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20 Agosto 2023 - Anno A - XX Domenica del Tempo Ordinario


Is 56, 1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28


L’universalità della salvezza



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“Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donna Cananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio … Ed egli le rispose: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (Mt 15,21-22.26-27).

“Così dice il Signore: Osservate il diritto e la giustizia, perché prossima a venire è la mia salvezza; la mia salvezza sta per rivelarsi. Gli stranieri che … restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e … il mio tempio si chiamerà casa per tutti i popoli” (Is 56,1.6-7).

“Ecco cosa dico a voi, Gentili: (voi che)[1] un tempo siete stati disobbedienti a Dio … ora avete ottenuto misericordia” (Rm 11,13.30).

Quelli appena letti sono i brani biblici che la Chiesa ci propone quest’oggi, per mettere a fuoco il tema il della 20aDomenica del TO, tutto incentrato sull’universalità della salvezza. Così, dopo l’esperienza di fede di Elia e di Pietro, la Liturgia della Parola ce ne offre un’altra in cui la salvezza viene estesa anche ai pagani. In questa ottica se il profeta Elia ci ha insegnato ad essere costantemente aperti alla novità del linguaggio comunicativo di Dio e Pietro a fidarci totalmente della Parola di Cristo, la donna Cananea ci insegna a sviluppare l’atteggiamento dell’insistenza. Ogni esperienza, a suo modo, contribuisce quindi allo sviluppo della fede e al progressivo disvelamento della misericordia di Dio, anche nei confronti di chi nel passato ha avuto modo di tradirla.

Per meglio cogliere il senso di questa universale manifestazione salvifica è opportuno collocare i brani biblici nei rispettivi contesti narrativi, che pur appartenendo a diversi periodi storici, sembrano accomunati da un unico obiettivo: rivelare l’originario disegno salvifico divino a tutti i quei popoli che, malgrado la loro infedeltà, sono destinatari del dono gratuito di Dio. Questo aspetto emerge non senza difficoltà nel brano evangelico di oggi[2], dove il dono della salvezza viene motivato da una questione morale[3], nella quale viene coinvolto direttamente Gesù, che esausto del continuo rifiuto del suo Vangelo, decide di uscire dalla Galilea (cf. Mt 14,34), uno dei suoi abituali luoghi di predicazione, e dirigersi verso nord, nella regione di Tiro e Sidone, per portare la salvezza anche a quei popoli ritenuti tradizionalmente pagani, a causa del loro tradimento dell'originaria fede mosaica. Prima, però, di entrare in questo territorio, una donna Cananea, saputo del suo arrivo, si orienta decisamente verso di lui gridando: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio” (Mt 15,24). Dinanzi a questo sorprendente riconoscimento messianico, reso da una pagana, ci saremmo aspettati una risposta altrettanto riconoscente di Gesù. Invece, egli, con un fare distaccato e freddo, non si degna neppure di “rivolgerle una parola”. Un atteggiamento decisamente insolito questo di Gesù, sempre attento ai suoi interlocutori, che crea non pochi disagi, perfino ai discepoli i quali, sconcertati, lo invitano a ravvedersi: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando” (cf. Mt 15,23). In realtà, come fa notare san Giovanni Crisostomo, questa traduzione non corrisponde alla versione originaria del testo evangelico che presenta, invece, un’espressione tutt’altro che esortativa dei discepoli: “essi, avvicinatisi lo pregavano dicendo: Mandala via! Perché deve urlarci dietro?”[4]. Si tratta di una versione che potrebbe scandalizzare qualcuno, per via dell’evidente discriminazione manifestata dagli apostoli. Ma essa è perfettamente in linea con la mentalità e le scelte apostoliche di allora che, condizionate dai pregiudizi religiosi, vedevano l’apertura della salvezza ai pagani ancora con diffidenza e sospetto[5]. Lo stesso Gesù, a giudicare dalla risposta che dà ai discepoli, sembra lasciar trapelare questa mentalità: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 15,24). Un’affermazione apparentemente esclusivista, ma che in realtà rivela lo scopo originario della sua missione. Chi sono infatti gli abitanti della regione di Tiro e Sidone, verso i quali Gesù sta portando la salvezza, se non “le pecore perdute della casa d’Israele”? L’espressione, infatti, fa luce su un’antica discriminazione religiosa e culturale che risale ai tempi in cui il regno d’Israele fu diviso in due: il regno del nord che aveva per capitale Samaria, e quello del sud che aveva per capitale Gerusalemme. Mentre quest’ultimo era rimasto fedele al culto Jahvista, quello del nord, di cui faceva parte la donna, si era dato al politeismo, tipico del culto cananeo. Lontani dalla tradizione mosaica questi popoli venivano considerati pagani, e perciò esclusi dalla salvezza. Malgrado tutto Gesù rompe con questa mentalità e decide di riportare questi popoli nell’originario recinto del Regno di Dio, allo stesso modo del pastore che va alla ricerca della pecora perduta (cf. Lc 15,4-7). Ma evidentemente quest’intenzione di Gesù non basta a chiarire la questione e la donna, sentendosi discriminata dalla sua affermazione, torna alla carica con un’ulteriore richiesta: “Signore, aiutami!” (Mt 15,25). Ma anche in questo caso, Gesù replica con un’affermazione che sembra precluderle ogni speranza: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”. Una dichiarazione senza dubbio sprezzante, dinanzi alla quale chiunque rimarrebbe letteralmente basito. Apostrofare come “cane” una persona significava qualificarla come traditore e infedele. E cosa c'è di più offensivo che rinvangare un passato non certo glorioso. Ma quando tutto sembra essere precluso la donna, con un’intuizione straordinaria che lascia riaffiorare le sue antiche origini religiose, replica: “È vero, Signore, … ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (Mt 15,27). Come a dire: abbiamo sì tradito le nostre origini religiose, ma ora lasciaci ritornare all’ovile. Non permetterci di essere esclusi dalla tua salvezza. Una risposta della quale lo stesso Gesù rimane sorpreso e pieno di ammirazione dice: “Donna, davvero grande è la tua fede. Ti sia fatto come desideri. E in quell’istante sua figlia fu guarita” (Mt 15,28).

Come non rileggere questo episodio alla luce della parabola della vedova molesta (cf. Lc 18, 1-8) che malgrado le resistenze del giudice non si arrende all’idea di rimanere vittima dei suoi pregiudizi e convinta di ottenere giustizia, si appella alla sua tolleranza come estrema soluzione della sua causa. Allo stesso modo la Cananea manifesta una tale fermezza e decisione da perseverare nella fede anche quando sembra essere lo stesso messia a precluderle la salvezza.

Questa della Cananea è certamente un'esperienza in cui la fede viene messa a dura prova, e a farlo non sono le circostanze accidentali come la persecuzione per Elia, o la tempesta per Pietro, ma lo stesso Cristo, il quale appare circoscritto all'interno di una mentalità religiosa e condizionato da un linguaggio morale che sembra contraddire la sua intenzione salvifica. Si tratta di situazioni difficili nelle quali prendiamo atto di una serie di pregiudizi religiosi e morali che ci appaiono così radicati nella nostra cultura, da condizionare la nostra visione reale di Dio e la prassi quotidiana della fede. Le loro radici sono così ataviche da averne perso la memoria. Eppure operano tacitamente dentro di noi, da limitare o ostacolare perfino l’azione dello Spirito. Per dominarli non basta prenderne atto, occorre una vera è propria conversione mentale, della quale sembra dare prova la donna Cananea. Ella ha il coraggio di riconoscerli, definirli e sfatarli e farlo in modo tale da sorprendere lo stesso Gesù, il quale non può fare a meno di ammirarla. La circostanza offre a Gesù l'occasione per manifestare la salvezza di Dio, esattamente come aveva previsto il profeta Isaia: “la mia salvezza sta per venire” (Is 56, 1). Malgrado la disobbedienza del suo popolo, Dio non esita, perciò, come dirà san Paolo: “a essere misericordioso verso tutti” (Rm 11,32).

Al termine di questa riflessione viene da chiedersi: come ci saremmo comportati al posto della Cananèa, qualora Gesù avesse manifestato la stessa durezza anche con noi? Avremmo avuto il coraggio di insistere nella nostra richiesta?L’episodio ci dà modo, allora, di verificare se anche noi siamo in grado di sfatare i nostri pregiudizi religiosi e morali. Essi operano dentro di noi più di quanto pensiamo. Occorre veramente un serio discernimento per imparare a riconoscerli, così da ridurre i loro condizionamenti e soprattutto per imparare a perseverare nella fede anche quando è Dio stesso ad apparirci sordo e silenzioso o, come in questo caso, la salvezza sembra esserci preclusa dallo stesso Gesù. E’ a queste condizioni che la fede cresce i noi e con essa la possibilità, come dice Pietro nella sua lettera, di “conseguire la sua meta, cioè la salvezza” (1Pt 1,9).



[1]Il corsivo tra parentesi è mio.

[2]Il testo, infatti, si presenta piuttosto complesso, perché la di là della semplicità narrativa, rivela una stratificazione culturale carica di pregiudizi religiosi che non è facile districare, dal momento che i personaggi di questo racconto, come la donna, gli apostoli e lo stesso Gesù, sembrano esserne impregnati. Anche l’evangelista pare faticare non poco a registrare l’episodio, lasciando emergere una questione non ancora del tutto risolta all’epoca in cui scrive il suo racconto.

[3]Si tratta della questione relativa al puro e all’impuro, sviluppatesi a seguito della trasgressione, da parte dei discepoli, delle norme legali sul lavaggio delle stoviglie (cf Mt 15,1ss) e del cibo (cf. Mt 15, 10ss), sulla quale Gesù manifesta un evidente contrasto nei confronti delle autorità religiose, più preoccupate di osservare pedissequamente le tradizioni culturali che non di piegare il proprio cuore alla volontà di Dio, considerato da Gesù come l’istanza religiosa più autentica del culto divino.

[4]Cf. M. Galizzi, Vangelo secondo Matteo. Commento esegetico-spirituale, EDC, Torino 1995, 276. [5]Si capisce la grande difficoltà che la Chiesa apostolica ha avuto nell’affrontare una simile questione. Lo stesso Paolo faticherà non poco a spiegare che la salvezza dei pagani rientra nel piano originario di Dio.

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