top of page

27 Ottobre 2024 - Anno B - XXX Domenica del Tempo Ordinario


Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52






Il salto della fede

ree
William Marrion Branham, Il cieco Bartimeo, Collezione privata

“Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me! … Allora Gesù si fermò e disse …: Che cosa vuoi che io faccia per te? E il cieco rispose: Rabbunì, che io veda di nuovo! E Gesù gli disse: Va’, la tua fede ti ha salvato” (Mc 10,47.51-52).

Questa appena riletta è la sintesi del dialogo tra Gesù e il cieco Bartimeo. Un episodio realmente accaduto, ma che Marco ricostruisce e racconta alla maniera di una parabola, così da assumere un significato simbolico per chiunque decide di riprendere, dopo averlo smarrito, il proprio cammino di fede. Bartimeo, infatti, a differenza del cieco di cui parla l’evangelista Giovanni (Gv 9,1-41), non è disabile fin dalla nascita, ma perde in seguito la sua vista, per motivi a noi sconosciuti, e la recupera grazie all’incontro con Gesù. Fin troppo chiaro è allora il nesso tra la vista fisica e lo sguardo della fede che scaturisce dalla luce di Cristo.

Riletto in questa prospettiva non è difficile scorgere nel brano una chiave di lettura per interpretare la particolare situazione religiosa europea. Come Bartimeo, anche l’Europa, dopo un passato ricco e intenso di vita spirituale, sembra non solo essere diventata cieca, ma perfino sorda alla voce di Dio. Tuttavia, come il cieco, anche l’Europa, al di là delle più evidenti contraddizioni, eleva, a suo modo, un tacito grido di speranza, che lascia presagire il desiderio di recuperare lo sguardo religioso perduto. E forse non è un caso anche il riferimento a Gerico, città nella quale Marco colloca l’episodio (cf. Mc 10,46), che invece di continuare a spegnersi all’interno delle sue alte mura (cf. Gs 6) culturali, nel tentativo di difendersi dal fenomeno immigratorio, necessita di aprirsi al potere rigenerativo della Parola di Cristo. Come non cogliere, quindi, in questo episodio quel processo di liberazione a cui allude Gesù quando dice che “la verità vi farà liberi” (Gv 8,32), convinti che come la luce di Cristo ci fa uscire dal buio della cecità spirituale, così la sua verità ci libera dal nichilismo che gravida sulla nostra esistenza. E non è escluso che una simile cecità sia anche il risultato di quella brama di potere che serpeggia costantemente dentro di noi, come l’episodio dei figli di Zebedeo, ci ha insegnato a riconoscere (cf. Mc 10,35-45).

Alla luce di queste chiavi di lettura proviamo ora a introdurci nel brano evangelico. È interessante notare che Bartimeo nonostante avesse una disabilità così grave, come la cecità, non se ne sta chiuso in casa, ma si espone ai rischi della strada, lungo la quale vive la sua mendicità. La sua dimora è un luogo di passaggio, dove spesso vengono relegati gli emarginati della città. Egli appartiene perciò a quella categoria di persone, che papa Francesco definisce ‘scarto sociale’. Si tratta dunque del dramma di un uomo che vive da solo, lontano da qualsiasi forma di ‘assistenza sociale’[1]. Una situazione la sua che espone molto facilmente allo scoraggiamento, alla tristezza, all’abbandono, alla chiusura, al ripiegamento su se stessi, ma anche alla rabbia che induce al disprezzo e alla critica feroce e spietata contro il mondo e la vita più in generale. Eppure nulla di tutto questo traspare da lui. Egli non si rassegna alla sorte negativa della sua vita, al contrario conserva la voglia di vivere, mantenendo alta l’attenzione verso ciò che accade intorno a lui. La sua disabilità gli impedisce di vedere fisicamente Gesù che passa, ma non di percepire la sua presenza, tant’è che una volta vicino comincia a gridare: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me” (Mc 10,47). A giudicare dal titolo: “Figlio di Davide”, si capisce l’appellativo messianico che Bartimeo attribuisce a Gesù, il che ci fa capire che egli, pur perdendo la vista fisica non perse quella della fede, che anzi manifesta a squarciagola. È facile immaginarlo come un tipo tenace, intraprendente, lontano da quegli atteggiamenti remissivi e arrendevoli che spesso sorgono in simili situazioni. Marco, tuttavia, ci dice che “molti lo rimproveravano perché tacesse” (Mc 10,48). Questo poverino non disponeva di nessun altro mezzo se non il grido, per farsi notare da Gesù, eppure gli viene negato perfino quest’unica possibilità. Nonostante ciò egli non si dà pace, anzi, grida ancora più forte: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me” (Mc 10,48). Emergono così ancora più chiaramente gli elementi che ci aiutano a delineare il profilo di uno che non si lascia condizionare dai suoi limiti, né da quelli della gente. I limiti anziché bloccarlo diventano per lui occasioni di riscatto.

Marco nell’annotare questo particolare sembra volerci invitare a riflettere su di esso. Perciò ci chiediamo: ci è mai capitato di esprimere così platealmente e pubblicamente la nostra fede in Cristo? Avvertiamo anche noi il bisogno di gridarla a tutti? A quali voci corrispondono, oggi, quelli che ci impongono di tacere ciò che c’è di più autentico in noi? Chi sono quelli che ci impediscono di incontrare Gesù? Pensiamo per un attimo a tutti i social che, senza demonizzarli, ci disorientano, ci confondono offuscando tutti quei tentativi di ricerca che, in modo discreto, lo Spirito origina in noi. È interessante notare, tuttavia, che proprio tra coloro che ostacolano il nostro cammino verso Dio, possono esserci anche quelli che mediano la chiamata di Cristo, come emerge dal v. 49, dove Marco annota: “Allora Gesù si fermò e disse: Chiamatelo! E chiamarono il cieco dicendogli: Coraggio! Alzati, ti chiama!”. È sorprendente questa mediazione della gente, così come è sorprendente l’atteggiamento di Bartimeo, il quale senza covare astio nei confronti di quelli che lo avevano appena ostacolato, si lascia persino incoraggiare e guidare da loro, fino all’incontro con Cristo. È bello sentirsi dire da qualcuno questa espressione così carica di speranza: “Coraggio! Alzati, Cristo ti chiama!”. Personalmente la immagino come quella voce di Dio che gratuitamente ci raggiunge nei momenti più difficili e dolorosi della nostra vita. Magari si tratta di episodi rari, ma determinanti per operare certe svolte spirituali ed esistenziali.

Osserviamo ora più attentamente il comportamento di Bartimeo. Marco ci dice che, una volta davanti a Gesù, “Egli gettò via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Bartimeo getta via il mantello come chi decide di liberarsi definitivamente di tutti quei vincoli e zavorre che gli impediscono di essere libero. Il mantello è un indumento di riparo e perciò allude alla sicurezza personali. Bartimeo ha il coraggio di liberarsi delle proprie sicurezze, quelle poche che la situazione gli concedeva. Spesso non sono necessari grossi ostacoli a impedirci di giungere a Cristo, ma bastano anche semplici pensieri contorti e distorti. San Giovanni della Croce, a questo proposito, dice che non ci vuole una corda per bloccare un uccello, basta anche un sottile filo di seta per impedirgli di spiccare il volo[2]. Come non ricordare l’episodio evangelico del giovane che proprio a causa delle sue ricchezze si precluse la possibilità di lasciarsi liberare da Cristo (cf. Mc 10,17-27).

Ma ciò che più colpisce di Bartimeo è quel salto: “balzò in piedi e venne da Gesù” (Mc 10,50). Non è facile compiere un balzo da ciechi, ma esso esprime assai bene quello della fede. Per chi cerca di farlo nella propria vita ha, sulle prime, la sensazione di lanciarsi nel vuoto, in realtà si tratta di un salto in Dio. Esso diventa allora il salto di chi decide di fidarsi definitivamente di Cristo. Apparentemente potrà sembrare irrazionale, ma in realtà è l’atto di fede, nel senso più autentico e puro del termine. È l’atto che ci fa veramente liberi. È in queste circostanze che occorre più che mai rimanere fedeli alla sua voce. La sua Parola è l’unico termine di riferimento saldo e concreto nei momenti di crisi. Perciò il salto della fede non è mai nel buio o nel vuoto, ma sempre nelle braccia di Dio. Solo chi giunge a fare una simile esperienza ha modo di capire cosa significa essere liberati da se stessi e da tutto ciò che ci avviluppa come il peccato. Solo quando si è nella luce si capisce quanto fosse buia la vita di prima. Solo quando si scopre la verità si prende atto di quanto fosse immensa l’ignoranza di prima. Occorre, come Bartimeo, fidarsi di Cristo affinché lui trasformi la nostra cecità in un’occasione di salvezza. Grazie a questo salto Bartimeo da figlio di Timeo divenne figlio di Dio. Perciò auguro a ciascuno di noi, e alla nostra Europa che Cristo ripeti, ancora oggi: “Va’, la tua fede ti ha salvato” (Mc 10,52). Chissà che non siano queste le parole per “riacquistare la vista” e uscire dal buio della nostra crisi epocale.

 

 

[1] Si noti l’enorme differenza con i nostri ciechi che godono non solo di assistenza sanitaria, ma anche di condizioni sociali che consentono loro di partecipare a discipline atletiche, e perfino a gare olimpiche, nonché ad attività culturali, come i musei per non vedenti. 

[2] Cf. San Giovanni della Croce, Fiamma d’amor viva, 11,4. 

 

Commenti


© Copyright – Luigi RAZZANO– All rights reserved – tutti i diritti riservati”

  • Facebook
  • Black Icon Instagram
  • Black Icon YouTube
  • logo telegram
bottom of page