23 Ottobre 2021 - XXX Domenica del Tempo Ordinario Anno B
- don luigi
- 23 ott 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Ger 31, 7-9; Sal 125; Eb 5, 1-6; Mc 10, 46-52
L’Europa come Bartimeo:
un atto di fede per uscire dal buio della crisi?

“Cosa vuoi che io faccia per te? E il cieco gli rispose: Rabbunì, che io veda di nuovo” (Mc 10,51), questo breve ma intenso dialogo tra Gesù e Bartimeo, mette a fuoco il nucleo della liturgia di oggi, offrendoci, al tempo stesso, una chiave di lettura per cogliere il senso della particolare situazione religiosa europea, in questo delicato periodo storico. Come Bartimeo, anche il nostro amato Continente, dopo un passato ricco e intenso di vita spirituale, sembra non solo essere diventato cieco e sordo alla voce di Dio, ma aver smarrito persino le proprie radici religiose. Tuttavia, come dal cieco, anche dall’Europa, al di là delle più evidenti contraddizioni, s’eleva un grido di dolore, nel quale si coglie il desiderio di riacquistare la vista, ovvero la capacità di tornare a cogliere la presenza viva ed operante di Dio, nelle vicende della storia. E forse non a caso anche il riferimento a Gerico, città nella quale Marco colloca l’episodio (cf. Mc 10,46), ha degli evidenti richiami simbolici con la nostra Europa: più che di mura per difendersi (cf. Gs 6) – come è emerso dalla richiesta di alcuni Stati nell’ultimo Consiglio Europeo – necessita di aprirsi alla novità dello Spirito, che soffia silente nel cuore della gente.
Marco con poche pennellate ci descrive una scena che contiene in sé gli elementi per un autentico cammino di fede. Un episodio narrato alla maniera di una parabola, dove ogni particolare necessita di essere evidenziato, sviscerato e compreso. Per questo motivo esso esige di essere riletto e meditato con calma, così da creare quelle condizioni interiori che consentono allo Spirito di Dio di parlare al nostro cuore e alla nostra mente. Vi suggerisco di rileggere l’episodio reinterpretandolo alla luce del passo evangelico in cui Gesù dice: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32), convinti che come la luce ci fa uscire dal buio, così la verità ci libera dall’ignoranza del peccato. Più che in altre epoche storiche, oggi, infatti, abbiamo particolarmente bisogno di acquisire quella conoscenza della Parola di Cristo, per “vedere” la Verità che dà senso alla nostra vita. È significativo perciò che ci soffermiamo su questo brano dopo aver commentato il passo evangelico di domenica scorsa, dove i figli di Zebedeo: Giacomo e Giovanni ci hanno fatto a prendere coscienza di quella brama di potere che serpeggia prepotentemente dentro di noi (cf. Mc 10,35-45), e che molto spesso diventa la causa della nostra cecità morale, spirituale e intellettuale.
È chiaro che questo gesto compiuto da Gesù non è un miracolo occasionale, ma va compreso all’interno di quell’ottica di fede, tipicamente lucana, secondo la quale i prodigi di Gesù altro non sono che segni della sua messianicità (cf. Lc 4,18-19; Is 61,1-2; Sof 2,3). I ciechi, come anche il profeta Geremia mette in evidenza nella prima lettura (Ger 31,7-9), rientrano infatti in quella categoria di persone: zoppi, storpi, poveri, orfani, vedove, donne incinte e partorienti, pubblicani, prostitute, afflitti, schiavi e oppressi che costituiscono quel “resto d’Israele”, per il quale Dio manifesta tutta la sua compassione.
Proviamo allora a seguire passo passo Bartimeo nell’esodo della sua cecità fisica e spirituale. Malgrado il suo limite egli non se ne sta chiuso in casa, ma si espone ai rischi della strada, lungo la quale vive la sua mendicità. Un luogo di passaggio è la sua dimora, dove spesso vengono relegati gli emarginati della città. Egli appartiene perciò a quella categoria di persone, che papa Francesco definirebbe di ‘scarto’. Si tratta dunque del dramma di un uomo che vive da solo, lontano da qualsiasi forma di ‘assistenza sociale’. Una situazione la sua che espone molto facilmente allo scoraggiamento, alla tristezza, all’abbandono, alla chiusura, al ripiegamento su se stesso, ma anche al disprezzo, alla rabbia, alla critica feroce e spietata contro la vita. Eppure nulla di tutto questo traspare da lui. Egli non si rassegna alla sua sorte, al contrario conserva la voglia di vivere, mantenendo viva l’attenzione verso ciò che accade intorno a lui. La sua situazione gli impedisce di vedere Gesù che passa, ma non di percepire la sua presenza, tant’è che una volta vicino comincia a gridare: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me” (Mc 10,47). Ma “molti lo rimproveravano perché tacesse” (Mc 10,48). Questo poverino non disponeva di nessun altro mezzo se non il grido, per farsi notare da Gesù, eppure gli viene negato perfino quest’unica possibilità. Nonostante ciò egli non si arrende, anzi, grida ancora più forte. Ci troviamo evidentemente dinanzi a un tipo che non si lascia condizionare né dai suoi limiti, né da quelli della gente. I limiti anziché bloccarlo diventano per lui occasioni di riscatto.
Marco nell’annotare questo particolare sembra volerci invitare a riflettere su di esso. Perciò ci chiediamo: chi o cosa ci intima di tacere la voce di Dio che grida dentro di noi? Chi sono coloro che ci impediscono di cercare la verità, la giustizia, la bontà, la bellezza, insomma tutti quegli attributi propri di Dio, dei quali l’attuale cultura “liquida” e “relativista” sembra aver cancellato ogni traccia? Pensiamo per un attimo a tutti i social che, senza demonizzarli, ci stordiscono, disorientando e offuscando tutti quei tentativi di ricerca che silenziosamente e ripetutamente lo Spirito origina in noi. D’altra parte è anche vero che proprio coloro che maggiormente ostacolano il nostro esodo verso Dio, possono rivelarsi veri e propri mediatori della chiamata, come emerge dal v. 49, dove Marco annota: “Allora Gesù si fermò e disse: Chiamatelo! E chiamarono il cieco dicendogli: Coraggio! Alzati, ti chiama!”.
Una volta davanti a Gesù “Egli gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Bartimeo getta via il mantello come chi decide di liberarsi definitivamente di tutti quei vincoli e zavorre che gli impediscono di essere libero. Il mantello è un indumento di riparo e perciò può alludere alla sicurezza. Bartimeo ha il coraggio di liberarsi delle proprie sicurezze. Si intravede in questo gesto un richiamo al giovane ricco che a causa delle ricchezze, nelle quali aveva posto le sue sicurezze, si preclude la possibilità di diventare veramente libero (cf. Mc 10,17-27). O anche Abramo al quale Dio chiede di uscire da Ur, ovvero dalle proprie certezze, per mettersi in ascolto della sua voce.
Ma ciò che più colpisce di Bartimeo è quel salto: “balzò in piedi e venne da Gesù” (Mc 10,50). Non è facile compiere un balzo da ciechi, ma esso esprime assai bene quello della fede. Sulle prime abbiamo la sensazione di lanciarci nel vuoto, in realtà si tratta di un salto in Dio. Esso diventa allora il salto di chi decide di fidarsi definitivamente di Dio. Apparentemente potrà sembrare irrazionale, ma in realtà è l’atto di fede, nel senso più autentico e originario del termine. È l’atto che ci fa veramente liberi di credere in lui. È in queste circostanze che occorre più che mai rimanere fedeli alla sua voce. La sua Parola è l’unico termine di riferimento saldo e concreto nei momenti di crisi. Perciò il salto della fede non è mai nel buio o nel vuoto, ma sempre nelle braccia di Dio. Solo chi giunge a fare una simile esperienza ha modo di capire cosa significa essere liberati dal peccato. Solo quando si è nella luce si capisce quanto fosse buia la vita di prima. Solo quando si scopre la verità si prende atto di quanto sia immensa l’ignoranza della nostra conoscenza. Occorre, come Bartimeo, fidarsi di Cristo perché lui trasformi la nostra cecità, i nostri limiti in un’occasione di salvezza. Perciò auguriamoci che Cristo ripeti, anche oggi, a ciascuno di noi, come all’Europa: “Va’, la tua fede ti ha salvato” (Mc 10,52). Chissà che non siano queste le condizioni per “riacquistare la vista” ed uscire dal buio della crisi.




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