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21 Maggio 2023 - Anno A - Ascensione del Signore

Aggiornamento: 20 mag 2023


At 1,1-11; Sal 46/47; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20


Ascendere alla vita di lassù

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“… Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo … (ed) ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,9-11). Quello appena citato non è un passo evangelico, come di solito facciamo per mettere a fuoco il tema della domenica, ma un brano degli Atti, scritto da Luca, il quale, tra tutti gli evangelisti, è l’unico a trattare l’argomento dell’Ascensione in modo più esteso e a farlo per ben due volte: nel Vangelo (cf. Lc 24,50-53), col quale chiude il ‘racconto della predicazione di Gesù’; e nel libro degli Atti (cf. At 1,9-11), col quale comincia il ‘racconto della predicazione degli Apostoli’. Marco, infatti, si limita solo a menzionarla (cf. Mc 16,19), Matteo, invece la lascia intendere, senza citarla (cf. Mt 28,16-20); mentre Giovanni allude ad essa in diversi momenti del Discorso di Addio: quando Gesù dice ai suoi apostoli: “vado a prepararvi un posto”(Gv 14,2-4); poi ancora nel capitolo 16,7 quando ribadisce loro: “è bene per voi che io me ne vada …”; e ancora in 17,28 quando dice: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al padre”; e poi al momento dell’apparizione di Cristo a Maria Maddalena (cf. Gv 20,17), quando le dice: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre”. Pertanto Luca e Giovanni sembrano essere quelli che più di tutti ci offrono la possibilità di comprendere il significato teologico che l’Ascensione ha per la nostra vita spirituale ed ecclesiale.

Nel raccontare questo evento, però, Luca sembra compiere un’evidente incongruenza cronologica: mentre nel Vangelo essa accade nello stesso giorno della risurrezione (cf. Lc 24,50-53) - come per altro, fa lo stesso Giovanni (cf. Gv 20,17), negli Atti accade al termine di un ciclo di apparizione, durato quaranta giorni (cf. At 1,3-11). In realtà si tratta di un pretesto narrativo per attenzionare il lettore sul significato dell’Ascensione. Seguendo la tradizione biblica Luca, infatti, ricorre al valore simbolico del numero 40, per indicare un tempo compiuto, entro il quale Gesù porta a termine il processo di formazione di fede degli apostoli. Egli, infatti, attraverso le “apparizioni” ricapitola il senso salvifico della sua messianicità (cf. Lc 24,27), rivelando loro l’origine della sua vita gloriosa, alla quale promette di renderli partecipi (cf. Gv 14,2-4).


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A rendere ancora più chiaro questo aspetto sembra essere anche l’evangelista Giovanni, per il quale l’Ascensione costituisce la condizione necessaria affinché Gesù invii lo Spirito Santo: “E’ bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore” (Gv 16,7). Il ritiro di Gesù dalla vita del mondo costituisce la condizione per l’avvento dello Spirito. È ritraendosi che lo Spirito dà inizio alla sua opera nella Chiesa e nel mondo. Come non cogliere in questa dinamica spirituale la logica relazionale propria della vita divina, attraverso la quale ciascuna persona non si impone sull’altra, ma la fa essere nascondendosi. Un apparente paradosso, tipico della spiritualità cristiana, secondo la quale si è quando non si è. In altre parole si è pienamente se stessi, quando si smette di imporre il proprio io all’altro. È tipico della vita trinitaria, infatti, manifestare l’identità dell’altro nascondendosi. Pertanto come Cristo si è messo da parte per lasciare operare lo Spirito nella Chiesa, così lo Spirito si nasconde per evidenziare la vita ecclesiale come opera di Cristo. Allo stesso modo anche noi siamo chiamati a tessere le nostre relazioni interpersonali in modo da rivelare il volto di Cristo in mezzo a noi, secondo la logica del “dove due o più sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).

Lungi dunque dal ridursi solo ad un evento della vita di Gesù, l’Ascensione ci rivela il segreto della vita divina, esplicitandoci la dinamica della spiritualità trinitaria, come segreto della vita ecclesiale.

Si capisce allora che “l’ascensione” non fa che evidenziare quel processo di “ascesi” spirituale, o meglio di “divinizzazione”, col quale lo Spirito ci abitua a vivere secondo la vita gloriosa di Cristo, rendendoci partecipi della comunione trinitaria che egli stesso intesse col Padre e con Cristo. A favorire l’immaginazione mistica di questo aspetto contribuiscono anche alcuni episodi biblici, come quello di Enoch: “Enoch piacque al Signore e fu rapito, esempio istruttivo per tutte le generazioni” (Sir 44,16); “Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio” (Eb 11,5). È quello di Elia: “Mentre camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo” (2Re 2,11).

Gli stessi vocaboli usati per descrivere l’Ascensione contribuiscono a chiarirne il significato. I termini che gli evangelisti usano per descriverla, infatti, è quello di “rapimento”: Gesù viene “rapito”, “tolto”, “portato via” dalla nostra esistenza e condotto in alto, nell’esistenza divina, presso la quale egli dimorava prima di incarnarsi. L’Ascensione viene inoltre espressa in termini di “salita”, intesa sia sotto l’aspetto fisico, come nel caso di Mosé che sale sul monte Sinai; sia sotto quello spirituale, come l’ascesi verso il cielo, tipico della tradizione mistica, attraverso la quale è possibile partecipare della pienezza della vita divina, come attesta il brano di Ef 4,9-10: “Cosa significa la parola ‘ascese’, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose”.

È in questa luce che possiamo cogliere la straordinaria bellezza della preghiera di Paolo, formulata nella lettera agli Efesini: “il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati” attraverso la risurrezione di Cristo, facendolo “sedere alla sua destra nei cieli … (e) costituendolo capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose” (cf. Ef 1,17-23).


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L’Ascensione di Gesù diventa allora preludio della nostra divinizzazione, ovvero della nostra trasformazione in nuova creatura, per mezzo dello Spirito (cf. 2Cor 5,17). Essa costituisce per noi un invito a “cercare la vita di lassù (cf. Col 3,1-3), a vivere, cioè, la vita secondo lo Spirito, e ad estenderla a tutti gli ambiti della vita umana: familiare, lavorativa, culturale, politica, artistica ... A partire dall’Ascensione lo Spirito dà origine a quel processo di santità mediante il quale ciascuno di noi viene condotto a partecipare della santità del Padre, che costituisce il principio e il fine della nostra esistenza (cf. Lv 19,2; Mt 5,48). È impregnandoci di questo dinamismo trinitario che possiamo realizzare nel mondo quella vita divina, alla quale allude Cristo col suo comando agli apostoli: “Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19-20).


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