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18 Aprile 2021 - III Domenica di Pasqua Anno B

Aggiornamento: 3 gen 2022


At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48


Verso un’intelligenza pasquale


"A scanso di ogni equivoco, prima di addentrarci nel commento di questo metodo, vi invito a sgomberare il campo da quell’approccio gnostico che, in diverse circostanze della storia, ha portato e porta a considerare la fede come una sorta di ‘conoscenza segreta’, riservata solo a pochi eletti, facendo così dipendere la salvezza dalle qualità intellettive e speculative delle persone, piuttosto che dall’eccedenza dell’amore misericordioso di Dio. La nostra fede necessita di essere praticata tanto quanto compresa. Esperienza e comprensione vanno di pari passo. Esse sono complementari: l’una va integrata con l’altra ed esplicitata dall’altra. La salvezza che la fede propone ci coinvolge personalmente e in modo integrale, sia sotto l’aspetto agapico, sia sotto l’aspetto cognitivo. Non basta praticare l’amore evangelico che essa propone, occorre anche comprenderne il senso. D’altra parte, non basta limitarsi a speculare teologicamente sulla salvezza, ma è necessario anche esperirla nel vissuto dell’amore reciproco. È nell’equilibrio dell’una e dell’altra attività che possiamo prendere atto della potenza salvifica del Vangelo.

A mo’ di introduzione vi ribadisco l’utilità di rileggere ancora una volta i “racconti delle apparizioni”[1], evidenziando, però, in questo caso, tutte quelle circostanze in cui Gesù favorisce nei discepoli lo sviluppo dell’intelligenza delle Scritture, inducendoli a scendere più in profondità nel senso degli eventi pasquali, da poco sperimentati. Questo tipo di lettura vi impegnerà a cogliere tra le righe anche il non detto, trovando i collegamenti con altri brani simili, in cui Gesù appare nelle vesti di docente. Insegnare è un’arte che ciascun cristiano dovrebbe acquisire, se intende ereditare e trasmettere fedelmente il Vangelo in tutta la sua freschezza originaria, alle nuove generazioni. Essa coinvolge non solo il docente, ma anche il discente. Docente non è non solo chi dispone di un bagaglio culturale, ma anche della capacità di trasmetterlo agli altri. Così, se spiegare, insegnare, comunicare, trasmettere costituiscono le principali attività del docente; ascoltare, intuire, comprendere, dire sono quelle che impegnano il discente, ovvero colui che cerca, in tutti i modi, di ereditare e fare sua la sapienza del maestro. Quest’arte comunicativa e ricettiva ha garantito la trasmissione fedele e autentica del deposito della fede cristiana, nel corso della storia, da una generazione all’altra. Si capisce perciò quanto per Gesù fosse importante che gli apostoli capissero il contenuto della sua rivelazione.

Ma cos’è che i discepoli tardavano a comprendere? Perché tale contenuto risultava così ostico alla loro intelligenza? Come mai essi riscontravano così tanta resistenza? La risposta a queste domande ci porta direttamente al “mistero della fede”, e ci fa capire la ragione per cui esso risulti duro, ancora oggi, anche alla nostra intelligenza. La resistenza è sintomo del peccato ancora vivo negli apostoli, allora, come in noi, oggi. Esso genera nel cuore di ciascuno quel senso di ribellione che induce a rifiutare la relazione con Dio. Ed è appunto questo atteggiamento ostile che rende ostico l’insegnamento di Gesù sulla sua “passione e morte” (cf. Mc 8,31-32) e soprattutto alla comprensione del loro valore salvifico, come si evince dal suo insegnamento: “Così sta scritto: “Il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (Lc 24,46-47). Gesù invita i suoi discepoli a concentrare la loro attenzione non solo sulla sua passione e morte, ma persino sulla necessità di questo percorso: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse tutte queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (cf. Lc 24,25-26). La mancata comprensione della croce è all’origine della loro resistenza, durezza, paura e scetticismo (cf. Lc 24, 11.22-24.38; Gv 20,19). Ed è interessante osservare come Gesù, per aiutarli a superare questo loro limite, leghi la sua attività di docente, al gesto di “mostrare loro le mani e il costato” (cf. Lc 24,39-40) e al suo saluto: “Pace a voi” (Lc 20,36). Si tratta di un gesto e di un saluto che Gesù ripete spesso durante le apparizioni, specie verso gli apostoli (Lc 24,36.39-41; Gv 20,19-21). Sembra, dunque, che Gesù in qualità di maestro, abbia individuato il punto nevralgico della loro intelligenza, il limite, il gap che impediva loro di compiere l’ultima tappa del cammino di conversione. E questo consisteva nel far comprendere la croce come l’unica chiave di lettura per accedere al mistero della sua identità messianica. La croce è lo scoglio contro il quale s’infrange costantemente la nostra ragione. Essa impediva loro di rileggere la Scrittura alla luce degli eventi della “Passione, morte e Risurrezione” di Cristo e comprendere tali eventi come il compimento delle Scritture. È quando colgono il nesso tra ciò che dice la Scrittura, in merito al Messia e alla sua missione salvifica (cf. Is 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12; Is 61,1-2; Sof 2,3), e ciò che Cristo ha detto e fatto (cf. Lc 9,21-27. 43-45; 13,31-35 e //) che la loro intelligenza si illumina, dischiudendo il mistero della fede.

Quella che Gesù fa compiere ai discepoli non è solo un’operazione intellettiva, ma un’esperienza integrale, che li coinvolge anche spiritualmente e affettivamente. Essa suscita, infatti una profonda pacificazione interiore, unita ad un’indescrivibile gioia e stupore (cf. Lc 20,20). Esse sono così profonde che gli apostoli, pur gettando lo sguardo nel mistero (intus legere = leggere dentro), ancora faticavano a credere, a motivo proprio della grande gioia e dello stupore (cf. Lc 24,41). Un’esperienza questa che ci rimanda immediatamente a quella dei due discepoli di Emmaus. Anche i loro occhi si aprirono e lo riconobbero nello spezzare il pane (cf. Lc 24, 30-31), e anche ad essi ardeva il cuore nel petto mentre Gesù conversava con loro lungo il cammino, quando spiegava le Scritture (Lc 24,32). L’evangelista Luca ci descrive un’esperienza assai simile anche nel libro degli Atti quando, a seguito del discorso di Pietro, gli astanti si sentirono trafiggere il cuore (cf. At 2,37), tanto profonda era la trasformazione operata dalla Parola. Nel rivelare la sua identità Gesù partecipa agli apostoli la potenza trasfigurativa della Parola di Dio. Come Gesù, anche Pietro, perciò suscita negli ascoltatori la salvezza, convertendoli alla vita evangelica (cf At 2,37-41; Lc 24,33-35).

Ma cosa comporta nei discepoli questa rinnovata comprensione del mistero di Cristo? Essa si traduce in un cambiamento di mentalità che consiste nel passaggio da una comprensione tradizionalmente politica del Messia ad una essenzialmente teologica e spirituale. E lo fa aiutandoli a capire il modo con cui la Legge, i Salmi e i Profeti tracciano il suo profilo nel corso della storia. Questa capacità di Gesù di insegnare, spiegare e far comprendere gli eventi decisivi, le persone, i testimoni che nel corso della storia si sono fatti interpreti della salvezza di Dio e del suo Messia, esplicita il suo metodo rivelativo. L’insegnamento di Gesù, infatti, non riguarda l’evento della risurrezione in sé, che rimane avvolto dal mistero: egli non dice nulla di questa sua esperienza personale, del modo con cui è avvenuto il passaggio dal regno dei morti alla vita eterna, ma concentra tutta l’attenzione sul modo con cui egli porta a compimento le Scritture e sulla valenza salvifica della sua missione (cf. Lc 24,27). Egli insegna non a ricordare il passato, ma facendo fare loro memoria, che significa rivivere nell’oggi gli eventi originari e fondativi della fede, in vista del loro compimento escatologico.

Insegnare nel senso etimologico del termine, significa incidere, imprimere, fare dei segni nella mente. Nello specifico cristiano questi segni sono costituiti dagli eventi salvifici e si incidono in noi nella misura in cui ne facciamo esperienza. Tuttavia non basta farne esperienza. Essi necessitano anche di essere spiegati e compresi. È attraverso queste operazioni che si sviluppa l’intelligenza delle Scritture. Essa non differisce dal normale percorso intellettivo della mente, ma accade grazie alla luce particolare che proviene dallo Spirito di Dio, il quale ci rivela le origini della vita divina di Cristo e quindi l’autenticità della sua missione salvifica. Tale luce permette di rileggere e interpretare la passione e morte di Cristo non come la fine di una vicenda storica, ma come la condizione di una nuova vita in lui.

Attraverso di essa anche noi, sollecitati dallo stesso Spirito, compiamo la stessa operazione d’intelligenza dei discepoli. Come a loro anche a noi lo Spirito fa fare memoria delle nostre esperienze spirituali, personali ed ecclesiali e, inducendoci ad esplicitarne il senso, fa compiere alla nostra mente un vero e proprio evento pasquale: il passaggio, cioè, dal modo umano di intendere la salvezza, a quello divino compiuto da Cristo. È a questo livello che la nostra mente risorge all’intelligenza nuova della vita in Cristo. Essa prevede il passaggio della passione e morte della ragione. Occorre morire alla nostra mentalità umana per giungere all’intelligenza spirituale di Cristo. Un simile passaggio non è affatto facoltativo, ma necessario, come dimostra di aver compreso anche Pietro nel suo discorso: “Dio ha compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca dei profeti, che cioè il Cristo doveva morire” (At 3,18). Ed è completando questo passaggio che la nostra mente giunge ad un atto di intelligenza spirituale. Perciò anche noi siamo chiamati a compiere tale passaggio, ogni volta in cui le circostanze della vita e della vita ecclesiale, ci chiedono di “spezzare” (Lc 24,30.35) la nostra ragione. È qui che facciamo memoria dell’intelligenza di Cristo, nell’oggi della nostra cultura.


[1] Per una maggiore praticità e soprattutto per una più profonda personalizzazione di questi racconti, vi ribadisco di trascriverli a mano, in un vostro quaderno personale, nel quale, volendo, potrete appuntare anche le vostre esperienze e intuizioni spirituali che la Parola vi suggerisce. Questa operazione, apparentemente elementare, si rivela, invece, molto efficace ai fini di una lettura più attenta e proficua dei Vangeli. Essa vi insegnerà, per esempio, ad andare oltre il ‘sentito dire’ o l’‘aver già letto’, quindi a scoprire le parole chiavi del testo, soffermandovi sul loro significato, molto spesso trascurato a causa di una lettura superficiale. Così facendo vi accorgerete che certe parole ci rivelano un abisso di sapienza. Esse sono solo la punta di un iceberg, il cui significato spesso ci rimane ignoto, finché non abbiamo la pazienza di osservare la loro parte nascosta nelle profondità abissali e stratificate della nostra tradizione evangelica, spirituale e culturale.

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