19 Dicembre 2021 - Anno C - IV Domenica di Avvento
- don luigi
- 18 dic 2021
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 19 dic 2021
Mi 5,1-4a; Sal 79/80; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45
Maria e Elisabetta: la condivisione della fede

“…Appena Elisabetta udì il saluto di Maria … fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: benedetta tu … e il frutto del tuo grembo. A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me? … E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,41-45).
Non sappiamo se l’evangelista Luca nel raccontare questo episodio abbia descritto esattamente come siano andate le cose in quel momento, e se abbia attinto o meno direttamente da Maria o dalla tradizione orale questi fatti, ma la sobrietà del linguaggio e l’essenzialità del messaggio ci autorizzano a credere che esso è certamente ispirato. Ogni versetto è una miniera di significati che necessitano di essere scandagliati e contemplati. Un’operazione, purtroppo, alla quale non siamo affatto educati, ma di cui, oggi, più che mai, si avverte l’urgenza. Diversamente, siamo così abituati a sentire queste parole che diamo fin troppo per scontato il loro significato che, in realtà, scontato non è. Basterebbe calarsi per un attimo nella scena ed immaginarsi al posto delle protagoniste di questo episodio, per capire la fatica che esse hanno fatto nell’interpretare quanto di nuovo e sconvolgente stava accadendo nella loro vita. Per noi che siamo eredi di una certa tradizione ecclesiale, sembra fin troppo normale la fede di Maria ed Elisabetta, ma per chi, come loro, non disponeva ancora della conoscenza del piano salvifico che la Chiesa ha poi dischiuso a noi, durante questi secoli di approfondimento teologico, allora la loro fede ci appare uno slancio profetico ardito e lungimirante. Uno sguardo profetico, quindi, tipico di chi, come Maria e Elisabetta, si lasciano sconvolgere la vita dall’azione di Dio, è ciò che occorre, oggi, per uscire dal ritmo vorticoso, assordante e stordente della nostra quotidianità, al quale spesso ci abbandoniamo, pur di sfuggire a quella sottile e misteriosa voce dello Spirito che ancora, oggi, chiede a ciascuno di divenire protagonista della storia della salvezza. Vi invito perciò passare in rassegna e a meditare attentamente tutte le parole che Luca pone sulla bocca di Elisabetta, protagonista indiscussa di questa scena, al punto da lasciare nel totale silenzio Maria. Nel meditare vi suggerisco di lasciarvi condurre dallo stesso Spirito che ha portato Luca ad interpretare questi fatti e a raccontarli in questo modo, così semplice da apparire una parabola, ma così profondi, da risultare determinati per un’autentica testimonianza di fede. Lo Spirito, come fa Maria in questo brano, opera sempre senza proferire parole, le suscita rimanendo nel silenzio. Solo chi è attento alla sua dinamica relazionale è capace di ricondurle alla loro sorgente ispirativa.
Allora proviamo a rileggere con calma il testo e a cogliere i grandi temi teologici che Luca ci trasmette attraverso questo suo stile narrativo, essenziale e comunicativo, da renderli come naturali, anzi direi da farli passare quasi inosservati. Lo facciamo con qualche domanda, con l’intento di destare la nostra attenzione. Con quale carica spirituale Maria giunse dalla cugina, al punto da farle sussultare il figlio nel grembo? È interessante notare che Maria nel sopraggiungere dalla cugina opera una sorta di travaso spirituale: quello Spirito di cui fu colmata al momento dell’Annuncio ora è lei a riversarlo tutto in Elisabetta. Anche la cugina diventa come lei: colma di Spirito Santo. Di cosa era impregnato quel suo saluto che portò Elisabetta a riconoscere immediatamente Maria e il frutto del suo grembo, come le più benedette tra tutte le creature? Quale straordinaria intuizione spirituale le suggerì lo Spirito da riconoscere Maria come la madre del suo Signore? Nell’incontrare Maria Elisabetta la considera beata, tuttavia non dice: beata te che sei stata scelta per diventare madre del Signore, ma beata te che hai creduto. Maria è beata per aver creduto alla promessa che il Signore le aveva fatto attraverso l’Angelo. Con questa sua acuta osservazione Elisabetta fa luce sul modo autentico e fecondo con cui Maria vive in attesa che la promessa giunga al suo compimento.
Sono questi i contenuti che dovremmo imparare a custodire e sui quali svolgere la nostra meditazione, se intendiamo seriamente dare senso all’attesa che abbiamo vissuto durante questo periodo di Avvento e farla sfociare nell’evento dell’Incarnazione che stiamo per celebrare. Domenica scorsa abbiamo qualificato Maria come donna dell’attesa, quest’oggi invece la riconosciamo come donna del compimento. Maria ci insegna la via per portare a compimento il cammino di Avvento. Essa ci rivela il segreto per compiere le promesse di Dio. Questi contenuti che Luca ci porta a conoscenza col suo breve racconto, non ci dicono solo la straordinaria esperienza di fede di Elisabetta, ma disegnano anche il cammino e la dinamica della fede che anche noi siamo chiamati a seguire. Lasciamoci perciò condurre dal suo racconto per capire in che termini possiamo tradurlo nel nostro vissuto quotidiano.
Significativi non sono solo i contenuti, ma anche gli elementi con cui Luca struttura il suo racconto. “In quei giorni”, per esempio, non è solo un generico espediente narrativo, come di solito siamo abituati a considerarlo all’inizio di ogni brano evangelico, ma anche un dato storico. Di quali giorni si tratta? Dei giorni dell’Annuncio, quelli che avevano determinato la radicale svolta nella vita di Maria. Dall’Annuncio dell’Angelo Maria si era sentita catapultata all’interno di una nuova relazione con Dio. Una relazione senza precedenti nella storia, che lei non osava neppure immaginare.
“Si alzò”. Come faceva Luca a sapere se Maria si alzò? Evidentemente egli vuole tratteggiare simbolicamente un atteggiamento di fede. L’atto di alzarsi in questo caso diventa il modo con cui Maria passa da una fede personale, più a carattere contemplativo ad una fede relazionale, più a carattere attivo. Lei è animata dalla volontà di comunicare la sua fede.
“Andò in fretta”. La modalità con cui Luca descrive questa scena ci dà l’idea che la casa della cugina Elisabetta sia accanto a quella di Maria o per lo meno nello stesso villaggio. In realtà tra il paese di Maria Nazaret e quello di Elisabetta Ain Karim ci sono circa 150 km. Quanto ci vuole a percorrere una simile distanza a piedi? Se consideriamo che una persona normale compie tra i 25 e 30 km al giorno, Maria, con le sue condizioni, e in territorio montuoso, avrà impiegato almeno una settimana. Ma la distanza non era certamente l’unico problema che Maria dovette risolvere durante quel viaggio: gli alloggi, il cibo, la stanchezza, il sudore, la possibilità di lavarsi per rinfrescarsi, sono tutte cose che l’evangelista fa passare in secondo piano, ma che per noi diventerebbero un problema non indifferente. Quanti di noi, per esempio, sarebbero disposti a sottoporsi ad un simile sforzo, solo per andare a raccontare la propria esperienza di fede? Pensiamo alla fatica che facciamo nel comunicarla già a chi ci sta vicino. Ma perché Luca ci dice che andò in fretta? A cosa allude la fretta? Più che con fretta il termine greco che viene usato in questo caso dovrebbe essere tradotto con zelo. In questo senso veniamo portati a immaginare che Maria si mosse con “fervore”, “passione”, che costituiscono i moti che lo Spirito suscita in noi quando veniamo coinvolti dalla sua azione. In altre parola Maria è presa dal desiderio struggente di comunicare quella che stava accadendo in lei. Ma anche per verificare concretamente le parole dell’Angelo: “Vedi anche Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio” (Lc 1,36).
Perché va da Elisabetta e non dalla madre o dal padre? E cosa va a comunicarle? Maria vive un momento straordinariamente intenso e fecondo a livello spirituale, ma è attraversata anche da una serie di pensieri che le turbano il cuore e ai quali non sa e non riesce ancora a dare un senso: quello strano e misterioso concepimento; la reazione e l’incomprensione di Giuseppe; le dicerie della gente sul suo presunto adulterio, l’incognita sul suo futuro di sposa. Erano tutti pensieri che le stavano spaccando il cuore e lacerando lo spirito. Chi avrebbe potuto comprendere una simile situazione? A chi poteva comunicarla senza correre il rischio di essere fraintesa o travista? A chi se non Elisabetta. Entrambe stavano facendo una esperienza di fede che aveva non solo dell’inverosimile, ma perfino dell’assurdo. Come non vedere in questa breve comunione d’anima l’origine del mandato missionario. Come non vedere il primissimo annuncio evangelico. Prima ancora che il figlio inviasse i suoi apostoli, lei fu inviata dallo Spirito. Come non vedere in questa condivisione la condizione fondamentale della fede? San Giovanni Paolo II amava ripetere che la fede cresce donandola o, se vogliamo, condividendola. La condivisione è l’unica vera terapia per sconfiggere quest’attuale tendenza a privatizzare o, passatemi il termine, a intimizzare, che non significa certamente interiorizzare, ma ridurla ad un fatto individuale, priva, cioè, di qualsiasi dimensione sociale e relazionale. Senza la condivisione anche la più bella e profonda esperienza spirituale è destinata ad esaurirsi e a svanire.
Quale messaggio racchiude questo episodio per la nostra fede in questo periodo di Avvento? Per rispondere a questa domanda ci rifacciamo al brano del profeta Michea che nel versetto introduttivo dice: “E tu Betlemme … così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me (il Messia). È lo stesso che dire: “e tu Maria così piccola tra tutte le donne, da te uscirà il Figlio di Dio”. Basterebbe sostituire il nome di Maria con quello di ciascuno di noi, per vedere adattata anche a noi, oggi, questa profezia. Dio si rivolge sempre a chi è apparentemente piccolo e insignificante agli occhi di tanti. La logica che Dio usa nello scegliere le persone è tutta descritta nella parabola del granello di senape e del chicco di grano. Dio continua ancora oggi a seguire questa logica, con noi e con tutti quelli che come Maria si ritengono troppo piccoli per tale compito.
Ma ancora più importante dell’annuncio sono le parole che Elisabetta dice a Maria: beata te che hai creduto alle parole dell’angelo. Ogni annuncio, ogni promessa che Dio rivolge a ciascuno di noi necessita la nostra fiducia, la nostra piena adesione. Senza il coraggio di credere in quello che avviene in noi quando, nelle circostanze gratuite della vita veniamo visitati dallo Spirito, è difficile che il suo disegno si realizzi, qualunque esso sia. Occorre che ciascuno riscopri la beatitudine di Maria. Credere è l’atto fondativo che rende possibile ogni forma di maternità e paternità spirituale.
Ma qual è il disegno che Dio ci chiede di realizzare? Il fine, lo scopo ultimo della nostra vita, come esplicita in modo eloquente l’autore della lettera agli Ebrei, non sta nel realizzare i progetti pastorali, non sta nell’organizzare occasionali cenoni per i poveri, non sta nelle generose donazioni economiche che molto spesso in questo periodo vengono elargite forzando i buoni sentimenti, e neppure nei sacrifici che siamo disposti a compiere a livello religioso, ma solo nel fare la volontà di Dio. Gesù è perfettamente convinto di ciò, da fare sue le parole del Sal 40: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né oblazioni per il peccato. Allora io ho detto: Ecco io vengo o Dio per fare la tua volontà”. Questo l’unico modo per portare a compimento la nostra attesa.




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