18 Febbraio 2024 - Anno B - I Domenica di Quaresima
- don luigi
- 17 feb 2024
- Tempo di lettura: 7 min
Gen 9,8-15; Sal 24/25; 1Pt 3,18-22: Mc 1,12-15
La necessità della prova

“Subito dopo il battesimo lo Spirito sospinse Gesù nel deserto, dove rimase quaranta giorni, tentato da Satana” (Mc 1,12-13).
Questo breve quanto concentrato episodio evangelico ci consente di individuare subito il tema della prima domenica di Quaresima, tutto incentrato sulla tentazione, alla quale Gesù stesso, stando all’evangelista Marco, fu sottoposto prima di dare inizio alla sua predicazione; il cui scopo, come ci ricorda sempre Marco, era: “convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). La sequenza cronologica di questi due episodi sembra voler dirci che non c’è conversionese non passando attraverso la tentazione. Pertanto se la conversione, come abbiamo visto mercoledì scorso, traccia l’intero cammino quaresimale, la tentazione costituisce la condizione per portarlo a termine. “Figlio se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione”, dice l’autore del libro del Siracide 2,1. Nessuna conversione, dunque, è possibile senza imparare a conoscere la forma e a dominare la dinamica con cui la tentazione si presenta nella nostra vita.
Il brano della Genesi 9,8-15, parla della conversione in termini di alleanza. Essa consiste in un nuovo stile di vita al quale Dio invita Noè, in un contesto in cui l’umanità verte in una grave situazione morale e sociale, fortemente condizionata dal peccato, come lascia intendere il capitolo 6° della Genesi, dove vengono descritte le ragioni del diluvio[1]. Si tratta di una vita nuova che Dio suscita in lui attraverso un’intuizione spirituale – colta al momento della chiamata – che gli consente di risignificare e riorientare la sua esistenza. La storia di Noè diventa così prefigurativa del nostro cammino di conversione: anche noi, come lui, siamo chiamati ad una nuova mentalità e a un nuovo stile di vita. Questa vita, tuttavia, prende realmente corpo nella misura in cui impariamo a superare le diverse prove o tentazioni che inevitabilmente si presentano davanti a noi. Esse possono sviluppare o, al contrario, rallentare, ostacolare e perfino impedire lo sviluppo della conversione. Tutto dipende dal modo con cui esse vengono interpretate e vissute.
Nell’immaginario collettivo la tentazione viene solitamente attribuita a Satana. In realtà non mancano le testimonianze bibliche che la fanno risalire a Dio, come attesta, per esempio, il libro di Giobbe, dove Dio stesso lascia che Satana metta alla prova Giobbe (cf. Gb 1,7-12). Oppure il libro del Deuteronomio, dove Mosè ricorda al popolo d’Israele le ragioni per cui è stato sottoposto alla prolungata prova del deserto: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi … Egli ti ha umiliato, ti ha fatto patire la fame … per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore. Ricordati dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te” (Dt 8,2-5). Anche la precedente traduzione della preghiera del Padre nostro sembrava ribadire questo aspetto, dove, riferendosi a Dio, Gesù diceva: “E non ci indurre in tentazione”. In tutti questi casi la tentazione viene considerata come momento di prova, alla quale Dio stesso sottopone i suoi figli. Anche i brani della lettera agli Ebrei 2,17-18; 11,17; 12,1-12; della prima lettera di Pietro 1,6-9; e della lettera di Giacomo 1,2-12, sembrano muoversi in questa direzione. Stando a questa interpretazione si capisce allora che tentare significa verificare, tastare, provare la consistenza della nostra fedeltà a Dio e alla promessa che lui ci chiama a realizzare. Più che schivarla occorre accoglierla, attraversarla e superarla. La vittoria non è né prima, né durante, ma oltre la tentazione.
La principale forma di tentazione alla quale viene sottoposto chi decide di intraprendere il cammino di conversione è senza dubbio lo scetticismo, che consiste nell’assumere un atteggiamento di costante incredulità nei confronti di Dio. Lo scetticismo è indice di un cuore indurito che difficilmente si predispone all’ascolto, determinando una paradossale situazione nei confronti di Dio: l’uomo da tentato diventa tentatore, chiedendo continuamente a Dio di dare prova della sua divinità (cf. Dt 6,16). Durante l’esperienza dell’Esodo Dio rileva costantemente questo atteggiamento nei figli d’Israele (cf. Es 17,1-7), tanto da essere definito come un “popolo di dura cervice” (cf. Es 32,9). Nonostante le sue opere Dio si sente costantemente messo alla prova: “Il Signore è presente in mezzo a noi si o no?“ (Es 17,8). La lettera agli Ebrei 3,7-19, ci offre un’interessante interpretazione cristologica di questo atteggiamento.
La tentazione riguarda tutti, nessuno escluso, come ci ricorda la lettura breve delle lodi di lunedì della IV settimana del Salterio del Tempo Ordinario: “Ricordatevi che i vostri padri furono messi alla prova per vedere se davvero temevano il loro Dio. Ricordate come fu tentato nostro padre Abramo e come proprio attraverso molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati con molte tribolazioni e si mantennero fedeli” (Gdt 8,26; volg. 21b-23).
Anche Gesù viene sottoposto a questo genere di prova. Tutti gli evangelisti, infatti, tranne Giovanni, ci riportano l’episodio delle sue tentazioni (cf. Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13). Tra i Sinottici Marco è il più breve. Egli si limita a dire solo che Gesù: “Subito dopo (il Battesimo), fu sospinto dallo Spirito nel deserto e vi rimase per quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano” (Mc 1,12-13). Matteo e Luca si prestano ad un commento più articolato ed esteso dell’episodio, descrivendoci anche le tentazioni alle quali fu sottoposto Gesù. Ad ogni modo esse sono tutte relative all’identità divina della sua persona e della sua missione. Nel deserto Gesù viene chiamato in primo luogo a scegliere la logica rivelativa della sua identità messianica. Perciò a lui viene chiesto di avere una metodologia manifestativa che fosse coerente col messaggio evangelico. San Paolo nella sua lettera ai Filippesi 2,5-11, ci offre un’interessante chiave di lettura, in merito a questo aspetto. Egli ci dice che Gesù incarnandosi si è svuotato della sua divinità. Con questa scelta ha deciso di rinunciare a tutte le forme di potere politico, religioso, culturale, economico. Pur essendo Dio ha vissuto il suo cammino di fede senza fare appello a nessun potere, neppure a quello divino, ma solo alla preghiera. Pur potendo ha scelto di rinunciare a quelle forme di dominio sulle persone e sul mondo, per seguire la via dell’obbedienza al Padre, sottomettendosi perfino all’ingiustizia, alla violenza e alla morte di croce. Dalla testimonianza di Gesù comprendiamo che le tentazioni non sono mai generiche, ma strettamente personali: esse hanno sempre a che fare con le scelte di vita di ciascuno. Se qualcuno, per esempio, decide di fare digiuno, la tentazione più frequente per lui, sarà la fame. Se invece deciderà di credere la tentazione si manifesterà sotto forma di dubbi, incertezze, confusioni mentali. Più ferma è la sua decisione, più insidiosa e serpentina sarà la tentazione. Vissuta come prova la tentazione offrirà la possibilità di verificare la fortezza o la fragilità del tentato. Per vincerla non basta la tenacia, ma occorre la grazia. Gesù non vince in virtù della sua divinità, ma abbandonandosi totalmente al Padre, dal quale attinge la forza per perseverare nella prova e vincere le forze occulte del nemico. In tutte e tre le tentazioni egli risponde alle insidie di Satana con la parola della Scrittura (cf. Mt 4,4.6.7; Lc 4,4.8.12). La lotta che siamo chiamati ad intraprendere, dunque, è di tipo spirituale. Pertanto solo chi impara a confidare nello Spirito ha la possibilità di dominare in lui le forze del maligno. Questi è più grande di noi, ma non di Dio. Occorre dunque lasciare spazio all’azione dello Spirito in noi. E la condizione per farlo è la fede: “Questa è la vittoria che sconfigge il mondo: la nostra fede. Chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1Gv 5,4-5). “Ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Chi confida in Cristo vince il maligno, lui infatti vince le forze malefiche con cui egli esercita il suo potere nel mondo.
La fede in Cristo tuttavia non esclude l’impegno personale. Essa non ci deresponsabilizza, al punto da delegare tutto a Dio la vittoria sul male. Al contrario ci impegna in una lotta senza tregua. Quando una persona decide fermamente di rimanere fedele alla propria scelta di vita, qualunque sia lo stato o l’ambito al quale appartiene, il nemico fa di tutto per farlo distogliere dal suo proposito, generando una lacerante tensione interiore, con domande o considerazioni del tipo: sarò in grado di sopportare la sfida? Forse non sono adatto a questo tipo di lotta. In fondo ho sempre perso. A che serve ricominciare se poi mi ritrovo sempre nella stessa situazione di partenza? Non è meglio cedere subito, così evito un’inutile lotta? Così recita un aforisma che viene attribuito a Oscar Wilde: “L’unico modo per liberarsi subito di una tentazione è cedervi”. Questo modo di procedere però evidenzia che il cammino spirituale è ancora fortemente incentrato sul nostro io. Il nemico tenta di farci credere che tutto dipende da noi, dalla nostra volontà. In realtà proprio qui si nasconde l’insidia. La volontà del nostro io, infatti, è fortemente condizionata dalle trame perfide e perverse del maligno. Essa dipende dalla natura umana corrotta dal peccato. Pertanto finché essa non è trasfigurata dalla grazia, costituisce una leva della quale non è opportuno fidarci. L’esercizio delle stesse virtù necessita di giungere dunque all’equilibrio che sant’Ignazio di Loyola esprime molto bene in una sua massima: “Prega come se tutto dipendesse da Dio, agisci come se tutto dipendesse da te”. La conversione è perciò una sinergia che scaturisce dall’attività del nostro spirito e dello Spirito di Dio dentro di noi. Non spaventiamoci dunque quando anche per noi arriva il momento della prova, qualunque sia la forma con la quale si presenta: quella della sconfitta, dell’abbandono, della malattia ... Essa serve a verificare la consistenza della nostra fede.
Preghiamo allora affinché anche a noi Gesù dica: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove” (Lc 22,28). Cos’è la Pasqua alla quale siamo orientati se non la vittoria che in Cristo otteniamo sulla nostra tentazione. Quella prova che può apparirci come la fine della nostra vita, come può essere il diluvio, vissuta nella fede in Dio, può rivelarsi invece come l’occasione per una nuova alleanza con Dio; luogo di rinascita per noi e per il mondo. Essa – come dice san Pietro – diventa “immagine del battesimo”, inizio di una nuova vita, “in virtù della risurrezione di Gesù Cristo” (1Pt 3,21).
[1] Il diluvio anche se appare come una sorta di punizione divina, in realtà è una conseguenza estrema di uno stile di vita condizionato dalla logica del peccato assunto dall’umanità intera. La lettura che l’autore del libro della Genesi fa di questo evento è simile a quella di tanti nostri scienziati, quando descrivono il disastro ambientale a cui l’umanità sta andando incontro a causa del rapporto egoistico che ha stabilito con l’ambiente. Nel caso del diluvio l’autore interpreta l’evento in chiave teologica, lasciando intravedere la possibilità di una nuova vita. Esso diventa così simbolo del battesimo col quale Dio purifica non solo l’umanità, ma l’intero creato. Il che significa che anche le situazioni più disastrose e incresciose possono diventare motivo di rinnovamento, quando sono pervase dalla forza trasfigurativa dello Spirito di Dio.




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