. Come non cogliere in questi gesti le affinità tra Dio e Cristo: soffiando nelle sue narici Dio rese l’uomo un essere vivente; allo stesso modo Cristo alitando sugli apostoli, li rese capaci di vivere secondo lo Spirito (cf. Rm 8). Pertanto l’inscindibile unità che c’è tra Cristo e lo Spirito Santo è la stessa che deve sussistere tra il Risorto e gli apostoli. Tale unità costituisce l’anima stessa della prima comunità apostolica e, a partire da essa, della Chiesa. Si capisce allora la ragione per cui la Chiesa, come intuisce in modo mirabile san Paolo, è la manifestazione del Corpo di Cristo (cf. Rm 12,4-5; 1Cor 12,12), animato dallo Spirito Santo; perciò anche lei, nella misura in cui si lascia animare da questo Spirito, potrà ripetere con Paolo, “non sono più io che vivo, ma è lo Spirito di Cristo che vive in me” (cf. Gal 2,20).

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Un segno manifestativo dello Spirito, molto simile a questo descritto da Giovanni, è quello espresso da Luca nel libro degli Atti, quando nel raccontare l’evento della Pentecoste[1], parla dello Spirito in termini di “vento”, al quale però aggiunge anche quello di “fuoco”. Si tratta chiaramente di immagini che ci danno l’idea dell’estrema difficoltà a definire la misteriosa realtà dello Spirito. Il “vento”, come il fuoco, sono realtà inafferrabili, incontenibili, indomabili allo stesso modo lo Spirito sfugge ad ogni nostro tentativo di possesso. Perciò è di per se stesso indefinibile. Egli è sempre presente in ogni atto creativo e rinnovativo. Come non rileggere alla sua luce il brano biblico dell’Elogio della Sapienza (cf. Sap 7,22-30). Per questo lo Spirito è all’origine del mondo, come all’origine della Chiesa. È l’essenza stessa della vita, sia nella forma biologica che spirituale, come afferma il Salmo 103 a proposito delle creature: “Se togli loro lo spirito, muoiono / e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati / e rinnovi la faccia della terra”. Per questa ragione è simbolo della perenne libertà e novità nella Chiesa, principio che fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5).

Non a caso, il suo dono è intrinsecamente legato al battesimo, come mette ben in evidenza Luca al termine del discorso di Pietro a Pentecoste, quando alla domanda dei suoi ascoltatori: “Che cosa dobbiamo fare?”, Pietro risponde loro dicendo: “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare” (At 2,37-38). Il battesimo costituisce perciò l’inizio della “vita nuova in Cristo” a cui il suo dono dà origine. Egli “alita” in ogni credente la vita divina. Per questo lo Spirito viene associato da Giovanni anche al perdono dei peccati, secondo il comando che Gesù dà agli apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro che perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, resteranno non perdonati” (Gv 20,22-23).

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L’evento della Pentecoste, perciò, in quanto manifestazione dello Spirito, determina nella vita degli apostoli una vera e propria svolta spirituale e pastorale: a partire da esso finisce la predicazione di Gesù e comincia con loro la predicazione su Gesù (cf. R. Penna). In questo senso se l’Ascensione chiude il ciclo dell’esistenza terrena di Gesù, la Pentecoste apre quello della Chiesa nel mondo. La Chiesa costituisce così la ragione e il fine dell’opera dello Spirito. Egli con la sua azione ricreativa non fa che realizzare e portare a compimento l’opera iniziata da Gesù, grazie ai doni che egli elargisce su tutti i suoi membri. In questo senso ogni dono concorre alla realizzazione del suo Corpo che è la Chiesa: la sapienza, la scienza, la fede, le guarigioni, i miracoli, la profezia, il discernimento, le lingue, l’interpretazione (cf. 1Cor 12,8-10), e cosi i ruoli: gli apostoli, i profeti, i maestri, gli evangelizzatori (cf. 1Cor 12,28). “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Cor 12,7). Tutto concorre alla rivelazione di Cristo salvatore: ecco il miracolo che lo Spirito compie nel giorno di Pentecoste, attraverso il dono delle lingue. Per mezzo di esso egli permise agli apostoli di comunicare questa verità “in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”; e ai “Giudei osservanti provenienti dalle varie nazioni, di capire ciascuno nella propria lingua le grandi opere di Dio” (cf. At 2,4-6.11). Il segno più eloquente dello Spirito, allora non è solo il prodigio delle lingue conferito gli apostoli, ma l’evento comunicativo di Dio, attraverso il quale egli rende partecipi tutti i popoli del messaggio di salvezza operato da Cristo. Ciò che Luca, infatti, sembra volerci trasmettere non è tanto la capacità con cui gli apostoli diventano improvvisamente esperti poliglotti – perché di fatto in seguito essi continueranno a parlare solo la lingua da loro conosciuta – ma quella di aver acquisito la lingua dello Spirito, e soprattutto di essersi resi strumenti universali di salvezza. Attraverso di loro, infatti, il mistero nascosto da secoli – di cui parla san Paolo nelle sue lettere agli Efesini e ai Colossesi – diventa manifesto a tutti gli uomini (cf. Ef 3,5-6; Col 1,25-27). Il vero miracolo, allora, accade quando ciascuno di noi comincia a parlare secondo la lingua dello Spirito: ovvero quella dell’amore. Essa è l’unica capace di declinare nella Chiesa e nel mondo la multiforme manifestazione della salvezza di Dio attraverso i doni dello Spirito (cf. 1 Cor 12, 8-10). L’unica che ci permette di incarnare tra gli uomini la vita trinitaria e irraggiare nel mondo “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (cf. Ef 3,18-19).

Perciò, in vista di questo amore, vorrei farvi dono di una preghiera, con la quale invito ciascuno a invocare e ad accogliere lo Spirito in questo giorno solenne che ne celebriamo l’epifania ecclesiale.



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Preghiera allo Spirito Santo


O Spirito Santo,

tu che sei il mio creatore

e nell’amore fai nuove tutte le cose,

rivelami il pensiero di Cristo,

perchè io possa scrutare la profondità

e l’ampiezza del suo disegno salvifico.

Apri la mia mente alla conoscenza della sua Parola

e infondi in me l’ardore per il suo amore evangelico

così che, conformato alla sua immagine di Risorto,

possa essere la sua presenza viva,

vera e operante tra gli uomini.

Donami di accogliere e

portare a compimento la sua opera nella storia,

rivelando, a quanti condividono con me

l’esercizio quotidiano della fede,

la santità della sua vita trinitaria,

e a quanti, dispersi dal peccato,

hanno smarrito la bellezza e

il gusto della sua misericordia,

affinché diventiamo tutti

perfetti nell’amore

com’e perfetto il Padre suo

che nei cieli.

Amen




[1] Per meglio comprendere il significato cristiano della Pentecoste è opportuno un richiamo alle radici ebraiche di questa festa. Come la Pasqua anche la Pentecoste è un’eredità della tradizione religiosa ebraica. Essa era la seconda delle tre grandi feste ebraiche. Ciascuna veniva celebrata in un preciso periodo dell’anno e faceva memoria di un relativo evento di fede: la Pasqua, celebrata in primavera, ricordava il passaggio esodale; la Pentecoste, festeggiata in estate, celebrava il dono della Legge; la festa delle Capanne, celebrata in autunno, commemorava la precarietà del periodo di permanenza nel deserto. Nello specifico la Pentecoste veniva celebrata al termine di un periodo di sette settimane, quindi nel 50° giorno dopo la Pasqua, da cui il termine pentecoste (cf. Tb 2,1; 2Mac 12,31-32). Originariamente questo giorno veniva celebrato come ringraziamento a Dio dei frutti della terra, tra i quali il grano, perciò essa era ricordata anche come la festa dei covoni. Una festa che gli ebrei ereditano a loro volta dalle religioni cananee, presenti nel territorio della terra promessa, dove si erano insidiati dopo l’esperienza dell’esodo. Essa segna perciò per Israele anche il passaggio dalla vita nomadica alla vita stanziale ed agricola. Col tempo, il dono del raccolto viene sostituito con quello della Legge, perciò la Pentecoste diventa la festa dell’alleanza che Dio stipula col suo popolo per mezzo della Legge. Al tempo di Gesù la Pentecoste era diventata la festa della Nuova Alleanza, di cui parla il profeta Geremia (cf. Ger 31. 31-34), da qui la festa dello Spirito Santo, celebrata dai cristiani, quale dono che Dio elargisce a quanti riconoscono Cristo come colui che stabilisce la definitiva alleanza tra l’uomo e Dio.

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